ESG: cosa significa
Dietro l’acronimo ESG, sempre più conosciuto anche fuori dal mondo della finanza e della “sostenibilità” ci stanno tre termini molto chiari: Environmental (ambiente), Social, e Governance, si tratta di tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa o di una organizzazione.
Nello specifico l’ESG si deve ricondurre primariamente a serie di criteri di misurazione e di standard delle attività ambientali, sociali e della governance di una organizzazione. Criteri che si concretizzano in un insieme di procedure operative e di buone pratiche a cui si devono ispirare le attività di un’azienda per garantire il raggiungimento di obiettivi legati all’impatto ambientale, sociale e legati alla qualità e all’etica nella governance delle imprese. Si tratta di criteri che sono utilizzati da dipendenti, fornitori, cittadini, istituzioni, investitori, analisti finanziari, banche e assicurazioni per conoscere l’impegno e i risultati relativi alla sostenibilità di una organizzazione e alla sua esposizione ai rischi che derivano da fattori ambientali, sociali e di compliance normativa.
Rispetto alle logiche di valutazione i criteri che sottostanno alla lettera “E” di Environmental sono criteri ambientali e valutano come un’azienda si comporta nei confronti dell’ambiente nel quale è collocata e dell’ambiente in generale. I criteri collegati alla lettera “S” sono relativi all’impatto sociale ed esaminano l’impatto e la relazione con il territorio, con le persone, con i dipendenti, i fornitori, i clienti e in generale con le comunità con cui opera o con cui è in relazione. La “G” di Governance infine riguarda i temi di una gestione aziendale ispirata a buone pratiche e a principi etici, in questo ambito i temi sotto esame riguardano le logiche legate alla retribuzione dei dirigenti, il rispetto dei diritti degli azionisti, la trasparenza delle decisioni e delle scelte aziendali, il rispetto delle minoranze.
Perché i criteri ESG sono diventati così importanti?
I criteri ESG sono importanti perché permettono di misurare in modo preciso e sulla base di parametri standardizzati e condivisi le performance ambientali, sociali e di governance di un’azienda. Per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno rappresentato una scelta del tutto libera e indipendente da parte delle organizzazioni e così la loro rappresentazione e la relativa comunicazione. I risultati raggiunti venivano rappresentati sulla base di scelte e logiche legate a ciascuna realtà e non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende e non potevano essere oggetto di valutazioni “oggettive”. I criteri ESG sono importanti perché consentono di ricondurre a criteri di misurazione oggettivi e condivisi anche le attività ambientali, sociali e di governance.
ESG: un percorso che inizia dal concetto di sostenibilità e di sviluppo sostenibile
Per affrontare e comprendere le tematiche che stanno alla base delle logiche ESG è necessario avere ben chiaro che questi principi si concretizzano partendo da tre grandi temi tra loro strettamente correlati:
- il primo attiene alla consapevolezza dei limiti legati all’ambiente,
- il secondo riguarda il concetto di gestione delle risorse
- il terzo attiene al principio di sostenibilità, ovvero di rispetto nei confronti dell’ambiente o di qualsiasi contesto caratterizzato da risorse limitate.
La prima tappa di quello che potremmo definire come un “percorso di consapevolezza” si può far risalire al 1953, in particolare alla pubblicazione del libro di Howard Bowen, “Social Responsibilities of the Businessman”, che ha contribuito ad avviare una discussione sulle diverse forme di responsabilità delle aziende che andassero oltre il risultato economico.
Negli anni ’60, molti attivisti hanno iniziato a promuovere azioni nelle quali si possono ritrovare alcuni principi che sono poi riaffiorati nell’ESG. Nel 1968 poi il Club di Roma al MIT composto da scienziati, economisti, imprenditori e funzionari pubblici ha realizzato un primo rapporto: “I limiti dello sviluppo” pubblicato nel 1972 con il quale ha iniziato a riflettere e discutere – su basi scientifiche – in merito ai temi della crescita della popolazione, al consumo di risorse naturali e all’impatto rappresentato dalla tipologia di sviluppo industriale e di modelli comportamentali. L’importanza di questo rapporto è oggi più che mai da leggere nella portata del suo messaggio primario, ovvero che non è ragionevole e nemmeno possibile pensare di proseguire verso “una crescita infinita quando il nostro pianeta è costituito da risorse naturali non rinnovabili”. In quello stesso periodo storico (che corrisponde al 1972 ) si è tenuta la prima conferenza sull’ambiente delle Nazioni Unite, dalla quale è scaturita la Dichiarazione di Stoccolma nella quale trova rilievo il concetto che è un “diritto di tutti gli esseri umani avere accesso a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che consenta di vivere nella dignità e nel benessere”.
Parte da qui il percorso verso i temi dello sviluppo sostenibile che vivono una tappa importante in anni più recenti (siamo nel 1987) quando la Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite condivide il rapporto su “Our Common Future” in cui si cerca una sintesi tra sviluppo economico e sostenibilità che si è concretizzata nel concetto di sviluppo sostenibile che ci ha ulteriormente avvicinati ai principi dell’ESG. Non dobbiamo però trascurare di mettere in evidenza che la sensibilità in quegli anni era concentrata sulla “E” di Environmental, ovvero sull’impatto ambientale dello sviluppo economico. I principi dell’ESG contemplano anche forme di impatto sociale, di inclusione, di responsabilità verso persone e territori e di nuove forme di responsabilità in termini di governance che nel corso del tempo permetteranno di arrivare all’ESG.
I punti di riferimento ESG: i 17 SDGs, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e l’Accordo di Parigi
I punti di riferimento delle logiche Environmental, Social, Governance possono essere individuati indirettamente in due grandi momento della “storia della sostenibilità”: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e gli SDGs delle Nazioni Unite e Gli Accordi di Parigi. I punti qualificanti di questi due grandi e storici appuntamenti stanno ispirando le strategie e le modalità con cui la sostenibilità si sta concretizzando negli Stati, nelle organizzazioni, nelle imprese.
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile è il programma sottoscritto il 25 settembre 2015 dall’Assemblea generale dell’Onu, ovvero dai governi dei 193 Paesi membri. L’Agenda 2030 riguarda gli impegni per le persone, per la prosperità e per la salvaguardia del pianeta e si concretizza nei 17 Obiettivi per lo Sviluppo sostenibile o Sustainable Development Goals, SDGs, che compongono un vasto programma di azioni e interventi composti da 169 target.
I 17 SDGs sono tra loro fortemente interconnessi e affrontano una grande famiglia di temi attinenti allo sviluppo economico e sociale, a partire dalla lotta alla povertà, alla fame, per arrivare a garantire il diritto alla salute e all’istruzione, l’accesso all’acqua e all’energia, alla dignità nel lavoro e alla possibilità di creare condizioni per una crescita economica inclusiva e sostenibile. Non ultimo i 17 SDGs affrontano i temi del cambiamento climatico e della tutela dell’ambiente, dell’urbanizzazione, e dei nuovi modelli di produzione e consumo, accanto a tematiche legate all’uguaglianza sociale e di genere, alla giustizia e alla pace.
Il 12 dicembre 2015 rappresenta a sua volta un’altro passaggio fondamentale per i temi della sostenibilità e per il Pianeta. A Parigi, i 197 Stati membri della UNFCC, Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici firmano l’Accordo di Parigi e arrivano alla prima grande intesa universale e giuridicamente vincolante sul climate change. A Parigi si arriva a una scelta strategica che è di fondamentale importanza per il percorso ESG, ma lo è evidentemente soprattutto per il Pianeta, vale a dire la decisione di contenere a lungo termine l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, e di limitare tale incremento a 1.5°C.
