SUSTAINABILITY MANAGEMENT

Green procurement, punto di svolta per l’ESG

Il percorso verso la sostenibilità, in particolare nelle aziende del largo consumo, passa dall’affermazione di un procurement sempre più responsabile verso tutte le forme di impatto ambientale e sociale. La visione di Cesare Guarini, former Director Sustainability Procurement di Philips Morris International

Pubblicato il 14 Feb 2023

Cesare Guarini, former Sustainability Procurement Director Philip Morris International

Chi sostiene, da tempo, che la sostenibilità è un grande gioco di squadra fa spesso riferimento alle aziende e alle loro catene di fornitura. Quello delle supply chain è un esempio molto concreto e molto efficace di come la sostenibilità sia il risultato del contributo di tanti diversi attori che collaborano assieme per il raggiungimento di un obiettivo comune. È ben difficile che un produttore di beni di largo consumo, per fare un esempio, possa portare sul mercato un prodotto sostenibile se le materie prime con cui nascono i prodotti non sono sostenibili o se i magazzini, le reti commerciali o i trasporti di cui si serve per raggiungere i consumatori non contribuiscono alla riduzione delle emissioni. Grazie a questo approccio alla sostenibilità è cresciuto nelle aziende il ruolo del procurement come punto di riferimento, come attore nella valutazione, nel controllo e nella decisione di scelte ispirate a criteri green. Se un’azienda è sostenibile nella misura in cui è in grado di scegliere fornitori sostenibili ecco che il procurement non solo diventa green procurement, ma rappresenta un asset strategico di qualsiasi azienda per le logiche ESG.

ESG360 ha voluto affrontare questo tema con Cesare Guarini, former Director Sustainability Procurement di Philips Morris International e osservatore attento ai fenomeni e ai temi che guidano gli sviluppi legati all’ESG.

Come hai vissuto nella tua carriera il rapporto tra procurement ed innovazione?

Quando alla fine anni ‘80 ho iniziato a lavorare in ambito procurement era il momento in cui il focus sul core business di questa funzione era quello della “riduzione dei costi a tutti i costi” e si iniziava ad arricchirlo con elementi di valutazione che guidavano la scelta dei fornitori in termini di qualità, di just in time, di servizi a valore.

A quel punto, si è cominciato quindi a riflettere sul grande tema del Supplier Relationship Management (SRM). Per creare più valore, di fronte ad un network di fornitori e clienti collegati a livello mondiale e trasversale, è apparso necessario superare il concetto di rapporto con i fornitori basato principalmente su negoziazione per passare a una modalità più collaborativa. Da qui è nato il concetto di SRM.

 

Ed è cambiato anche il sistema di relazioni del procurement?

Sì, all’interno di questo nuovo rapporto con i fornitori, il procurement non doveva contribuire solo a livello di bottom line, ma anche come top line in sostegno alla crescita aziendale e da qui sono partiti programmi generalmente riferiti come Supplier Enabled Innovation, una nuova forma di innovazione che viene generata attraverso la collaborazione con i fornitori.

Cosa è cambiato a livello di mansioni?

Si chiedeva al procurement di svolgere un ruolo di supplier enabled innovation e di portare nuove idee e tecnologie grazie ai fornitori, ma senza dargli visibilità sulle priorità dell’R&D, dei consumatori o del prodotto. Adesso che il procurement entra sempre di più anche nel processo di R&D questo approccio rende possibile alle aziende più innovative di accelerare ed ampliare la propria pipeline di nuovi prodotti allineando la propria ricerca con quella dei suoi fornitori.
Posso dire che si è lavorato molto per fare in modo che il procurement diventasse parte integrante di questo processo, ma ancora molto rimane da fare.

 

Possiamo dire che c’è anche un rapporto più stretto tra procurement ed innovazione che aiuta nel momento in cui l’innovazione deve integrare la componente di sostenibilità?

Prima che arrivasse questa grande enfasi sulle sostenibilità, il procurement faceva innovazione anche e soprattutto per ridurre i costi. Ad esempio, la bottiglia meno pesante, il tappo senza pigmento, la riduzione dello spessore del cartone. Ora le stesse attività acquisiscono un’importanza ancor più grande nel momento in cui alle stesse viene associata anche una valenza in termini di riduzione di impatto ambientale. Sempre di più, innovazione e sostenibilità sono allineate e diventano la stessa cosa.

Cosa è cambiato per arrivare al procurement attuale?

