Environment

Carbon footprint: cos’è, come si misura ed è un obiettivo possibile o utopia per le aziende?



Indirizzo copiato

Cosa significa misurare l’impronta di carbonio di un prodotto, di un processo industriale, di una organizzazione? Quali sono le normative di riferimento, le modalità di calcolo e di rendicontazione e come si arriva a definire l’impatto di una organizzazione anche in funzione dell’impatto ambientale

Aggiornato il 27 lug 2024



Carbon footprint: cos'è, come si misura, perché è importante conoscerla

La carbon footprint , letteralmente impronta di carbonio,  è il parametro che permette di determinare gli impatti ambientali causati dalle attività di origine antropica sul climate change e, quindi, sul riscaldamento globale del Pianeta. Si tratta, in estrema sintesi, di un’indicazione della quantità di anidride carbonica (CO2) emessa nell’atmosfera a causa delle nostre abitudini di vita, sia direttamente sia indirettamente. (Leggendo questo articolo Emissioni CO2, dove trovare i dati è possibile avere una visione di una serie di fonti attive nel calcolo delle emissioni di CO2 n.d.r.)

La carbon footprint quindi, è un elemento chiave dell’impronta ambientale dei beni e dei servizi. E per impronta ambientale intendiamo la misurazione di quanta superficie in termini di terra e acqua è necessaria per la popolazione umana per produrre, con la tecnologia disponibile, le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti prodotti. E’ possibile misurare l’impronta ambientale di un individuo, di una città, di una popolazione, ma anche di una azienda o di un prodotto.

Cosa si intende con il termine carbon footprint

William Rees  e Mathis Wackernagel sono stati i primi a definire nel 1992 l’impronta di carbonio. Wackernagel attualmente è presidente della ONG Global Footprint Network mentre Rees è docente e direttore della University of British Columbia’s School of Community.  Insieme hanno pubblicato il libro Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth – La nostra impronta ecologica: ridurre l’impatto umano sulla Terra – nel 1996.

Nel tempo, la carbon footprint, ha contribuito, di fatto, a rappresentare un indice di sostenibilità, e si è evoluta in un importante strumento per valutare l’impatto ambientale dell’attività umana. Contemporaneamente la misurazione dell’impronta carbonica rappresenta anche una delle leve sulle quali lavorare per impostare delle logoche di transizione energetica che possano dare vita a forme di produzione sostenibile da una parte e di risk management dall’altra.

La misurazione dell’impronta di carbonio rappresenta un modo per tracciare l’impatto delle nostre azioni sull’ambiente. In pratica è un indice di valutazione dell’impatto ambientale anche delle nostre abitudini, dei nostri comportamenti che vengono a loro volta misurati in termini di emissioni di anidride carbonica.

Questo indice è calcolato attraverso l’analisi di dati relativi alle emissioni dirette (cioè quelle prodotte dai nostri mezzi di trasporto, riscaldamento ecc.) e alle emissioni indirette (cioè quelle che derivano dall’utilizzo dell’energia elettrica usata nel nostro lavoro o nella produzione di beni e servizi).

Numerosi sono i fattori che contribuiscono a determinare la quantità di anidride carbonica emessa da un’azienda o da un organizzazione: dal consumo energetico delle strutture a quello dei mezzi di trasporto, fino alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti. Una corretta gestione della propria carbon footprint richiede quindi un’analisi accurata di tutti questi fattori, al fine di individuare le possibili aree d’intervento che consentano di ottimizzarli

Cosa misura la Carbon Footprint

Nello specifico, la carbon footprint è una misura sia quantitativa sia qualitativa delle emissioni di gas serra generate dalle attività antropiche. E’ calcolata in base ad una serie di parametri, tra i quali le emissioni dirette (ad esempio i prodotti alimentari), le emissioni indirette (ad esempio la produzione dell’energia e l’impatto ambientale del consumo), ed i vari processi industriali che hanno un impatto sull’ambiente.

L’obiettivo della carbon footprint è quello di fornire informazioni accurate e complete sull’impatto ambientale delle attività umane, così da consentire a ciascuno di noi di adottare uno stile di vita più sostenibile.

Ad esempio, è possibile ridurre la propria carbon footprint attraverso azioni come l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, la limitazione dell’uso di trasporti privati, l’acquisto di prodotti a bassa emissione e l’adozione di soluzioni per la gestione dei rifiuti.

Cosa misura la Carbon Footprint

Il dato permette infatti di stimare le emissioni in atmosfera di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente (ovvero prendendo come riferimento per tutti i gas serra l’effetto associato al principale di essi, il biossido di carbonio o anidride carbonica, calcolato pari ad 1), calcolate lungo l’intero ciclo di vita del sistema in analisi.