Possiamo aggiungere (ma questa nota sarà presto oggetto di un prossimo aggiornamento) che sia la Commissione Europea, con il pacchetto di misure del 14 luglio 2021 conosciuto come “Fit for 55” sia il G20 Energia e Clima di Napoli hanno cercato una intesa (al momento non raggiunta) per rimanere sotto gli 1,5 gradi di riscaldamento globale entro il 2030.
Per quale motivo gli SDGs sono importanti per l’ESG
I 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile sono diventati sempre più importanti in relazione all’ESG e in generale al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità delle imprese perché costituiscono dei punti di riferimento fondamentali per poter valutare i progetti, per misurarne i progressi, per consolidare i risultati di ciascuna realtà e poter valutare il contributo complessivo a livello di istituzioni regionali e nazionali, come accade ad esempio grazie al rapporto Istat di cui parliamo nei paragrafi successivi.
I 17 SDGs offrono alle organizzazioni anche la possibilità di effettuare comparazione in relazione al contributo che ciascuna realtà è nella condizione di offrire per ciascun obiettivo. Ci sono poi realtà imprenditoriali che sono nate o che hanno scelto di evolvere focalizzando espressamente la loro attività sul raggiungimento di obiettivi di sostenibilità come le CleanTech, le Climate Tech e ci sono realtà del mondo digitale che stanno lavorando in modo specifico, ad esempio, a soluzioni di Intelligenza artificiale per il bene sociale.
L’Italia e gli SDGs: il report Istat
Così come i risultati di business di una impresa sono in stretta relazione con il contesto di mercato nel quale opera, ovvero con le performance in termini di capacità di crescita e di sviluppo del paese, così anche le performance ESG sono da mettere in relazione con la capacità del sistema paese di esprimere una capacità di azione e una motivazione in grado di aumentare la propria capacità di raggiungere risultati in termini di sostenibilità. In questo senso gli SDGs rappresentano dei punti di riferimento con un doppio valore. Se le infrastrutture, la cultura, le competenze e i green skill, le iniziative e la governance pubblica di un paese sono in linea con i 17 SDG delle Nazioni Unite sarà presumibilmente più facile per le aziende che operano in quel contesto migliorare a loro volta le performance ambientali e sociali.
L’Italia e gli SDGs: la situazione al 2024
Ecco che diventa importante misurare la capacità a livello di nazione di raggiungere gli SDGs o di capire a che punto siamo del percorso.
L’Istat, insieme al Sistan, ha realizzato un servizio attivo a partire dal dicembre 2016, nella forma di una piattaforma informativa con l’andamento relativo a tutti gli indicatori SDGs, aggiornati due volte all’anno. Il servizio misura i progressi realizzati nell’attuazione delle misure che dovrebbero portare il nostro paese verso i Sustainable Development Goals. La versione più recente del Rapporto è la settima dove nella sintesi delle maggiori evidenze viene indicato come
che il progresso nel raggiungimento degli SDGs non sia purtroppo lineare, tanto che nel corso dell’anno si sono registrate delle battute di arresto e delle regressioni. In generale alcuni traguardi si stanno rivelando più difficili da raggiungere oggi di quanto fossero nel passato e molti divari si sono ampliati. In ogni caso il cammino verso i 17 SDGs non si è fermato, e la lettura generale del report mostra anche diversi importanti risultati.
L’Italia e gli SDGs: la situazione al 2023
Nel corso del 2023 l’Istat aveva pubblicato il sesto Rapporto sugli SDGs (disponibile qui n.d.r.) mostrando un quadro caratterizzato da elementi contrastanti. In generale si registrava una prevalenza di misure in miglioramento: nel 42,6% dei casi il segno è positivo, nel 32,8% è in peggioramento mentre nel 24,6% è stazionario.
Un segnale positivo per la Parità di genere, Goal 5 che mette a segno un miglioramento significativo, grazie a una crescita nella presenza di donne in posizioni di responsabilità. Un segnale positivo di miglioramento si registra anche a livello di Partnership per gli obiettivi nel Goal 17 dove un segnale significativo è arrivato a livello di misure legate all’utilizzo dell’ICT.
Segnali invece contrastanti a livello di impegno sull’Energia pulita ovvero sul Goal 7 dove l’Italia archivia degli indicatori in peggioramento a causa della ripresa dei consumi energetici a cui non era seguita una crescita altrettanto forte nella diffusione delle energie rinnovabili. Un segnale di regressione arrivava purtroppo anche per Pace, giustizia e istituzioni, ovvero per il Goal numero 16 sul quale hanno pesato i problemi legati all’affollamento delle carceri e i problemi legati al livello di soddisfazione nell’erogazione dei servizi pubblici.
L’Italia e gli SDGs: la situazione al 2021
Se si osserva la precedente edizione del Rapporto SDGs dell’Istat (2021) nell’analisi della situazione del nostro paese in relazione ai 17 SDGs si recuperano alcuni segnali positivi a livello di agricoltura, di riduzione del consumo di suolo, di rallentamento nella deforestazione, di rendicontazione ambientale e di sviluppo dell’economia circolare, ma nello stesso tempo si osserva che nel nostro paese restano critiche le situazioni relative alla lotta alla povertà, alla parità di genere, alla qualità della vita nelle città, alle emissioni di CO2, all’ammodernamento delle infrastrutture, all’occupazione e allo sviluppo delle competenze. Il rapporto sottolinea tra l’altro che in meno di dieci anni la preoccupazione delle famiglie per i cambiamenti climatici è passata dal 63,3% del 2012 al 70%.
L’ESG e il principio della Carbon neutrality
Un altro punto di riferimento importante per l’ESG è costituito dalle prospettive della Carbon neutrality, ovvero dalla capacità di ridurre le emissioni di CO2 e di creare condizioni che ne permettano l’azzeramento. In particolare l’IPCC, Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici definisce “ufficialmente” la Carbon Neutrality come la capacità di ottenere un bilanciamento tra le emissioni residue e le attività volte a rimuovere le emissioni di anidride carbonica dall’atmosfera. In altre parole nell’orizzonte della neutralità carbonica ci sta la capacità di creare condizioni di sviluppo sostenibile nel quale sia effettivamente possibile arrivare ad “azzerare” e “neutralizzare” (attraverso diverse modalità) le emissioni di CO2. Emissioni che, come si vede nel grafico disponibile grazia a Statista, sono purtroppo in continua crescita con la sola flessione significativa registrata nel 2020 in corrispondenza di un significativo rallentamento delle attività produttive legate alla pandemia.
Sulla base di questi criteri un prodotto o per altri versi anche un’azienda possono essere considerati “carbon neutral” o “carbon free” anche nel momento in cui l’azienda si impegna a rimuovere dall’ambiente la stessa quantità di anidride carbonica che si è resa necessaria per la produzione. Una sorta di “correzione ambientale” nell’atmosfera per raggiungere l’obiettivo Net-Zero emissions. In questo caso si mette in atto il meccanismo della compensazione, ovvero di azioni, investimenti, attività volte a rimuovere la CO2 dall’atmosfera.
Cosa significa Carbon neutrality e perché rappresenta uno dei presupposti dell’ESG
Il video dell’AF&PA, American Forest and Paper Association oltre a fornire indicazioni sul significato e sul ruolo della carbon neutrality per uno sviluppo sostenibile indica chiaramente quanto sia fondamentale il ruolo delle piante e delle foreste, sia per l’ambiente sia per l’economia.
ESG e road to Net Zero: cosa significa?
Diventare Net Zero implica la capacità di arrivare a un equilibrio tra la quantità di gas serra prodotti e la quantità rimossa dall’atmosfera. Questo termine viene spesso utilizzato per riferirsi alla neutralità carbonica, ma può anche includere altri gas serra, come il metano.