La sostenibilità appunto. Un obiettivo questo che rappresenta una opportunità unica per elevare la funzione procurement al livello che gli compete rispetto al suo contributo riguardo il raggiungimento degli obiettivi aziendali – livello che poche aziende ed industrie sino ad ora hanno riconosciuto, perché nessuna azienda potrà mai dirsi sostenibile se non ha un procurement in grado di guidare la supply chain verso una vera sustainability. Infatti, dove si trovano le più grandi opportunità legate alla sostenibilità se non nella catena di fornitori, ovvero nella supply chain che il procurement come funzione è delegato a gestire?

A mio avviso poi le aziende più visionarie sono quelle che uniscono il ruolo di Chief Procurement Officer con quelle di Chief Sustainability Officer in quanto i due terzi dei temi che stanno sul “tavolo” del Chief Sustainability Officer sono legati alla attività gestite proprio dal Chief Procurement Officer.

Iniziamo dalle regole. La sostenibilità non è solo una scelta di campo, ma inizia ad essere sempre di più anche una necessità di compliance, di rispetto di leggi e normative. Cosa ne pensi?   

Credo che quando arrivano le regole ci sono fenomeni che già si sono consolidati. Spesso e volentieri il quadro legislativo arriva perché ormai è chiaro che noi consumatori, noi cittadini vogliamo maggiori garanzie in merito ai temi dell’impatto ambientale e sociale e non vogliamo più aspettare. Detto questo, occorre aggiungere che ci sono leggi che aiutano a generare un impatto concreto come la riduzione del carbon footprint, come l’inclusione sociale o come la parità di genere. Ci sono poi benefici che possono essere molto concreti in assoluto, ma se si guarda al rapporto tra la normativa ed un contesto popolato da aziende medio-piccole si deve registrare la difficoltà da parte di queste realtà di investire risorse in questi ambiti. La legge è importante ma da sola non basta a creare le condizioni per un passaggio che deve essere anche culturale.

Come possiamo definire questo passaggio?

Il termine che per me calza meglio è quello di change management. Fondamentalmente, occorre distinguere in funzione della dimensione dell’azienda, delle sue strutture e risorse necessarie per creare e gestire questo patrimonio di conoscenza e di trasformazione. Tipicamente un’azienda più piccola dispone di meno risorse e quindi la facilitazione del percorso di conoscenza ed attuazione a livello di normative e di contesto per la sostenbilità è ancora più importante. Aggiungo che la stima delle risorse necessarie per portare avanti un programma di change management per una trasformazione importante come quella della sostenibilità, viene spesso sottovalutata.

Da quando si è iniziato a parlare effettivamente di Green procurement?

Se si deve dare una connotazione temporale a mio avviso possiamo dire che il Green Procurement si è affermato soprattutto in questi ultimi 10 anni. Non è arrivato subito con una chiara connotazione “verde”, ma ne ha creato le condizioni nel tempo perché questo avvenisse. Di fatto il procurement è la funzione che più di tutte conosce ciò che avviene nelle supply chain,  conosce i fornitori, ed è quindi nella condizione di individuare punti di forza e punti di debolezza, rischi ed opportunità. Nel momento in cui è cresciuta l’attenzione sui temi ambientali il procurement si è trovato nella condizione di poter intercettare da subito le criticità. Non solo, il procurement ha anche una visione privilegiata attraverso la visibilità sui processi e sulla capacità dei fornitori e dei loro clienti idi gestire tematiche di sostenibilità. Questa preziosissima conoscenza ha permesso di rafforzare ulteriormente la posizione del procurement come punto di snodo di tematiche green.

Mi riferisco poi a questi ultimi dieci anni perché è anche il periodo in cui i consumatori hanno iniziato ad aumentare la loro sensibilità e attenzione. In questo arco di tempo abbiamo assistito tutti ad una crescita nella domanda di prodotti sostenibili. Come reazione a questa situazione i brand hanno dovuto aumentare la loro attenzione sulle supply chain non solo per aumentare la competitività o per migliorare l’efficienza ma anche e soprattutto per aumentare il livello di affidabilità delle informazioni legate all’impatto ambientale, di identificare reali o potenziali critcità e, soprattutto, affrontarle. Si può infatti dire che in questo periodo si è anche registrato un aumento nel senso di responsabilità dei brand verso le supply chain. Una responsabilità che rappresenta a sua volta uno dei punti qualificanti del passaggio verso il green procurement e della necessaria crescita di importanza della funzione procurement in quanto tale.

