Commercialisti e ESG: come cambia la consulenza della sostenibilità?
Negli ultimi anni, la crescente attenzione verso la sostenibilità ha trasformato il ruolo dei commercialisti. Oltre al ruolo storico e fondamentale sulle esigenze della contabilità e sulla gestione fiscale, sono oggi tra i punti di riferimento di un ecosistema che richiede competenze trasversali in materia di ESG e di rendicontazione di sostenibilità. Le imprese hanno infatti sempre più bisogno di consulenza qualificata per allinearsi a normative stringenti, come la Direttiva UE sulla rendicontazione non finanziaria (CSRD) e per rispondere alle aspettative degli stakeholder.
Qual è il ruolo dei professionisti impegnati a tradurre i principi ESG in pratiche sostenibili concrete?
Il rapporto tra commercialisti e ESG permette di tradurre i principi ESG in pratiche sostenibili e operative concrete. La valutazione dell’impatto ambientale, la gestione dei climate risk, dei rischi sociali o dei rischi di transizione e il monitoraggio della governance aziendale sono attività centrali per il business. In questo contesto, il rapporto tra commercialisti e ESG rappresenta un punto di riferimento per le aziende che hanno la necessità di identificarele metriche più affidabili, predisporre report chiari e a tutti gli effetti integrare la sostenibilità nei processi decisionali.
Cosa vuol dire arirvare alla consulenza di sostenibilità partendo dal rapporto tra commercialisti e ESG?
I commercialisti sono sempre più spesso chiamati a svolgere un ruolo di supporto alle imprese che necessitano di adeguarsi alle regole europee, evitando sia possibili sanzioni sia i rischi connessi alla reputazione. L’evoluzione della professione in chiave di consulenza di sostenibilità implica anche lo sviluppo di competenze che consentano di trasformare gli obblighi in opportunità competitive. Un esempio è rappresentato dall’accesso a finanziamenti ESG e incentivi pubblici, strumenti fondamentali per progetti di innovazione sostenibile.
Il rapporto tra commercialisti e ESG implica anche la capacità di dialogare con management, investitori e stakeholder esterni, traducendo dati e informazioni in strategie. La sintesi di questo rapporto può essere letta nella capacità di integrare competenze contabili, legali e ESG per metterla a disposizione di aziende che vogliono affrontare la transizione ecologica in modo consapevole.
Cosa dice il rapporto CNDCEC 2025 e come si sta consigurando il ruolo trasformativo dell’ESG?
Una interessante occasione per fare il punto sul rapporto tra commercialisti e ESG è rappresentato dal rapporto CNDCEC (Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) 2025. Uno studio che analizza l’impatto trasformativo dell’ESG su aziende, governance e finanza e che mette a disposizione un focus specifico sul comportamento delle PMI.
In particolare, con questo report, è possibile aggiungere una vista preziosa sulle criticità e complessità che stanno accompagnando le diverse normative legate alla gestione della sostenibilità in ambito aziendale come CSRD, CSDDD e Pacchetto Omnibus UE, con una particolare attenzione al ruolo della digitalizzazione, della gestione del rischio e della consulenza professionale per la trasformazione sostenibile.
Come si agisce per fare della sostenibilità un valore strategico d’impresa?
Il report “Sostenibilità, governance e finanza dell’impresa: impatto degli ESG con particolare riferimento alle PMI”, nella sua seconda edizione del 2025, analizza la relazione bidirezionale tra le questioni di sostenibilità e la governance aziendale. L’obiettivo primario è ripensare e migliorare gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, potenziando le connessioni delle imprese con gli stakeholder, in particolare con il sistema bancario e creditizio. Il tutto partendo dal presupposto che la sostenibilità è ormai riconosciuta non solo come un fine etico, ma come un valore imprescindibile per la continuità aziendale e la creazione di valore nel lungo termine.
Quali sono i punti di riferimento per comprendere il vero valore della sostenibilità?