Raggiungere l’obiettivo Net Zero significa che le attività umane non aumentano la quantità complessiva di gas serra nell’atmosfera. Questo si può ottenere riducendo le proprie emissioni al minimo possibile e compensando il resto attraverso metodi di rimozione del carbonio, come la piantumazione di alberi o l’utilizzo di tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio.
Il termine Net Zero è spesso utilizzato nel contesto degli obiettivi climatici: per esempio, molte aziende e governi si stanno impegnando a diventare “Net Zero” entro il 2050, in linea con le raccomandazioni degli scienziati per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali, come previsto dall’Accordo di Parigi.
Carbon neutrality e Net Zero: quali differenze?
Carbon neutrality e Net Zero sono due espressioni che vengono spesso utilizzate in modo intercambiabile, ma fanno riferimento a due concetti diversi.
La carbon neutrality si riferisce specificamente all’equilibrio tra le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte e la capacità del sistema Terra di assorbirle. Questo significa che le attività umane non aumentano la quantità complessiva di CO2 nell’atmosfera. Per raggiungere la neutralità carbonica, le emissioni possono essere ridotte al minimo e il resto può essere compensato attraverso metodi di rimozione del carbonio.
Net Zero ha un significato più esteso e si riferisce all’equilibrio tra tutte le emissioni di gas serra prodotte e la quantità che viene rimossa dall’atmosfera. Non si considera solo la CO2, ma anche altri gas serra come il metano (CH4), l’ossido nitroso (N2O) e i fluorocarburi. Pertanto, per raggiungere l’obiettivo Net Zero occorre affrontare una gamma più ampia di emissioni.
L’ESG e il concetto di neutralità climatica
Accanto a Carbon neutrality e Net Zero occorre poi affiancare anche il concetto di neutralità climatica con cui si accede a un campo d’applicazione ancora più esteso. Mentre la carbon neutrality si concentra sul bilanciamento delle emissioni di CO2 e il Net Zero include tutti i gas serra, la neutralità climatica considera anche altri attività dell’uomo che influenzano a loro volta il clima, come ad esempio l’uso del suolo.
Con la neutralità climatica non ci si limita a ridurre l’impatto netto negativo sul sistema climatico terrestre, non basta bilanciare le emissioni di gas serra, ma occorre agire per minimizzare le altre forme di impatto ambientale come l’inquinamento, la deforestazione e la perdita di biodiversità.
I piani per il raggiungimento della neutralità climatica, implicano l’adozione di una serie di misure, che comprendono la riduzione delle emissioni di gas serra, l’adattamento ai cambiamenti climatici, la creazione e promozione di modelli di sviluppo sostenibili.
Mitigazione e Adattamento ai cambiamenti climatici: perché sono importanti
Le azioni per la mitigazione dei cambiamenti climatici e le strategie e gli interventi per l’adattamento sono i due grandi ambiti nei quali ricadono le attività con cui l’uomo sta cercando di reagire per garantire condizioni di vita accettabili e per ridurre i tanti fattori di rischio determinati dal climate change.
La mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ai cambiamenti climatici sono da considerare come due strategie complementari per affrontare il problema del riscaldamento globale.
La mitigazione dei cambiamenti climatici si concentra sulla riduzione delle cause dei cambiamenti climatici. Pe la mitigazione è necessario ridurre le emissioni di gas serra, occorre migliorare e diffondere le pratiche che rimuovono questi gas dall’atmosfera, come la riforestazione e come l’utilizzo di tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio. La mitigazione si pone l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a non più di 1,5 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali, come stabilito dall’Accordo di Parigi.
L’adattamento ai cambiamenti climatici a sua volta cerca di dare risposte adeguate ai cambiamenti climatici che già sono in corso. Nell’adattamento rientra ad esempio lo sviluppo di pratiche agricole che tengano conto delle temperature più elevate e di una maggiore difficoltà nel reperire risorse, la costruzione di infrastrutture resistenti al clima, la ricerca di forme di protezione delle comunità che sono più vulnerabili rispetto ai rischi climatici. Con l’adattamento si cerca di ridurre i fattori di rischio per le persone, per le comunità e per gli ecosistemi rispetto ai pericoli provocati dai cambiamenti climatici.
Il ruolo della finanza nell’ESG
L’ESG nasce per rispondere ad alcune istanze ed esigenze specifiche del mondo finanziario, in particolare per controllare, misurare e valorizzare la capacità delle imprese di generare un valore che comprenda i temi ambientali, sociali e di capacità di governo.
La finanza sostenibile e (in generale) gli investimenti ESG sono due concetti strettamente legati, ma con sfumature diverse. La finanza sostenibile rappresenta un approccio globale all’investimento e alla gestione del capitale e mira a generare rendimenti finanziari a lungo termine e al contempo a produrre benefici sociali e ambientali significativi. È un modello che considera l’intero ecosistema economico e i suoi legami con la società e l’ambiente.
Gli investimenti ESG, invece, si concentrano specificamente su come le questioni ambientali, sociali e di governance possono impattare la performance finanziaria dei titoli. L’approccio ESG valuta le aziende sulla base di una serie di indicatori che misurano la loro gestione di questioni come il cambiamento climatico, i diritti umani e la corruzione.
In altre parole, mentre la finanza sostenibile guarda a un quadro più ampio e a lungo termine, gli investimenti ESG si focalizzano su come le pratiche aziendali specifiche possono influire sul valore e sul rendimento finanziario. Entrambi gli approcci, tuttavia, mirano a un futuro in cui l’economia sia più equa, resiliente e rispettosa dell’ambiente.
Investimenti ESG e “Investimenti Sostenibili”: quali differenze?
Gli investimenti guidati dai criteri ESG rappresentano una tipologia di scelte finanziarie che nel passato sono state “confuse” con il concetto di investimenti sostenibili. Certamente gli investimenti guidati da criteri ESG hanno molti punti in comune con gli investimenti sostenibili tradizionali, ma hanno anche importanti differenze. la prima e più rilevante riguarda il concetto di misurabilità. Con l’associazione ai valori della sostenibilità si intendono investimenti che sono finalizzati a produrre un ritorno positivo – ovviamente misurabile – dal punto di vista economico per gli investitori, ma sono anche investimenti in grado di generare effetti positivi per la società e per l’ambiente. E anche questo risultati devono poter essere misurabili e rappresentabili in modo chiaro. La differenza rispetto agli investimenti sostenibili del passato o “tradizionali” è che i criteri ESG consentono di misurare concretamente gli effetti sociali e ambientali di questi investimenti, oltre agli effetti economici legati ai risultati di business e permettono di creare delle vere e proprie classifiche che mettono in “graduatoria” performance di imprese che puntano a ottenere risultati in termini ambientali, sociali e di governance.
Sempre rispetto al passato è sempre più diffusa la convinzione che le aziende in grado di produrre risultati positivi per ambiente e società siano anche più performanti nel lungo periodo nel raggiungere migliori risultati di business. Nel momento in cui si parla di investimenti sostenibili occorre considerare che ci sono diverse tipologie:
- Gli investimenti socialmente responsabili al cui interno si collocano gli investimenti etici
- Gli Impact investing
- Gli investimenti value-based
- Gli investimenti basati su criteri ESG
Cosa si intende per criteri ESG?
L’ESG rappresenta un approccio alla conoscenza e all’analisi delle aziende sempre più utilizzato nel mondo finanziario come una piattaforma di valutazione della sostenibilità degli investimenti e come valutazione delle performance delle imprese, unitamente ai parametri economici tradizionali.
ESG è un acronimo che sta per Environmental, Social, Governance, ovvero Ambientale, Sociale e di Governance e rappresentano tre criteri fondamentali utilizzati per valutare la sostenibilità e l’etica sociale di un’azienda o di un investimento.
