L'approfondimento

Cos’è l’economia circolare e perché è un vantaggio per le aziende

Il modello di produzione e consumo che punta a estendere il ciclo di vita dei prodotti e a ridurre la produzione dei rifiuti può essere anche un’opportunità di business per le imprese, oltre che una scelta improntata alla sostenibilità. Ecco di cosa si tratta

Pubblicato il 21 Feb 2023

economia circolare

Condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e dei prodotti: sono questi i principi che seervono a spiegare cos’è l’economica circolare, con l’obiettivo di estendere il ciclo di vita dei prodotti e di ridurre al minimo la produzione dei rifiuti. Questo modello di produzione e di consumo sta facendosi largo negli ultimi anni come risposta alle emergenze ambientali, tanto che anche il Parlamento Europeo nel 2021 ha votato a favore del nuovo piano d’azione per l’economia circolare, andando nella direzione di un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile dal punto di vista ambientale, libera da sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050.

Che cosa si intende per economia circolare

L’economia circolare, quindi, è un modello di produzione e consumo che punta a estendere il ciclo di vita dei prodotti e che contribuisce a ridurre la produzione di rifiuti. L’obiettivo è che, una volta che i prodotti hanno terminato la propria funzione, sia possibile reintrodurre nel ciclo economico i materiali di cui sono composti, che potranno così generare nuovo valore.

Questo nuovo modello è particolarmente importante in una realtà come quella dell’Unione Europea, dove vengono prodotte ogni anno più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti.

Quando nasce l’economia circolare

La data di nascita dell’economia circolare è convenzionalmente fissata al 1966, con la pubblicazione dell’articolo “The Economics of the Coming Spaceship Earth”, dell’economista Kenneth E. Boulding. Dieci anni dopo, nel 1976, il rapporto “The Potential for Substituting Manpower for Energy” venne presentato alla Commissione Europea. Gli autori, Walter Stahel e Genevieve Reday, misero nero su bianco i principi dell’economia circolare e il suo impatto sul sistema economico, dalla creazione di nuovi posti di lavoro al risparmio sui costi di produzione fino al contenimento della creazione di nuovi rifiuti.

Differenze tra economia lineare e economia circolare

Le differenze tra economia circolare ed economia lineare sono profonde. L’economia lineare, quella su cui si è prevalentemente basato il nostro modello di produzione e consumo, è un’economia industriale, di mercato, basata sull’estrazione di materie prime sempre nuove, sul consumo di massa e sulla produzione di scarto una volta raggiunta la fine della vita del prodotto. Si tratta di un modello che perdura ormai da 150 anni e che nel tempo ha mostrato tutte le sue criticità, soprattutto con effetti estremamente dannosi per l’ambiente: dalla contaminazione dei mari e del suolo alle emissioni di gas serra – con tutte le conseguenze negative per il clima – fino all’aumento incontrollato della produzione di rifiuti.

L’economia circolare si presenta come la soluzione ai problemi provocati da un modello che ha il proprio punto di maggiore debolezza nel considerare infinite e inesauribili le risorse naturali. Così al principio di “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”, che dipende dalla disponibilità di grandi quantità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso prezzo, l’economia circolare contrappone un approccio più attento e responsabile, quello di “un’economia pensata per potersi rigenerare da sola – si legge nella definizione data dalla Ellen MacArthur Foundation – In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”.

Chi ha inventato l’economia circolare

Come dicevamo, gli “antenati” dell’economia circolare sono l’architetto Walter R. Stahel e l’economista e sociologa Geneviève Reday-Mulvey, che insieme realizzarono per la Commissione Europea un rapporto in cui si analizzava il tema dello spreco di risorse dovuto alla dismissione di beni e prodotti che non venivano riparati. A questo modello i due studiosi contrapposero quello che prevedeva di estendere il ciclo vitale dei beni per contenere in questo modo gli sprechi.

Si parlò così di economia “ciclica”, caratterizzata dal prendere a modello i sistemi naturali “autorigeneranti”, come il ciclo dell’acqua, in cui i produttori diventano responsabili di ciò che esce dalle loro fabbriche anche nella fase post-vendita. In estrema sintesi, secondo la visione di Stahel e Reday-Mulvey il nuovo approccio sarebbe utile per dare una nuova struttura al sistema industriale.

I cinque pilastri dell’economia circolare

Per dare un’attuazione completa del modello dell’economia circolare è necessario adeguarsi a cinque principi fondamentali. Il primo è quello della Sostenibilità delle risorse, che comporta l’utilizzo di fonti e materiali rinnovabili, o che provengano dal riuso o dal riciclo. Il secondo pilastro è quello del prodotto come servizio: invece di vendere la proprietà del bene si può offrire al cliente il servizio d’uso, riducendo l’impatto ambientale e tenendo sotto controllo il ciclo di vita del prodotto e pianificando il riciclo e il riuso delle sue componenti. Il terzo pilastro è quello delle piattaforme di condivisione, che consentono di ottimizzare i costi di beni e servizi e le risorse impiegate per produrli, puntando sull’efficienza. A seguire c’è il principio dell’estensione del ciclo di vita, che consente di privilegiare, già nella fase della progettazione, la modularità dei prodotti, in modo da renderne più semplice la riparazione, l’aggiornamento e la rigenerazione. E infine il recupero e riciclo: questo significa da una parte rendere possibile il riciclo delle materie prime, e dall’altra anche la rigenerazione, la riparazione e la reimmissione sul mercato dei prodotti dopo il loro primo ciclo di utilizzo, anche per scopi diversi da quelli iniziali.