Il contesto globale, caratterizzato da eventi geopolitici drammatici, ha evidenziato la necessità di una riflessione sistemica più profonda sul valore della sostenibilità unitamente a una carenza di consapevolezza rispetto alle possibilità e alle necessità di integrare le tante e diverse diverse dimensioni che permettono di dare vita a uno sviluppo sostenibile. La semplificazione normativa è uno dei temi sui quali si è acceso il dibattito politico ed economico, ma la vera creazione di valore potrà arrivare solo dall’integrazione della sostenibilità nei processi aziendali. Un processo questo che è anche necessario per affrontare i rischi ESG più evidenti, come le conseguenze delle politiche protezionistiche, le pressioni inflazionistiche ma anche come i rischi di transizione. Il mondo bancario in questo senso sta facendo tesoro delle informazioni ESG per la valutazione del merito creditizio, riconoscendo il legame tra sostenibilità economico-produttiva e continuità aziendale.
Per quali ragioni la competitività è sempre più legata alla gestione del rischio?
La competitività, per tutte le imprese ma in modo speciale per le PMI, si fonda oggi sulla sostenibilità dei processi, sulla capacità di dare vita a una produzione sostenibile e sugli degli effetti delle attività di produzione e consumo. Il report CNDCEC evidenzia il concetto di rischio come comun denominatore tra tutti gli ambiti trattati, sia per la sua capacità di evolvere nel tempo e nello spazio,sia perché richiede un ripensamento dell’organizzazione aziendale e dei processi di pianificazione strategica e finanziaria.
Come cambia il contesto normativo europeo? Dall’NFRD alla CSRD e oltre
Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha implementato un quadro normativo sempre più stringente per supportare la transizione verso un’economia sostenibile e aumentare la trasparenza informativa. Il passaggio cruciale è stato l’emanazione della Direttiva 2022/2464/UE, meglio nota come Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), recepita in Italia con il D.Lgs. 125/2024, che ha sostituito la precedente Non-Financial Reporting Directive (NFRD).
L’arrivo della CSRD ha segnato un cambiamento sostanziale, ampliando il perimetro degli obblighi di rendicontazione non solo alle grandi imprese, banche e assicurazioni, ma anche alle PMI quotate e, indirettamente, a quelle non quotate tramite il “trickle-down effect” nella catena del valore. (Da leggere, in merito ai cambiamenti della CSRD i servizi sui successivi cambiamenti legati al Pacchetto Omnubus n.d.r.).
Cosa significa integrazione della sostenibilità nel reporting finanziario?
La CSRD ha introdotto l’obbligo di fornire informazioni di sostenibilità in una sezione dedicata della relazione sulla gestione, promuovendo l’integrazione con il reporting finanziario e richiedendo l’adozione di un formato elettronico unico (ESEF con marcatura XBRL).
Uno dei principi cardine della CSRD è rappresentato dalla doppia materialità (double materiality), che impone alle aziende di rendicontare sia come le proprie attività impattano sull’ambiente e le persone (materialità d’impatto), sia come i fattori ESG influenzano le loro performance finanziarie (materialità finanziaria). La doppia materialità richiede un background economico-contabile per connettere questioni di sostenibilità e valori quantitativi. Inoltre, la direttiva introduce inoltre l’obbligo di certificazione di conformità dell’informativa di sostenibilità, con implicazioni dirette sulle responsabilità degli organi aziendali.
Che ruolo svolgono gli European Sustainability Reporting Standards?
Per l’attuazione della CSRD, sono stati sviluppati gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) Set 1, composti da 12 standard “sector-agnostic” (2 trasversali e 10 tematici). È poi prevista l’adozione di standard specifici per settore (ESRS sector-specific) e per le PMI quotate (ESRS LSME), oltre a uno standard volontario per le PMI non quotate (VSME ESRS), volto a facilitare il loro accesso a finanziamenti e la partecipazione alla transizione sostenibile. La Commissione ha introdotto delle “transitional reliefs” per una gradualità nell’applicazione di alcuni requisiti e una maggiore flessibilità nella valutazione della materialità.