Più che a un green procurement non siamo davanti a un responsible procurement?

Sì, la responsabilità intera della sostenibilità dei prodotti è – per tutti gli stakeholder – del brand: le aziende mondiali si sono trovate obbligate ad andare oltre il proprio raggio di responsabilità ed azione tradizionali: garantendo e condividendo un maggior livello di informazione sulla produzione, sugli stabilimenti, sui fornitori a vari livelli. Le aziende devono ripercorrere la catena di fornitura al contrario per analizzare tutti i passaggi e tutti gli asset allo scopo di garantire la massima conoscenza possibile perché alla responsabilità si può rispondere solo con un alto livello di conoscenza.

Quali sono le competenze necessarie per un green procurement realmente efficace?

La competenza, se così si può definire, più importante non riguarda a mio avviso in modo esclusivo il procurement o la sostenibilità, ma attiene al change management ovvero la necessità che il sustainability procurement possa contare su figure con nuove competenze, non solo tecniche. Stiamo parlando di una evoluzione molto importante della professione che necessita di nuovi requisiti. Sarà in futuro sempre più importante gestire le relazioni, relazionarsi tramite soft skills, aumentare la capacità di resilienza, riuscire a trovare il giusto equilibrio, gestire processi complessi con un impegno importante a livello di networking e di stakeholder engagement, sia interno che esterno.

 

Che ruolo svolge il digitale nel green procurement?

Ad oggi più della metà delle discussioni che riguardano la sustainability ruotano attorno al carbon footprint, e quindi la maggior parte delle richieste e dell’attenzione è concentrata sui carbon emissions factor. Chi opera in questo mondo ed offre soluzioni digitali si trova al centro delle discussioni.

Vedo un numero crescente di fornitori in questo spazio che partono dal digitale per aiutare le aziende a presidiare il tema delle emissioni ed in particolare per aiutare le imprese ad andare oltre il primo livello e contare sul coinvolgimento di stakeholder diversi, anche indiretti. Per attuare un programma forte di sustainability, occorre dunque orchestrare tante funzioni: i prodotti, i processi, le risorse umane, le operations e per questo servono competenze specifiche e strumenti, piattaforme digitali di raccolta e consolidazione di dati per permettere sustainability analytics e reporting.

Che rapporto esiste oggi tra Green procurement e ESG?

Come in ogni nuovo campo in pieno sviluppo, le definizioni non sono univoche e variano nel tempo. Se consideriamo il green procurement come attività focalizzate sul prodotto finito e l’ESG come valutazione aziendale nella quale rientrano anche i prodotti, il green procurement è certamente necessario, ma non è sufficiente. Serve qualcosa di più che attiene a una visione veramente olistica e completa. Come azienda posso migliorare il profilo di CO2 di un mio prodotto, ma magari sto utilizzando, senza saperlo, un centro di produzione in cui è presente manodopera minorile. ESG vuol dire investire su tutti i fattori di conoscenza che attengono all’impatto di un brand con il coinvolgimento di tutti i partner che ti sostengono nel processo: dalla scelta delle materie prime al momento in cui il prodotto arriva sullo scaffale. Ritengo personalmente che i sustainability ratings siano molto utili, ma che al momento nessun di questi riesca veramente cogliere tutti gli aspetti di performance ed impatto ESG. Inoltre, differenti ratings si indirizzano spesso a target audience diverse. Anche per questo, molte azienda perseguono valutazioni da agenzie di rating diverso allo stesso tempo.

Chi sono, in azienda gli interlocutori primari del Green procurement?

Prima di tutto le figure del procurement tradizionale, poi la funzione di corporate sustainability, certamente e in modo rilevante l’IT. Sono a questo proposito convinto che una strategia veramente efficace di sustainability procurement passi inevitabilmente dal mondo IT. Un discorso a parte merita poi il ruolo del CFO. In certe aziende il Chief Sustainability Officer riporta al CFO perché la correlazione tra una performance di sostenibilità e l’impatto generale sul business, sull’accesso al capitale, o sulla valutazione dell’azienda cresce ogni giorno di più sia in termini di fiducia da parte dei clienti sia in termini di mitigazione di quei fattori di rischio che stanno alla base delle scelte del mondo finanziario.

Prosegui la lettura delle strategie e delle esperienze di sustainability manager di importanti aziende e organizzazioni.

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