- Il criterio “Ambientale” riguarda l’impatto che un’azienda ha sull’ambiente, considerando fattori come l’uso delle risorse naturali, la gestione dei rifiuti, le politiche di riduzione delle emissioni e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
- Il criterio “Sociale” si riferisce alle relazioni che l’azienda intrattiene con i lavoratori, i fornitori, i clienti e le comunità in cui opera. Si considerano aspetti come i diritti umani, le condizioni di lavoro, la diversità e l’inclusione, e il coinvolgimento nella comunità locale.
- Infine, il criterio di “Governance” riguarda la gestione dell’azienda, includendo la struttura del consiglio di amministrazione, le politiche retributive, la corruzione, l’integrità aziendale e la trasparenza fiscale.
I criteri ESG rappresentano dunque uno strumento per gli investitori che, oltre al rendimento economico, considerano anche l’impatto sociale e ambientale delle loro scelte finanziarie.
Le diverse tipologie di investimenti sostenibili
Lo sviluppo sostenibile si è concretizzato anche grazie allo sviluppo di diverse tipologie di investimento. In particolare l’attenzione del mercato si è focalizzata su quatro strumenti finanziari:
- Green Bonds
- Sustainability Bonds
- Sustainability-Linked Bonds
- Social Bonds
- Transition Bonds
I Green Bonds, o obbligazioni verdi, sono strumenti di debito emessi da entità pubbliche o private con l’obiettivo di finanziare progetti che hanno un impatto positivo sull’ambiente o che contribuiscono alla lotta contro il cambiamento climatico. Questi progetti possono riguardare l’energia rinnovabile, l’efficienza energetica, la gestione sostenibile delle risorse naturali e la conservazione della biodiversità. I Green Bonds sono importanti strumenti di finanziamento per la transizione verso un’economia a basso impatto di carbonio.
I Sustainability Bonds, o obbligazioni sostenibili, sono strumenti di debito emessi da entità pubbliche o private con l’obiettivo di finanziare progetti che contribuiscono sia a obiettivi ambientali che a quelli sociali. A differenza dei Green Bonds, che sono destinati esclusivamente a progetti ambientali, i Sustainability Bonds possono finanziare una gamma più ampia di iniziative, inclusi progetti che mirano a migliorare l’istruzione, la sanità, l’uguaglianza di genere, il lavoro dignitoso e le condizioni economiche. Questi strumenti di debito sono fondamentali per supportare lo sviluppo sostenibile e l’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
I Sustainability Linked Bonds (SLB) sono obbligazioni le cui caratteristiche finanziarie (come il tasso di interesse) sono legate al raggiungimento di specifici obiettivi di sostenibilità prestabiliti dall’emittente. Questi obiettivi, che possono riguardare questioni ambientali, sociali o di governance (ESG), devono essere quantificabili, trasparenti e verificabili. Se l’emittente non raggiunge gli obiettivi stabiliti, la struttura del bond prevede una sorta di penalità, come un aumento del tasso di interesse. Gli SLB rappresentano uno strumento innovativo per allineare gli interessi finanziari con quelli di sostenibilità, incentivando le aziende a migliorare le loro performance in termini di sostenibilità.
I Social Bonds, o obbligazioni sociali, sono strumenti di debito emessi da entità pubbliche o private con l’obiettivo di finanziare progetti che hanno un impatto sociale positivo. Questi progetti possono includere, ad esempio, iniziative per l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’accesso all’acqua potabile, l’edilizia abitativa sociale, l’occupazione, la riduzione della povertà e l’uguaglianza di genere. I Social Bonds consentono agli investitori di combinare il rendimento finanziario con il rendimento sociale, sostenendo iniziative che hanno un impatto positivo sulla società.
I Transition Bonds sono strumenti di debito emessi da entità pubbliche o private con l’obiettivo di finanziare la transizione verso pratiche più sostenibili e a basso impatto di carbonio. Queste obbligazioni sono progettate per sostenere settori e aziende che attualmente non sono sostenibili, ma che hanno piani concreti e credibili per diventarlo. Questi possono includere, ad esempio, progetti per migliorare l’efficienza energetica, ridurre le emissioni di gas serra o passare a fonti di energia rinnovabile.
Environmental, Social, Governance: perché questi criteri piacciono sempre di più agli investitori
Il mondo della finanza sta utilizzando in modo sempre più importante i criteri ESG per le proprie scelte di investimento; è stato ampiamente dimostrato che accanto a benefici di tipo reputazionale ci sono benefici concreti in termini di performance. Gli investimenti basati su principi ESG riducono, come abbiamo visto, l’esposizione a una ampia serie di rischi e aumentano la resilienza dei portafogli. Come ci dice la ricerca Sustainability goes Mainstream realizzata da BlackRock in questo momento tra i tre criteri Ambiante, Sociale e Governance, continua ad essere prevalente la dimensione ambientale rispetto alla “S” di Sociale e alla “G” di Governance. I 425 investitori coinvolti nella ricerca attivi in 27 paesi e in rappresentanza di 25 trillioni di dollari mostra che la prevalenza verso le tematiche ambientali è destinata a crescere nei prossimi 3-5 anni dall’88 all’89%; la parte Social supera di poco il 50% ed è prevista a sua volta una crescita dal 52% al 58% mentre per la “G” di Governance si registra una diminuzione di attenzione dal 60% al 53%.
Il valore degli investimenti sostenibili in relazione al totale degli investimenti gestiti
Le cinque ragioni principali che spingono gli operatori finanziari verso l’ESG
La sfera finanziaria sta vivendo una decisa virata verso gli investimenti ESG (Environmental, Social, Governance), ovvero quegli investimenti che considerano non solo il rendimento economico, ma anche l’impatto ambientale, sociale e di governance delle aziende. Ecco le cinque ragioni principali di questa tendenza.
- L’urgenza climatica: il riscaldamento globale e i suoi effetti stanno spingendo gli investitori a prendere in considerazione l’impatto ambientale delle loro scelte.
- La pressione sociale: le nuove generazioni, sempre più sensibili ai temi della sostenibilità, stanno esercitando una forte pressione affinché i capitali vengano indirizzati in modo etico e sostenibile.
- La consapevolezza che una buona governance è sinonimo di stabilità e di minor rischio per gli investitori. Le aziende ben gestite tendono a performare meglio nel lungo termine e corrono minori rischi.
- Gli investimenti ESG possono offrire rendimenti competitivi rispetto agli investimenti tradizionali, demolendo il mito che l’etica e il profitto non possano andare di pari passo.
- La regolamentazione: sempre più normative a livello globale stanno spingendo verso l’adozione di standard ESG, rendendo questi investimenti non solo eticamente corretti, ma anche conformi alle future linee guida legislative.
Le priorità degli investitori e le priorità dell’ambiente: il ruolo dell’innovazione
L’ESG rappresenta certamente uno stimolo molto concreto per gli investitori ad assumere un atteggiamento deciso verso la trasformazione sostenibile, tuttavia sono molte e anche diverse tra loro le modalità attraverso le quali si può concretizzare questa trasformazione. Come si vede nella tavola seguente realizzata da Statista l’innovazione è la priorità numero uno degli investitori ESG a cui segue la ricerca di performance finanziarie e la ricerca di maggiori garanzie a livello di sicurezza e privacy e la necessità di assicurare una migliore corporate governance. Solo al quinto posto si colloca la priorità relativa alla riduzione delle emissioni e solo al sesto quella legata alla realizzazione di supply chain responsabili. Un tema, quello delle priorità, che deve invitare a riflettere sulle diverse modalità per affrontare la trasformazione sostenibile e il segnale che si può cogliere da questa classifica è un segnale che attribuisce una speciale importante al ruolo dell’innovazione.
Da dove arrivano le metriche di valutazione ESG?