Va detto che nonostante gli sforzi per l’interoperabilità con standard globali come GRI e ISSB, permangono differenze concettuali, in particolare sul principio di materialità.
Quali sono gli impegni legati alla CSDDD sulla catena del valore?
La Direttiva (UE) 2024/1760, nota come Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD o CS3D) impone alle grandi aziende di identificare, prevenire, attenuare e rendere conto degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente derivanti dalle proprie attività e da quelle della loro value chain, inclusi i partner commerciali a monte e a valle. Le aziende dovranno inoltre allineare piani e strategie a un’economia sostenibile e agli obiettivi dell’Accordo di Parigi tramite “piani di transizione”.
L’applicazione della CSDDD è scaglionata nel tempo e riguarda solo le aziende di grandi dimensioni (ad esempio, società UE con più di 1.000 dipendenti e 450 milioni di fatturato netto mondiale, o imprese extra-UE con fatturato netto superiore a 450 milioni nell’Unione). Nonostante le PMI siano escluse dall’ambito formale di applicazione, esse saranno indirettamente interessate in quanto partner commerciali nella catena di attività delle grandi imprese obbligate. Per supportare le PMI, la direttiva prevede misure come il sostegno mirato dalle grandi aziende e possibili aiuti finanziari dagli Stati membri.
Cosa sono gli obblighi di due diligence?
La CSDDD delinea una serie di obblighi di due diligence, tra cui l’integrazione delle politiche di due diligence nei sistemi di gestione del rischio, l’identificazione e la valutazione degli impatti negativi, la loro prioritizzazione, l’attuazione di misure preventive/mitigative e azioni di riparazione.
Particolarmente importante è anche il coinvolgimento degli stakeholder e l’implementazione di meccanismi di reclamo. Gli Stati membri dovranno istituire autorità di controllo con poteri sanzionatori e un regime di responsabilità civile per i danni causati intenzionalmente o per negligenza. Cambia in sostena la corporate governance e accountability.
Guardo allo specifico della relazione tra commercialisti e ESG nella professione contabile, la CSDDD apre di fatto una nuova area di competenza, supportando le aziende nella creazione di strutture e procedure per monitorare, valutare e garantire la conformità delle catene di fornitura ai diritti umani e ambientali. La direttiva prevede l’opzione di utilizzare verifiche di terze parti indipendenti, per le quali la Commissione fornirà linee guida.
Omnibus simplification package on sustainability: cosa significa semplificazione?
A cavallo tra il 2024 e il 2025, documenti come il “Rapporto Draghi” o la Bussola per la competitività o “Competitiveness Compass for the EU” hanno posto le basi per un cambio di rotta nella regolamentazione europea sulla sostenibilità, spingendo verso la semplificazione normativa. Il 26 febbraio 2025, la Commissione Europea ha lanciato l’“Omnibus Simplification Package on Sustainability”, un insieme di proposte volto a ridurre gli oneri amministrativi per le imprese (stimato al 25% per le aziende e 35% per le PMI) senza compromettere gli obiettivi strategici del Green Deal.
Le proposte chiave dell’Omnibus includono modifiche alla CSRD, CSDDD e alla Tassonomia UE. Per la CSRD, si prevede un rinvio di due anni dell’applicazione per le imprese “wave 2” e “wave 3” e una riduzione del suo ambito di applicazione alle grandi imprese con oltre 1.000 dipendenti e fatturati più elevati, escludendo così molte PMI quotate. Sarà anche implementato un “value chain cap” attraverso uno standard di rendicontazione volontaria basato sul VSME dell’EFRAG, che fungerà da “scudo” per limitare le richieste informative che le imprese CSRD possono rivolgere ai loro partner di dimensioni minori.