E’ stato il Protocollo di Kyoto – trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, pubblicato l’11 dicembre 1997 nella città giapponese di Kyoto da più di 180 Paesi, in occasione della Conferenza delle parti “Cop3” della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – a stabilire quali gas serra debbano essere presi in considerazione nel calcolo:

  • anidride carbonica (CO2, da cui il nome “carbon footprint”),
  • metano (CH4),
  • ossido nitroso (N2O),
  • idrofluorocarburi (HFC),
  • perfluorocarburi (PFC)
  • esafloruro di zolfo (SF6)

A che cosa serve conoscere la carbon footprint di un prodotto o di un servizio?

La carbon footprint è un parametro di grande importanza ed utilità per le pubbliche amministrazioni e gli organismi internazionali: da un lato permette infatti di valutare e quantificare gli impatti emissivi in materia di cambiamenti climatici nell’ambito delle politiche di settore, dall’altro aiuta a monitorare l’efficienza ambientale ed energetica delle proprie strutture.

Inoltre, dal momento che l’impronta di carbonio rappresenta il 50% di tutta l’impronta ecologica, conoscerne l’entità è importante anche in termini di pianificazione, poiché fornisce un’idea della domanda esercitata sul pianeta derivante dall’uso dei combustibili fossili. La sua riduzione è quindi essenziale per porre termine allo sfruttamento eccessivo delle risorse.

Ma il dato è cruciale anche per le strategie di business: in un contesto che vede premiati i fornitori di prodotti o servizi a basse emissioni, la carbon footprint può essere uno strumento per valorizzare le proprie attività e promuovere le proprie politiche di responsabilità sociale ed ambientale, secondo i criteri ESG.

In questo quadro, infatti, le aziende, oltre a condurre l’analisi e la contabilizzazione delle emissioni di CO2, si impegnano a definire un sistema di carbon management finalizzato all’identificazione e realizzazione di quegli interventi di riduzione delle emissioni, economicamente efficienti, che utilizzano tecnologie a basso contenuto di carbonio.

Le misure di riduzione possono essere integrate dalle misure per la neutralizzazione delle emissioni o carbon neutrality, realizzabili attraverso attività che mirano a compensare le emissioni con misure equivalenti volte a ridurle con azioni economicamente più efficienti o più spendibili in termini di immagine (es. piantumazione di alberi, produzione di energia rinnovabile, etc.).

Secondo il ministero italiano dell’Ambiente, l’esperienza degli ultimi anni suggerisce che il label di carbon footprint è percepito dai consumatori come un indice di qualità e sostenibilità delle imprese.

Come si calcola la carbon footprint

Come si calcola la carbon footprint

Nel calcolo dell’impronta di carbonio devono essere considerate le emissioni di tutti i gas ad effetto serra (GHG), che vengono convertite in CO2 equivalente attraverso dei parametri che vengono stabiliti a livello mondiale dall’Ipcc Intergovernmental Panel on Climate Change, organismo che opera sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Il calcolo dell’impronta di carbonio di un bene o servizio deve tenere conto di tutte le fasi della filiera a partire dall’estrazione delle materie prime, fino allo smaltimento dei rifiuti generati dal sistema stesso secondo l’approccio Lca, cioè del Life Cycle Assessment (o analisi del ciclo di vita).

Per valutare la carbon footprint di un prodotto o servizio è stata sviluppata una norma tecnica standard: UNI CEN ISO/TS 14067:2014 Gas ad effetto serra – Impronta climatica dei prodotti (Carbon footprint dei prodotti) – Requisiti e linee guida per la quantificazione e comunicazione, entrata in vigore l’11 settembre 2014.
Lo scopo della norma ISO 14067 è quello di quantificare le emissioni di gas a effetto serra associate all’intero ciclo di vita di un prodotto, a partire dall’estrazione delle risorse comprendendo l’approvvigionamento delle materie prime, le fasi di produzione, utilizzo e fine vita.

Gli standard internazionali: valutare la carbon footprint di un’azienda

Per valutare la carbon footprint di un’azienda esistono due standard internazionali, uno emesso dal WRI/WBCSD (GHG Protocol) e l’altro dall’ISO (ISO 14064-1). Entrambi prevedono, pur utilizzando diverse denominazioni, l’obbligatorietà di considerare le emissioni di GHG prodotte direttamente dall’organizzazione e quelle indirettamente generate nella produzione dell’energia elettrica e termica che l’organizzazione utilizza. Le altre emissioni indirette (non collegate ai consumi elettrici e termici) possono essere contabilizzate su base volontaria.