I criteri ESG non sono dunque “nuovi” in assoluto, sono attivi e condivisi presso la comunità delle imprese e delle organizzazioni più attente ai temi della sostenibilità ambientale, sociale e alle buone pratiche di gestione di un’azienda. La loro importanza è fortemente cresciuta in quanto questi criteri sono utilizzati dalla comunità finanziaria per ”misurare”, valutare, confrontare le performance ambientali, sociali e di governance delle imprese unitamente alle loro performance di business convenzionali. Il mondo della finanza ha iniziato a mostrare grande attenzione alla valutazione dei criteri ESG prima di tutto per la gestione di diverse forme di investimento che si ispirano a criteri di responsabilità sociale e ambientale e che indirizzano obiettivi legati all’ambiente, alla dimensione sociale e a una governance ispirata a principi etici. In secondo luogo l’attenzione del mondo finanziario si è estesa alla valutazione di questi criteri per tutte le aziende a prescindere dalla loro vocazione o missione in quanto molto analisi hanno dimostrato (come vedremo più avanti) che le aziende con le migliori valutazioni ESG sono anche quelle che ottengono maggiori performance e che affrontano meglio i rischi legati a emergenze o situazioni di crisi.
Per quali ragioni si considerano positivamente le valutazioni di impatto ESG
L’impatto positivo dal punto di vista finanziario dell’ESG (Environmental, Social and Governance) è determinato da una serie di fattori. Il primo elemento arriva dalla convinzione che una società “sostenibile” è nella condizione di affrontare minori rischi legati alle emergenze ambientali, che è in grado di rispettare al meglio normative xche saranno sempre rigorose in fatto di attenzione all’ambiente, che è meno soggetta a eventuali controversie legali.
Nello stesso tempo si tratta di società che, proprio per questo impegno, esprimono un maggior impegno in termini di ricerca scientifica, di innovazione sia per quanto riguarda la capacità produttiva (ovvero di innovazione a livello di operations e di sicurezza per il personale) sia per quanto riguarda il rapporto con i propri clienti e con i partner, in termini di trasparenza e fiducia. Questo approccio esprime i propri benefici in termini di riduzione dei rischi legati a incidenti o pratiche inappropriate a livello di Operations, di relazioni con i clienti e appunto di azioni legali. In concreto le imprese che ispirano le proprie strategie e le proprie scelte a criteri ESG e che adottano criteri appropriati per misurare e controllare il proprio impegno sono aziende che possono raggiungere migliori risultati in termini di business e che sono nello stesso tempo meno esposte ai rischi.
Il ruolo di guida degli SDGs per gli investitori
Sempre la ricerca Sustainability goes Mainstream realizzata da BlackRock offre l’opportunità di indirizzare l’attenzione verso un tema che è destinato a diventare sempre più importante nel contesto di gestione dei portafogli degli investitori, ovvero il ruolo degli SDGs Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. La domanda che si pone la ricerca è “Quale tra i 17 SDGs guida primariamente le scelte di investimento?“
Dalla ricerca vediamo che i temi legati al “goal” numero 13, Climate Action” hanno ricevuto il 51% dei consensi, seguono con il 50% i temi legati al goal numero 7: “Affordable and clean energy”, con il 37% il goal numero 6 dedicato a “Clean water and sanitation” per seguire con il 32% al goal numero 3 “Good health and well being” e arrivare al 29% per il goal numero 11 “Sustainable cities and communities”.
Cosa si intende per “atteggiamento Impact Investing”
Negli Impact investing gli investitori non cercano solo il raggiungimento di obiettivi di ritorno finanziario con una ottimizzazione dei fattori di rischio, ma cercano di raggiungere anche obiettivi legati all’impatto sociale e ambientale delle imprese con i loro prodotti e i loro servizi. L’Impact investing è un approccio che parte dalla considerazione che le imprese devono avere obiettivi più articolati rispetto alla sola generazione di valore economico. Per diversi economisti e osservatori è da tempo in corso una evoluzione che intende superare la convinzione che il benessere degli azionisti sia solo nei profitti e nella crescita del market value. Una evoluzione che parte dalla convinzione che le attività volte alla generazione di profitti e le attività ispirate a principi etici non sono tra loro incompatibili, ma al contrario sono destinate a diventare inseparabili. Soprattutto per gli investitori che seguono logiche di lungo periodo.
Che cos’è l’ESG Integration
Una possibile risposta a chi guarda con scetticismo alle logiche ESG è rappresentata dall’approccio conosciuto con ESG Integration. Un approccio che “utilizza” le informazioni e le valutazioni ESG senza dare vita a una vera e propria strategia ESG. In questo caso gli investitori assumono decisioni di investimento che inseriscono i fattori ESG nell’ambito di un quadro di gestione e modernizzazione del portfolio di tipo tradizionale. In altre parole i criteri ESG sono sfruttati per il loro potenziale di conoscenza per analizzare e comprendere i fattori di rischio e le potenzialità di rendimento.
Il principio che sta alla base dell’approccio ESG Integration è che non c’è ancora unanimità in merito agli effetti benefici dei criteri ESG. Tuttavia, anche in assenza di questa unanimità, ci sono ricerche che mettono in relazione la qualità dei rating in termini di questioni materiali di sostenibilità con la performance delle aziende e le imprese con rating più positivi performano meglio rispetto alle altre aziende. Nello stesso tempo altre ricerche mostrano che le imprese impegnate nell’adozione e implementazione di pratiche ESG mostrano una relazione non negativa o positiva con le performance finanziarie e una maggiore stabilità dei risultati nel tempo.
L’ESG Integration può essere interpretato come una forma di scetticismo attento al valore dell’ESG.
Cosa sono i Transition Risk e perché sono in relazione con l’ESG?
Nel momento in cui un’azienda intraprende un percorso di migrazione delle proprie attività e della propria attività in direzione di un assetto che permetta di migliorare l’impatto ambientale e sociale si trova a gestire un progetto che è sostanzialmente di Transizione. L’azienda deve passare da un modello in cui “consuma materia, energia, tempo e competenze a livello di risorse umane” a un modello in cui gestisce una relazione responsabile con la materia, con l’energia, con i valori che arrivano dalle persone. L’azienda deve affrontare un passaggio molto importante e deve preparare la propria organizzazione, le proprie infrastrutture produttive, le proprie persone e in generale la propria Governance per sostenere questo nuovo modello. Questo passaggio non è privo di rischi: ESG significa “alzare l’asticella” dei risultati, significa aggiungere nuovi obiettivi legati all’impatto ambientale e sociale agli obiettivi di business che restano di primaria importanza. Il percorso verso l’ESG deve considerare anche i fattori legati ai Transition Risk, ovvero ai rischi legati alla trasformazione energetica, digitale, economica e in non pochi casi casi anche di modello di business, delle imprese.
ESG: la convergenza tra innovazione sostenibile e innovazione digitale
Comunque la si guardi, che si tratti di un progetto di trasformazione aziendale o di una forma di investimento la sostenibilità necessita di tempo, non è un processo e men che meno un progetto compatibile con le logiche del breve periodo. Ma anche qui il digitale può rappresentare un “acceleratore”. Occorre considerare che sostenibilità e innovazione digitale portano entrambe una profonda trasformazione a livello di produzione, di innovazione nelle operations, nella gestione delle risorse e nella richiesta di nuove competenze. Pensiamo, solo per fare un esempio al concetto stesso di materia, ai modelli di relazione con il personale, con i clienti, con i partner e appunto al fatto che gli stessi modelli di business sono nella condizione di evolvere, di svilupparsi in forme nuove. In questo senso, modelli abilitati dal digitale come ad esempio la service transformation o servitization possono permettere di accelerare i tempi in modo molto significativo.
Come ESG360 siamo convinti che non è possibile parlare “solo” di innovazione sostenibile e o di innovazione digitale, ma che si tratta di due processi che anche quando partono in modo indipendente sono destinati a convergere e a intrecciarsi tra loro. Se si vogliono ottenere risultati concreti occorre parlare sia di trasformazione verso la sostenibilità e di trasformazione digitale. Come appare evidente per avviare e gestire una trasformazione serve tempo e per attuare processi ESG serve una trasformazione che porta risultati nel lungo termine.