Per la CSDDD, l’Omnibus propone un rinvio di un anno del termine di recepimento e della prima fase di applicazione. Inoltre, limita la due diligence della catena del valore ai partner commerciali diretti (tier 1), esonerando le imprese dalla valutazione sistematica degli impatti negativi che si verificano in catene complesse a livello di partner indiretti. La frequenza del monitoraggio e delle valutazioni periodiche sarà ridotta da annuale a quinquennale. Significativa è la soppressione del regime di responsabilità civile a livello UE, demandandone la regolazione agli Stati membri.
Le modifiche alla Tassonomia UE prevedono la limitazione degli obblighi di rendicontazione alle sole imprese che rientrano nell’ambito modificato della CSRD (grandi imprese con oltre 1.000 dipendenti e fatturato netto superiore a 450 milioni), rendendo volontaria la rendicontazione per le altre. Sarà introdotta un’esenzione per le attività economiche non finanziariamente rilevanti (meno del 10% di fatturato, CapEx o OpEx) dalla valutazione di idoneità e allineamento alla Tassonomia. Il principio della doppia materialità.
Quale ruolo è chiamata a svolgere la digitalizzazione per l’ESG?
La digitalizzazione rappresenta un pilastro fondamentale per l’attuazione degli obiettivi di sostenibilità e per migliorare la trasparenza e la circolazione delle informazioni. La CSRD, in particolare, impone la redazione della relazione sulla gestione in formato XHTML e la creazione di una sezione nella rendicontazione di sostenibilità conforme alla tassonomia digitale ESEF, facilitando la lettura e l’elaborazione dei dati.
Un’analisi rigorosa del rapporto tra digitalizzazione e fattori ESG evidenzia l’importanza di sostenere la facile reperibilità e la concreta fruibilità delle informazioni. Questo si traduce nella necessità di una “ESG Data Accountability”, ovvero la capacità di disporre di un framework integrato per la gestione delle informazioni ESG, che parta dalla compliance normativa e si estenda allo sviluppo di una visione d’insieme per prevedere e valutare impatti e opportunità.
La data governance è poi cruciale anche per fornire informazioni ESG trasparenti e affidabili, contrastando il greenwashing e migliorando la reputazione.
Quali assetti organizzativi, amministrativi e contabili (OAC) si stanno configurando in chiave ESG?
L’evoluzione normativa e le sfide attuali impongono una profonda revisione delle modalità di direzione e gestione delle imprese, in particolare delle PMI, richiedendo un salto culturale e una crescita nei processi decisionali della governance aziendale. Gli OAC devono integrare pienamente la gestione della sostenibilità, riconosciuta come determinante per la pianificazione strategica e la continuità dell’impresa nel tempo. La sostenibilità e i fattori ESG sono a pieno titolo ascritti tra i principi di corretta amministrazione e, quindi, tra gli assetti OAC che ogni impresa deve dotarsi, secondo il canone dell’adeguatezza alla sua dimensione e natura.
L’adozione di sistemi di gestione certificati (es. ISO 14001, SA 8000, ISO 45001, ISO 37001, UNI/PdR 125, ISO 22301) rappresenta a sua volta un valido strumento per rafforzare il sistema di controllo interno e strutturare i processi aziendali in ottica ESG, sebbene le certificazioni da sole non “risolvano” il problema dell’adeguatezza degli assetti, ma offrano un utile aiuto. L’Organismo di Vigilanza (OdV) istituito ai sensi del D.Lgs. 231/2001, rappresenta un importante strumento di risk management e rafforzamento della corporate governance.
Commercialisti e ESG: quali relazioni con il sistema bancario e la finanza sostenibile?
Il sistema bancario e finanziario ricopre un ruolo centrale come propulsore della sostenibilità. Le direttive e i regolamenti sovranazionali (BCE, EBA) e nazionali (Banca d’Italia) spingono verso la piena integrazione dei fattori ESG negli assetti aziendali e nei piani d’impresa, con particolare riferimento ai climate risk e ambientali. Le banche devono mappare e valutare i rischi fisici e i rischi di transizione, includendo criteri ESG nella valutazione del merito creditizio, come la struttura di governance, la conformità normativa, e l’impatto sui diritti umani.