Le 3 fasi dell’economia circolare

L’approccio dell’economia circolare è caratterizzato dal modello delle tre R: ridurre, riusare e riciclare.

Ridurre” si riferisce a produrre beni e servizi usando una minore quantità di materie prime naturali. Un principio che vale quindi per le materie prime, i processi di lavorazione e il fine vita dei prodotti.

Riusare” è il principio trasversale che riguarda diversi verticali: dal modello di noleggio ad abbonamento di ogni genere di beni e servizi all’utilizzo di capi di abbigliamento di seconda mano, soltanto per fare un paio di esempio tra i più calzanti.

Infine “Riciclare” fa riferimento alla trasformazione dei rifiuti in nuovi prodotti o in componenti o materiali utili per generare nuovi prodotti.

Transizione verso un’economia circolare

A spiegare per quale motivo sia necessaria una transizione verso l’economia circolare si cono alcuni fatti ormai all’attenzione di tutti: nella fase storica contemporanea, l’umanità sta fronteggiando un aumento della domanda di materie prime e – contemporaneamente – l’emergenza della scarsità di alcune risorse naturali, che per loro natura sono limitate, mentre la popolazione mondiale cresce e questa è una delle cause dell’aumento della domanda.

Tra le conseguenze di questa dinamica c’è anche il fatto che la scarsità di materie prime, se non affrontata con la giusta attenzione verso il riuso e il riciclo delle risorse, è uno dei fenomeni alla base della dipendenza di alcuni Paesi da altri. E – non ultimo – c’è l’impatto sul clima e sull’ambiente causato dall’economia lineare, che impone un utilizzo delle materie prime improntato alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera.

Le opportunità offerte dall’economia circolare alle aziende

A maggior ragione dopo l’emergenza causata dalla pandemia da Covid-19 l’economia circolare si è dimostrata un driver di resilienza e di rilancio per molte realtà, perché consente alle attività produttive di impegnarsi sulla sostenibilità e sull’attenzione all’ambiente, conquistandosi un ruolo positivo nel contesto sociale in cui si trovano a operare e generando un nuovo valore di business.

Adottare l’economia circolare è infatti per le imprese è una scelta che può generare nuova crescita economica. Intanto perché consente un uso più razionale delle risorse, un’estensione della vita utile dei prodotti e il loro ricondizionamento a fine uso, che equivale tra l’altro anche a una riduzione dei costi. Si tratta di principi che sono inoltre in grado di portare innovazione nelle scelte di business delle aziende, rendendo tra l’altro più resilienti le catene di approvvigionamento grazie all’accorciamento delle filiere e alla loro trasparenza.

Implementare l’economia circolare in azienda

La transizione verso l’economia circolare comporta per le imprese anche un ripensamento del design dei prodotti nella direzione di principi come la durabilità, la standardizzazione, la modularità, e l’utilizzo di materiali sostenibili, tutto nell’ottica di ridurre l’impatto ambientale, che spesso di traduce anche in una diminuzione dei costi e nella razionalizzazione dei costi energetici e dell’uso delle risorse.

A questo c’è anche da aggiungere che una ulteriore opportunità di business può provenire, come dicevamo, dal ripensamento del modello di business, con il passaggio dalla logica tipica dell’economia lineare, e quindi di possesso, alla logica di utilizzo. Una strategia che se condivisa a livello di filiera può creare nuove opportunità per tutti gli attori che ne fanno parte.

In tutto questo, ovviamente, le tecnologie possono giocare una parte importante come abilitatrici dei nuovi modelli di business.

Le aziende attive con l’economia circolare

A raccogliere alcune delle più importanti esperienze delle aziende italiane nel campo dell’economica circolare è il sito economiacircolare.confindustria.it, che nello specifico ha pubblicato un database di 60 case history, con schede descrittive e il racconto affidato a imprenditori e manager che hanno scelto la sostenibilità e l’economia circolare come un drifver di sviluppo. “Un database sicuramente rappresentativo delle tante realtà industriali che in Italia hanno già colto le potenzialità ed il valore della sostenibilità –  si legge sul sito – attivando processi di transizione dal modello economico lineare a quello circolare e verificandone l’efficacia in termini di produttività e valore aggiunto, sia sul fronte economico che su quello del riconoscimento da parte di consumatori, Istituzioni e partner, fornendo così un effettivo vantaggio competitivo a queste imprese”.

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