Ma la differenza tra una prima “declinazione” dell’ESG e della sostenibilità e quella che sta prendendo forma con questo tipo di trasformazione che possiamo definire strutturale è dato appunto solo dalla saldatura tra la trasformazione legata alla sostenibilità e la trasformazione digitale. Il digitale sta dimostrando che si possono accelerare i tempi e che si possono raggiungere obiettivi che uniscono l’impatto ambientale e sociale e i risultati di business anche nel medio e nel breve termine.
Il ruolo specifico dell’intelligenza Artificiale per l’ESG
Per le imprese che stanno integrando la sostenibilità nel loro modello di business l’intelligenza artificiale rappresenta un fattore di miglioramento delle prestazioni ESG grazie al monitoraggio dei dati che contribuiscono alla costruzione dei fattori ESG e all’automazione dei processi decisionali. L’AI abilita il monitoraggio e l’analisi di tutte le variabili legate all’ambiente, alle problematiche sociali e alla governance aziendale.
L’Intelligenza Artificiale è fondamentale per affrontare un contesto caratterizzato da un numero di variabili sempre più elevato grazie a una disponibilità di dati a sua volta sempre più rilevante con un contributo nella gestione intelligente delle tante e diverse fonti, della data collection e nell’analisi dei dati ESG. L’Intelligenza Artificiale aiuta inoltre le imprese ad avere una visione più completa di queste fonti, a mapparle e a gestirle per ricavare i dati necessari a determinare il loro impatto ESG.
Un altro ambito legato all’AI riguarda la possibilità di simulare possibili scenari di rischio. L’Intelligenza Artificiale permette di aiutare le aziende a testare le strategie di Risk Management, intercettare errori o aree di miglioramento e fornire dati e conoscenza per potenziare l’efficacia dei processi di risk management. Nello stesso tempo però occorre considerare da una parte una dimensione legata all’impatto non solo ambientale, dell’Ai e nella fattispecie occorre analizzare la relazione tra intelligenza artificiale ed etica e dall’altro occorre saper valorizzare il ruolo dell’intelligenza artificiale al servizio del bene sociale.
Il vero rapporto tra ESG e sostenibilità: innovare vuol dire “Cambiare la regole del gioco”
Il passaggio da una prospettiva di lungo termine a prospettive di medio termine o addirittura di breve termine non deve essere assimilata solo a una forma di accelerazione, non si tratta solo di “fare le stesse cose in meno tempo” e nemmeno alla possibilità di dare “maggiore potenza” al motore per aumentare la velocità. La fase dell’efficienza che arriva grazie al digitale (fare di più con meno) resta tuttora fondamentale e importantissima ed è legata al fatto che il digitale apre a nuove forme di trasformazione economica. E in ogni caso da sola non basta per quel “salto di paradigma” che si chiede ai processi di sostenibilità e all’ESG considerando che si tratta di progetti basati direttamente o indirettamente sui 17 SDGs delle Nazioni Unite.
Per raggiungere questi obiettivi occorre “cambiare le regole del gioco”. Occorre rivedere completamente il rapporto con le risorse, qualunque sia il tipo di azienda e il tipo di business nel quale è coinvolta. Ecco il ruolo della saldatura tra sostenibilità e innovazione digitale, ecco il senso di un digitale che apre le porte verso una nuova lettura dei bisogni e un nuovo modo, compatibile con le risorse disponibili, per rispondere a questi bisogni. Ecco che modelli innovativi come la circular economy, come appunto la servitizzazione, come la remotizzazione e lo smart working, come la dematerializzazione dei servizi e dei processi produttivi.
Un esempio di trasformazione: cos’è la Circular economy e perché è importante per l’ESG
Per alcuni è “la soluzione”, per altri è un percorso lungo che può dare i suoi frutti solo se è accompagnato da una grande trasformazione culturale e sociale, per altri ancora è un “recupero” della naturale “circolarità” della natura. Comunque sia la circular economy è strettamente legata alle prospettive ESG ed è una risposta molto concreta alla necessità di ripensare la gestione delle risorse del piante a partire dalle attività di ciascuna singola impresa. Non si può guardare alle prospettive dell’ESG senza comprendere il paradigma economico dell’economia circolare, ovvero la capacità di fare della sostenibilità ambientale e sociale la base della strategia aziendale.
Ma che cosa si intende esattamente per economia circolare?
In grande sintesi si può definire l’economia circolare come la capacità di passare da un modello di produzione e di consumo lineare in cui ciascun passaggio prevede un consumo di materia e di energia per approdare a una fase finale in cui la materia e l’energia di ciascun prodotto cessano il loro ciclo di vita e richiedono un ulteriore impegno e investimento per gestire il loro smaltimento a un modello circolare in cui il prodotto viene progettato tenendo in considerazione il suo rapporto con le risorse e con l’ambiente e il suo ciclo di vita è impostato per “restituire” all’ambiente materia ed energia. Il principio che sta alla base di questa “circolarità” è legato a una logica che consente di disaccoppiare i temi della crescita economica in generale dai temi legati al consumo di risorse. L’altro aspetto chiave è rappresentato dalla possibilità di ripensare, grazie alla circolarità, il concetto stesso di rifiuto.
La circular economy permette di raggiungere una serie di obiettivi che fanno parte in modo strutturale delle logiche “circolari” che possono essere riassunte in una serie di punti chiave:
- Possibilità di aumentare, nel tempo, il valore di un prodotto e di valorizzare in modo sempre più consapevole anche tutti i suoi componenti nell’accezione di tutte le parti, dei processi e delle attività di lavorazione. Un valore che non “merita” di andare sprecato
- Disponibilità di maggiori opportunità di trasformazione da una logica di possesso a una logica di servizio, ad esempio nella forma di service transformation o servitization
- Di fatto questa prospettiva implica anche un prolungamento del ciclo di vita dei prodotti, o meglio un ripensamento del rapporto tra consumatore e prodotto
Per il mondo della produzione, in particolare, la circular economy implica un ripensamento profondo sia in termini di rapporto con i clienti sia ovviamente in termini di organizzazione del lavoro. In particolare questa prospettiva prevede alcuni passaggi fondamentali come:
- Riprogettazione dei prodotti sia in termini di logiche di prodotto orientato a prolungarne la durata sia in termini di utilizzo di materiali e componenti più adatto a garantire un corretto impatto ambientale
- Innovazione a livello di modelli di business in termini di un rapporto diverso tra prodotto e consumatore anche nel segno di una evoluzione tra un rapporto basato sul concetto di proprietà del prodotto a un concetto sempre più basato sul concetto di utilizzo del prodotto o dei benefici del prodotto. in tutto questo un ruolo assolutamente
- Nuovi processi produttivi. Questo percorso impone un ripensamento dei modelli di produzione in una prospettiva che consenta di aumentare l’attenzione anche a livello di fabbrica su tutte le problematiche ambientali. Ad esempio per ridurre gli scarti di produzione e per innovare le tecnologie di produzione e materiali, in modo da ottenere benefici in termini di gestione delle risorse energetiche e della lavorazione dei materiali stessi
- Impatto sulle supply chain. L’innovazione legata alla circular economy non si ferma al rapporto con i consumatori e alla “fabbrica” ma come appare evidente ha un impatto notevole anche a livello di innovazione nelle supply chain a cui è affidato, tra l’altro il compito fondamentale di essere nella condizione di recuperare il prodotto giunto a fine vita e di gestirne il recupero in termini di materiali, risorse energetiche, competenze e relazione con i consumatori o clienti finali.