Queste norme appartengono al più ampio quadro degli standard ISO della famiglia 14060 sulla carbon footprint:

  • la norma ISO 14064-1, che descrive i principi ed i requisiti per la progettazione, lo sviluppo, la gestione e la rendicontazione degli inventari GHG di un’organizzazione. Si tratta dello standard che definisce i criteri per determinare i limiti di emissione e rimozione di GHG, quantificare le emissioni e le rimozioni di gas GHG e permette di identificare azioni o attività specifiche dell’azienda volte a migliorare la gestione dei GHG. Comprende inoltre requisiti e indicazioni sulla gestione della qualità dell’inventario, la rendicontazione, la revisione (audit) interna e le responsabilità dell’organizzazione nelle attività di verifica;
  • la norma ISO 14064-2, che specifica i principi e i requisiti per determinare le linee di riferimento (base line) necessarie per il monitoraggio, la quantificazione e la rendicontazione delle emissioni di un progetto. Si focalizza in particolare sui progetti che hanno come obiettivo quello di ridurre le emissioni di GHG (es. efficientamento energetico) o di aumentare la rimozione (es. riforestazione). Fornisce principi e requisiti per determinare i valori di riferimento (base-line) del progetto, il monitoraggio, la quantificazione e la rendicontazione delle prestazioni;
  • la norma ISO 14064-3, che specifica i requisiti per la verifica delle dichiarazioni GHG relative agli inventari, ai progetti e alle impronte di carbonio dei prodotti. Descrive i processi di verifica o convalida, compresa la loro pianificazione, le procedure di valutazione delle dichiarazioni GHG delle organizzazioni, dei progetti e dei prodotti; tale norma può essere utilizzata da organizzazioni o da terze parti indipendenti coinvolte nei procedimenti di verifica e certificazione;
  • la norma ISO 14065, che definisce i requisiti che devono avere gli organismi di verifica e convalida delle dichiarazioni GHG (caratteri di imparzialità, competenza, le modalità di comunicazione, i processi di convalida e verifica, i ricorsi, i reclami e il sistema di gestione degli organismi di convalida e verifica);
  • la norma ISO 14066, che specifica i requisiti di competenza per i team di validazione e di verifica, puntualizzando i principi e specifica i requisiti di competenza in base alle attività che i team di validazione o di verifica devono essere in grado di svolgere;
  • la norma ISO 14067, che definisce i principi, i requisiti e le linee guida per la quantificazione dell’impronta di carbonio dei prodotti;
  • la norma ISO/TR 14069, che fornisce linee guida ed esempi per migliorare la trasparenza nella quantificazione delle emissioni e nella loro comunicazione.

L’impronta ambientale dei prodotti e dei servizi: il metodo PEF

L’impronta ambientale di prodotto (PEF) è un metodo basato sulla valutazione del ciclo di vita o LCA Life Cycle Assessment per quantificare l’impatto ambientale dei prodotti (beni o servizi). Si fonda su approcci esistenti e sulle norme tecniche internazionali. Le informazioni relative alla Pef sono fornite con l’obiettivo generale di ridurre gli impatti ambientali dei beni e dei servizi, tenendo conto delle attività della catena di fornitura (dall’estrazione delle materie prime alla produzione, uso e gestione finale dei rifiuti).

Al fine di consentire la determinazione dell’impronta ambientale di prodotti (PEF) ed organizzazioni (OEF), la Commissione europea ha emanato la Raccomandazione 2013/179/UE, relativa all’uso di metodologie comuni per misurare e comunicare le prestazioni ambientali nel corso del ciclo di vita dei prodotti e delle organizzazioni, che aveva in allegato la guida sull’impronta ambientale di prodotto.

Tale guida costituiva uno degli elementi fondamentali dell’iniziativa faro della strategia Europa 2020 – Un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, la cui tabella di marcia proponeva vari modi per aumentare la produttività delle risorse e dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse e dagli impatti ambientali, in una prospettiva imperniata sul ciclo di vita.

Carbon footprint: l’ex schema volontario Made Green in Italy

Il precedente ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, oggi ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, nell’ambito dei programmi nazionali di promozione delle fonti rinnovabili e dell’uso efficiente dell’energia, di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra, nonché delle strategie per lo sviluppo sostenibile, mise a punto tra le azioni prioritarie, la promozione di iniziative volontarie per la contabilizzazione delle emissioni di CO2, la definizione di strategie aziendali per l’uso efficiente dell’energia e l’introduzione di tecnologie e sistemi di gestione a basso contenuto di carbonio.

Made green in Italy

Nel 2011 avviò un intenso programma per la valutazione dell’impronta ambientale dei prodotti/servizi/organizzazioni (con particolare riferimento a carbon e water footprint). A consolidamento dell’esperienza acquisita con questo programma, il 13 giugno 2018 entrò in vigore il Regolamento per l’attuazione dello schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti, denominato Made Green in Italy.