Le normative, come la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) e la Tassonomia UE, mirano a riorientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili e a integrare la sostenibilità nella gestione del rischio. Il Green Asset Ratio (GAR) è un indicatore di sostenibilità chiave per le banche, calcolato sul rapporto tra gli attivi che finanziano attività allineate alla Tassonomia e il totale degli attivi. L’Omnibus Package ha proposto una ricalibrazione del GAR, escludendo dal denominatore le esposizioni verso imprese non soggette alla CSRD, potenzialmente migliorando “artificialmente” l’indicatore per le banche.
Le banche con migliori valutazioni ESG dimostrano di ridurre i propri costi di finanziamento, evidenziando l’importanza di una corretta integrazione dei fattori ESG nel modello di business bancario per la crescita economica sostenibile. Tuttavia, la reperibilità e la qualità dei dati ESG rimangono una sfida critica, con molti intermediari che si affidano a punteggi sintetici senza piena trasparenza sugli algoritmi.
Quanto è importante misurare l’mpatto dei fattori ESG sulla valutazione delle aziende?
I fattori ESG sono diventati essenziali per la continuità aziendale e la creazione di valore di un’impresa. La loro rilevanza per la valutazione d’azienda deriva dalla capacità di generare cambiamenti nel business model e nel contesto competitivo, influenzando la reddittività prospettica, la crescita attesa e i profili di rischio. L’implementazione della CSRD, con la sua richiesta di rendicontazione dettagliata e trasparente delle performance ESG, mette in luce l’importanza di una “valutazione integrata della sostenibilità” che rappresenta uno dei compiti centrali nel rapporto tra commercialisti e ESG.
La relazione tra profili ESG e valore aziendale è complessa, sia per la natura multidimensionale degli ESG, sia perché i modelli tradizionali di valutazione li considerano spesso solo indirettamente. Tuttavia, la crescente rilevanza degli ESG accresce il peso degli intangible aziendali, come il capitale umano, organizzativo e relazionale (inclusa la reputazione), che pur non trovando evidenza diretta nei bilanci, sono cruciali per il valore d’impresa. Il D.Lgs. 125/2024, recependo la CSRD, prevede infatti che la relazione sulla gestione includa informazioni sulle “risorse immateriali essenziali”.
Come si può sintetizzare il ruolo del commercialista per le PMI nella transizione sostenibile?
I commercialisti sono chiamati a svolgere un ruolo di primo piano nello sviluppo della cultura della sostenibilità e nell’accompagnare le aziende, in particolare le PMI, nel complesso percorso verso un approccio sostenibile. Essi possiedono e sviluppano competenze specifiche in materia di reporting, controllo, finanza e pianificazione strategica, includendo la redazione e l’asseverazione delle informative ambientali, sociali e di sostenibilità.
La loro funzione di supporto tra impresa e settore creditizio è fondamentale, evolvendosi da una modalità fiduciaria a una consulenza tecnica volta a rendere l’azienda riconoscibile per le sue iniziative di sostenibilità, essenziale per ottenere rating ESG elevati e accedere a linee di credito o aumentarne i massimali. Il commercialista può assistere le imprese nell’adeguamento della governance alle nuove esigenze della sostenibilità e della digitalizzazione, nella revisione degli assetti OAC in funzione del Codice della crisi d’impresa, e nell’integrazione dei processi ESG e dell’intelligenza artificiale.
Un focus specifico è poi da attrobuire alla nuova figura del Revisore della Sostenibilità, introdotta dal D.Lgs. 125/2024 in recepimento della CSRD. Questo professionista, che può essere lo stesso revisore del bilancio o uno diverso, è abilitato a rilasciare un’attestazione sulla conformità della rendicontazione di sostenibilità agli standard di riferimento (ESRS e Tassonomia UE).