- Gestione finanziaria innovativa. Il prolungamento del ciclo di vita dei prodotti, il ripensamento nel rapporto tra consumatore e prodotto, le nuove modalità di vendita e di pricing, la necessità di considerare già in fase di progettazione le attività connesse al recupero dei prodotti, impongono un ripensamento profondo anche dal punto di vista finanziario, a maggior ragione nel momento in cui si attuano anche modelli di business innovativi prevalentemente basati sul servizio. La componente finanziaria delle imprese deve essere coinvolta su questa evoluzione già in fase di redesign dei prodotti e dei processi.
Per quali ragioni l’ESG sta diventando mainstream
L’ESG non è in assoluto un fenomeno nuovo, i temi della trasformazione ambientale e sociale sono da tempo al centro dell’attenzione di tante imprese e tante organizzazioni, ma era vissuto fondamentalmente come un tema legato all’etica o al posizionamento delle aziende. A fronte di scelte, in molti casi anche molto coraggiose, e certamente anche molto impegnative in tema di trasformazione sui prodotti, la comunicazione avveniva sulla base della volontà delle imprese di valorizzare questo impegno anche dal punto di vista della comunicazione e dal punto di vista commerciale.
Sono nate da tempo varie modalità per certificare e fornire garanzie sull’effettivo impegno e sui risultati effettivamente raggiunti da parte delle imprese allo scopo di fornire prevalentemente ai consumatori la certezza che il premium-price che viene richiesto a fronte di un impegno spesso straordinario in termini di gestione dell’impatto ambientale dei prodotti corrisponde effettivamente alla realtà. Questa fase ha certamente aiutato molte imprese ad acquisire un vantaggio competitivo che esprime anche un valore etico e che ha trovato il consenso di un numero crescente di consumatori. Ed è proprio su questa base di partenza, ovvero sul numero di consumatori che indirizzano le loro scelte sulla base di criteri etici e sulla quantità ed entità delle loro scelte che è iniziato e si è consolidato questo fenomeno. Da qui il passaggio a un sistema di monitoraggio, di verifica, di parametrizzazione e di creazione di vere e proprie classifiche per garantire i consumatori nelle loro scelte e – in ragione della diffusione di questa tendenza – garantire gli investitori nelle loro decisioni di investimento. Ecco che l’ESG ha iniziato a diventare un fenomeno mainstream. Si è registrato il passaggio da una fase in cui l’impatto ambientale e sociale o l’impegno etico delle imprese influiva sulle scelte di un numero limitato di consumatori a una situazione in cui è notevolmente aumentata sia la sensibilità dei cittadini sia la numerosità dei consumatori. Davanti a questa evoluzione del mercato è parimenti aumentata anche l’attenzione degli investitori verso le aziende che decidono di lavorare sull’impatto ambientale, sociale per assumere un comportamento più responsabile in termini di gestione delle risorse.
Ma è proprio vero che i consumatori scelgono sulla base dell’impatto ambientale?
Non è possibile dare una risposta in assoluto, certamente oggi le scelte ambientali e sociali sono molto più importanti rispetto al passato e aumenta il numero delle persone che cercano di avere un rapporto più consapevole e più attento verso l’ambiente. Se si guardano i dati di GfK Sustainability (ricerca Who cares, Who does) si vede che il 59% degli italiani si aspetta dalle aziende e dai brand un comportamento sempre più responsabile in termini di impatto ambientale, non solo il 34% dichiara di essere disposto di “passare dalle parole ai fatti” e di cambiare le proprie abitudini se questo serve per migliorare l’impatto ambientale.
Si stanno creando le condizione per una Sostenibilità che assume il ruolo di “driver esistenziale”, che caratterizza e influenza gli stili di vita, che impatta direttamente sulle scelte di acquisto e di consumo. Ecco che è sempre più importante studiare e analizzare le tendenze Green e comprendere in modo sempre più approfondito le specificità del Target di consumatori “eco-consapevoli”.
Sulla base del comportamento di acquisto dei beni di largo consumo nella gestione degli imballaggi, nel 2019 sono stati identificati diversi tipi di impatto ambientale e atteggiamenti significativamente diversi in termini di responsabilità personale e di modalità di comportamento attivo nei confronti dell’ambiente, come ad esempio nella gestione dei rifiuti.
GFK vede in questo senso tre grandi tipologie di atteggiamento:
- Eco Attivi, consumatori e cittadini responsabili fortemente impegnati a compiere passi significativi per ridurre l’impatto ambientale.
- Eco Attenti (Considerers), ovvero in questo caso persone che sono sempre più preoccupate e attente ai temi ambientali ma tendono a considerare che l’azione sia prevalentemente in capo a governi e aziende
- Eco Disattenti o disinteressati, vale a dire soggetti che non sono interessati alle sfide legate all’impatto ambientale e non nutrono preoccupazioni legate a questo tipo di tematiche
La ricerca mostra che la consapevolezza è in aumento. Gli eco attivi crescono con tassi a due cifre a dimostrazione che la propensione alla sostenibilità non è un atteggiamento temporaneo, ma ha le condizioni per diventare un atteggiamento personale e sociale che condiziona in modo profondo le scelte e lo stile di vita dei consumatori.
Tutti “parlano” di sostenibilità, ma attenzione al rischio Greenwashing
Prima ancora che di ESG le imprese sono focalizzate sui temi della sostenibilità e lo sono perché la sostenibilità è sempre più richiesta dai consumatori nelle loro scelte quotidiane. La comunicazione fa leva ormai da tempo su questi temi e non a caso non pochi analisti hanno focalizzato l’attenzione sui rischi del Greenwashing.
Mentre molte aziende si impegnano autenticamente a ridurre il loro impatto ambientale, altre ricorrono purtroppo a stratagemmi ingannevoli per apparire più “verdi” di quanto realmente siano. Questa controversa pratica è nota come greenwashing, ed è diventata un fenomeno sempre più diffuso e problematico.
Cos’è il green washing e come riconoscerlo
Il concetto di “greenwashing”, letteralmente “pulizia verde”, ha origine negli anni ’80 negli Stati Uniti e si riferisce a una pratica commerciale fraudolenta in cui un’azienda o un’organizzazione presenta se stessa o i propri prodotti in modo più ecologico di quanto non siano realmente. Questa strategia mira a sfruttare l’aumento dell’interesse da parte dei consumatori per le questioni ambientali, spesso attraverso dichiarazioni vaghe, fuorvianti o semplicemente false sulla sostenibilità dei prodotti o sui benefici ambientali. Riconoscere il green washing può essere difficile, soprattutto perché molte aziende sono diventate molto abili nel dare l’impressione di essere verdi. Tuttavia, ci sono alcuni segnali di allarme che possono aiutare a identificare il greenwashing. Ad esempio, se un’azienda fa grandi affermazioni sulla sua responsabilità ambientale senza fornire dettagli specifici sulle sue politiche o pratiche, potrebbe trattarsi di greenwashing. Allo stesso modo, se un prodotto è etichettato come “verde” o “ecologico” senza alcuna spiegazione su cosa significhi esattamente questo termine, potrebbe trattarsi di una tattica di marketing piuttosto che di una vera preoccupazione per l’ambiente.
Le metriche per valutare il green washing
Nella valutazione del greenwashing è fondamentale utilizzare metriche chiare e misurabili. Una delle principali sfide è quella di stabilire standard universalmente accettati per definire cosa significa essere “verdi”. Ci sono tuttavia alcuni criteri comuni che possono essere utilizzati per giudicare la validità delle affermazioni ambientali fatte dalle aziende. Uno dei metodi più efficaci è quello le LCA Life Cycle Assessment che considera l’impatto ambientale totale di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione al termine del suo funzionamento. Altre metriche includono l’utilizzo delle risorse naturali (come l’acqua e l’energia), la quantità e tipo di imballaggio utilizzato, le emissioni di gas serra generate dal processo produttivo e i materiali utilizzati nella produzione del prodotto. Inoltre, è importante guardare oltre le singole affermazioni ecologiche e prendere in considerazione la performance complessiva dell’azienda dal punto vista della sostenibilità: ad esempio, anche se un prodotto è biodegradabile o riciclabile, ciò non significa automaticamente che l’intera azienda sia “verde”.