Tale regolamento utilizzava la metodologia per la determinazione dell’impronta ambientale dei prodotti (PEF) definita nella Raccomandazione 2013/179/UE della Commissione Europea.

Obiettivi e sfide per le aziende

La misurazione della Carbon Footprint rappresenta un passo fondamentale per le aziende che desiderano intraprendere un percorso di sostenibilità. Tuttavia, la neutralità carbonica, ovvero l’obiettivo di azzerare le emissioni di gas serra, rimane un traguardo ambizioso e complesso da raggiungere. Tra le sfide principali per il raggiungimento di questo obiettivo le principali sono la complessità della filiera produttiva, dal momento che rintracciare e misurare accuratamente tutte le emissioni può essere un’operazione ardua e dispendiosa, la mancanza di competenze interne, dal momento che non tutte le aziende possiedono le risorse interne necessarie per affrontare questo processo in modo efficace, la mancanza di standard universali e i costi elevati, perché integrare tecnologie a basso impatto o acquistare energia rinnovabile può comportare investimenti significativi.

Il ruolo dei consumatori e delle politiche pubbliche

Oltre alle aziende, anche i consumatori e le politiche pubbliche possono giocare un ruolo fondamentale nella lotta al cambiamento climatico e nel raggiungimento della neutralità carbonica. I primi possono orientare le proprie scelte verso prodotti e servizi con una bassa impronta di carbonio, privilegiando aziende che si impegnano attivamente nella sostenibilità, mentre le istituzioni possono incentivare le aziende ad adottare pratiche sostenibili attraverso strumenti come incentivi fiscali, regolamentazioni e programmi di sostegno.

Carbon Footprint: come agire nel momento in cui si guarda al futuro

Uno dei grandi vantaggi dell’innovazione digitale applicata ai temi della sostenibilità è rappresentata dalla possibilità di gestire delle previsioni sempre più basate su ipotesi e sul ruolo che possono svolgere le tante variabili a cui siamo tutti soggetti, sia in termini ambientali sia in termini sociali. Identificato il ruolo e il peso del carbon footprint e il peso specifico in termini di impatto ambientale è possibile ipotizzare dei possibili scenari, anche per capire che tipo di problematiche si possono avverare e come si può agire per evitare che possano manifestarsi. Un esercizio che consente di capire il rapporto che lega la gestione (ma sarebbe meglio dire il consumo) delle risorse con l’impatto ambientale e con le prospettive per il futuro è rappresentata da questa analisi disponibile su Statista nella quale si osserva che se non si dovessero effettuare cambiamenti e dunque si dovesse proseguire con l’attuale rapporto tra produzione, consumi e risorse, in alcuni paesi avremmo bisogno di molte più “terre” di quelle che abbiamo a disposizione. In particolare in alcune aree del pianeta. Per chi si occupa di ESG si tratta di un segnale da tenere in considerazione e che mette in relazione il tema del consumo con l’area geografica.

FONTE: STATISTA

Carbon footprint: cosa succede se…

Nel momento in cui si dispone di dati affidabili e precisi si può lavorare nel segno del futuro, ovvero si può ipotizzare cosa succederebbe a fronte di determinate scelte e di determinati comportamenti.

Un esempio molto efficace di come i dati della Carbon footprint, unitamente ovviamente ad altri dati che concorrono a rappresentare l’impatto ambientale, permettono di capire cosa succederebbe nel caso in cui lo stile di vita, in generale, fosse quello con cui si stanno consumando risorse in determinati paesi.

Come si può vedere dal grafico pubblicato da Statista l’attuale stile di vita, di consumo e di produzione degli Stati Uniti implicherebbe, in termini di impatto ambientale la necessità di disporre di almeno “5 terre”, ovvero una quantità di risorse che non è attualmente disponibile.

Il peso della Carbon footprint a livello nazionale concorre a determinare quante "terre" sono necessarie se si continua a vivere con lo stesso stile di vita
Fonte: Statista

Approfondire la conoscenza della Carbon footprint

Infine, per approfondire il tema della misurazione del Carbon Footprint può essere interessante la lettura dell’articolo Misurare l’impatto ambientale dei pagamenti e del servizio Il ruolo del carbon footprint nei prodotti

Il tema della Carbon footprint si lega con i temi relativi alla rendicontazione di sostenibilità e alla gestione bilancio di sostenibilità e rappresenta un tema fondamentale per qualsiasi impegno a livello di reporting.

Articolo aggiornato il 27 luglio 2024

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Analisi
Video
Iniziative
Social
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati

Articolo 1 di 4