Come evitare il greenwashing
Per evitare il rischio del greenwashing è necessario innanzitutto educarsi ed informarsi sulle questioni legate alla sostenibilità e all’impatto ambientale dei prodotti che acquistiamo. È importante fare attenzione alle etichette e alle certificazioni ambientali: ci sono numerosi standard internazionalmente riconosciuti che garantiscono la conformità con determinati criteri ecologici. In secondo luogo, bisogna sempre cercare prove concrete delle affermazioni fatte dalle aziende: ad esempio report dettagliati sulle pratiche d’approvvigionamento oppure dati precisi sugli obiettivi raggiunti in termini d’emissioni ridotte. Infine, dobbiamo tutti fare la nostra parte nel premiare quelle aziende che si impegnano veramente nella riduzione dell’impatto ambientale dei loro processi produttivi e penalizzare quelle che ricorrono al greenwashing.
Nell’era della sostenibilità e della responsabilità societaria, affrontare il fenomeno del greenwashing è di cruciale importanza anche per l’ESG. Le aziende, così come i consumatori, devono essere in grado di discernere tra un impegno autentico verso la sostenibilità ambientale e gli stratagemmi di marketing ingannevoli. Attraverso la comprensione delle metriche adeguate, l’applicazione di una rigorosa analisi critica e l’esame dei casi concreti, possiamo coltivare una consapevolezza più profonda e una pratica più etica. Evitare il greenwashing non è solo un dovere etico, ma rappresenta anche un elemento chiave per la costruzione di un modello di business resiliente e sostenibile nel tempo. In questo contesto, le aziende B2B hanno l’opportunità non solo di guidare il cambiamento attraverso le proprie politiche interne, ma anche di influenzare positivamente l’intera catena del valore. Ricordiamo che ogni scelta aziendale ha un impatto che va oltre i confini dell’impresa stessa: è nostro compito fare in modo che tale impatto sia positivo per l’ambiente che ci ospita e per la società in cui operiamo.
L’esempio delle T Shirt per 2€? Se conosci il valore dell’impatto preferisci fare una donazione
Un social experiment veramente significativo. Una maglietta in vendita a un prezzo “aggressivo”: 2€. Tanti clienti potenziali sembrano approfittarne, si preparano a pagare e si preparano a portarla a casa, ma il “vero prezzo” è quello della consapevolezza, per effettuare l’acquisto devi conoscere come vengono prodotte le magliette. Per avere un prodotto con quelle caratteristiche a quel prezzo di mercato c’è un “altro prezzo” che si sta pagando. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche, la mancanza di sicurezza sotto ogni punto di vista, i rischi per la salute, lo sfruttamento delle persone. Tutto documentato e chiaro: per permetterti di acquistare questa maglietta a questo prezzo, questo è il prezzo che “fai pagare” a qualcun altro. L’alternativa? Donare i 2€, rinunciare alla maglietta e contribuire con i 2€ a creare migliori condizioni di lavoro e di vita per le persone coinvolte in questa filiera non certo virtuosa.
Il risultato? La consapevolezza di cosa si cela dietro al percorso produttivo di queste magliette toglie ogni esitazione. Si può benissimo fare a meno di questa T-Shirt mentre si può contribuire a evitare questi pericoli e queste situazioni. la maggior parte di coloro che si sono presentati come potenziali clienti diventano donatori.
Si poteva parlare di un “effetto” BlackRock per l’ESG?
Certamente aveva fatto notizia all’inizio del 2020 la presa di posizione con cui Larry Fink, CEO di BlackRock aveva comunicato la volontà del fondo di indirizzare i propri investimenti verso imprese che ispirano strategie e attività a criteri ESG: BlackRock, l’ambiente, le PMI e le prospettive dell’ESG). BlackRock è il più grande gestore privato di fondi al mondo e di fatto avea dichiarato di scegliere per i propri investimenti aziende che scelgono di migliorare il proprio impatto ambientale e di adottare governance attente alle tutele dei diritti del personale. Per una realtà che gestisce risorse per oltre 6.500 miliardi di dollari (valori che superano il PIL di tante economie nazionali) arrivare a stilare una lista di 244 imprese nel mondo che non stanno facendo abbastanza per contrastare il climate change significa fornire indicazioni strategiche e gestionali molto forti in direzione di politiche e progetti di tipo ESG.
Viene da domandarsi per quale ragione una realtà come BlackRock così importante e così attenta anche al ritorno dei propri investimenti abbia scelto di prendere una posizione così chiara e così netta. Senza nulla togliere al valore morale di questa scelta e alla visione etica che anima le strategie del fondo c’è certamente anche la convinzione (e la capacità previsionale) che il rischio legato al clima e al rapporto tra imprese e ambiente rappresenti una componente sempre più importante del rischio di investimento. Più le aziende sono nella condizione di gestire i proprio rapporto con l’ambiente più sono nella condizione di ridurre i fattori di rischio collegati al clima e più sono nella condizione di rispettare le previsioni di medio e lungo periodo, anche a fronte di eventuali emergenze.
L’attivismo della finanza: Morgan Stanley verso finanziamenti solo a net-zero emissions entro 2050
Morgan Stanley è una delle principali società di servizi finanziari che opera a livello internazionale e che offre servizi di gestione degli investimenti, gestione patrimoniale, investment banking, con una presenta in oltre 41 paesi e dieci anni fa circa ha lanciato un proprio Global Sustainable Finance Group allo scopo di focalizzare attenzione e risorse per individuare i potenziali rischi e le possibili opportunità legate ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità. L’impegno è proseguito con la creazione di un Institute for Sustainable Investing con cui Morgan Stanley punta ad analizzare e creare le condizioni per stimolare e accelerare lo sviluppo di investimenti ispirati ai criteri della sostenibilità con una serie di iniziative che prevedono la formazione professionale di figure preparate nella gestione di investimenti sostenibili, sia in termini di analisi delle prospettive e dei rischi sia in termini di skill nell’utilizzo di strumenti adeguati al monitoraggio e al benchmark delle performance legate alla sostenibilità. Ma l’Institute for Sustainable Investing ha anche lo scopo di avviare forme di collaborazione con imprese e istituzioni allo scopo di aumentare la conoscenza e la sensibilizzazione su questi temi.
Nell’ottobre del 2020 la società ha annunciato il proprio commitment per raggiungere net-zero financed emissions entro il 2050. In quella circostanza il Chief Sustainability Officer della società Audrey Choi ha dichiarato che i cambiamenti climatici rappresentano oggi uno dei temi più complessi del nostro tempo, con tantissime interconnessioni a tutti i livelli e per stimolare e promuovere la transizione verso un futuro low carbon occorrono anche tools standard e metodiche condivise per la misurazione, il controllo e per la divulgazione e la comunicazione delle emissioni che provengono da realtà imprenditoriali che sono oggetto di finanziamenti. Da qui l’impegno della società per sviluppare tool e metodiche per misurare e gestire le attività finanziarie che sono correlate con emissioni di carbonio.
Per valutare e analizzare come le aziende si stanno muovendo verso la sostenibilità e per conoscere i sustainability manager come professionsti della sostenibilità e per approfondire le esperienze di importanti realtà attive nel nostro paese vi invitiamo alla lettura di una serie di interviste nella sezione Sustainability manager
Prima versione 22 novembre 2020
Ultimo aggiornamento 20 Agosto 2024