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UE, stop alla Green Claims Directive? Tutti i dettagli sul possibile ritiro



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Il Partito Popolare Europeo ha chiesto alla Commissione di ritirare la proposta di direttiva volta a proteggere i consumatori dalle dichiarazioni di greenwashing sulle caratteristiche ambientali di prodotti e servizi, sostenendo che le nuove norme sarebbero eccessivamente onerose e complesse e che l’impatto positivo della direttiva non è chiaro

Pubblicato il 16 lug 2025



green claims directive

Negli ultimi giorni, l’Unione Europea ha letteralmente messo in pausa – con l’ipotesi di un ritiro – la Green Claims Directive, la proposta di legge concepita nella primavera del 2023 dalla Commissione Europea per incoraggiare scelte consapevoli e realmente sostenibili da parte dei consumatori proteggendoli dalle trappole del greenwashing – pratiche di marketing ingannevoli che danno una falsa impressione dell’impatto ambientale o dei benefici di un prodotto e/o di un servizio – e dall’obsolescenza prematura dei beni, inserendole nell’elenco UE delle pratiche commerciali vietate e rafforzando il diritto alla riparazione. Regolamentare gli annunci usati dalle imprese nella comunicazione dei loro sforzi in merito ai fattori ESG significa proseguire nel progetto di tutela e responsabilizzazione dei consumatori affinché contribuiscano attivamente alla transizione verde come previsto dalla direttiva “Empowering Consumers for the Green Transition”.

Indice degli argomenti

La Commissione UE fa marcia indietro sulla Green Claims Directive

L’EPP chiede di abolire la legislazione anti-greenwashing

L’annuncio è giunto il 20 giugno 2025, quando la Commissione Europea ha ufficialmente riferito l’intenzione di ritirare la proposta di direttiva sui green claims pochi giorni prima dell’inizio dei negoziati con il Parlamento e il Consiglio per finalizzare le norme, in gran parte a causa delle pressioni politiche generate dall’European People’s Party (EPP).

La famiglia politica europeista di centro e di centro-destra che raccoglie le forze classificabili come moderate, cristiano-democratiche e conservatrici ha inviato una lettera alla Commissaria Jessika Roswall per l’ambiente, la resilienza idrica e l’economia circolare competitiva chiedendo di “riconsiderare e infine ritirare” la proposta.

Il Partito Popolare Europeo sostiene che le nuove norme sarebbero “eccessivamente complesse e gravose” – soprattutto per le microimprese che corrispondono a circa 30 milioni di realtà attive nel mercato europeo -, e dunque in contrasto con gli sforzi in corso mirati a semplificare gli oneri di conformità in capo alle aziende per quanto concerne gli impegni per la sostenibilità.

Con il cosiddetto Pacchetto Omnibus la Commissione intende infatti applicare misure volte ad alleggerire i settori della rendicontazione finanziaria di sostenibilità (CSRD), gli impegni per la due diligence relativa alla sostenibilità (CSDDD), l’adeguamento alla tassonomia Green UE e le azioni previste dal CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism).

Nella lettera si critica anche la mancanza di una valutazione d’impatto relativa alla direttiva, affermando che la proposta non “dimostra in modo convincente che i benefici attesi dal regime supererebbero i costi significativi e l’incertezza normativa che comporta”.

Direttiva UE sulle dichiarazioni verdi: gli obiettivi della Commissione

L’annuncio della volontà di ritirare la Green Claims Directive arriva dopo due anni di negoziati tra Parlamento e Consiglio dell’UE. La proposta di direttiva sulle dichiarazioni ambientali è stata inizialmente presentata dalla Commissione nel marzo 2023, con l’obiettivo di rispondere all’esigenza crescente di fornire ai consumatori informazioni affidabili, comparabili e verificabili, alla luce di studi che hanno rilevato come oltre la metà dei green claims delle aziende nell’UE fossero vaghe o fuorvianti e il 40% fosse del tutto priva di fondamento.

Nel dettaglio, il testo proposto fissava requisiti minimi per le imprese in materia di comprovazione, comunicazione e verifica delle dichiarazioni “verdi”. Le aziende sarebbero state obbligate a garantire l’affidabilità dei propri claim ambientali volontari attraverso una verifica indipendente e supportata da evidenze scientifiche.

Inoltre, la direttiva puntava a regolamentare la proliferazione delle etichette ambientali private, imponendo standard di trasparenza, affidabilità e revisione periodica, e limitando l’introduzione di nuove etichette solo se sviluppate a livello UE e in grado di dimostrare un livello di ambizione ambientale superiore a quello degli schemi di etichettatura esistenti.

Bisogna poi considerare che la Green Claims Directive si inserisce all’interno di un più ampio pacchetto di iniziative promosse dalla Commissione Europea a favore dei consumatori e della transizione ecologica. Questo pacchetto comprende l’Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR) pensato per migliorare la circolarità, l’efficienza energetica, la riciclabilità e la durabilità dei beni commercializzati in UE, le modifiche alla Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UCPD) e alla Direttiva sui diritti dei consumatori (CRD), con l’obiettivo di integrare principi legati all’economia circolare e alla sostenibilità ambientale. Tra le priorità figura anche la promozione della riparazione dei prodotti, nell’ottica di ridurre gli sprechi e prolungarne il ciclo di vita.

Stato della UE Green Claims Directive

Dopo la presentazione della proposta di direttiva sui green claims, il Parlamento Europeo ha adottato la propria posizione in prima lettura il 12 marzo 2024, seguito dal Consiglio dell’UE che ha approvato la sua posizione il 17 giugno 2024. Quest’ultima avrebbe dovuto costituire la base per i negoziati finali con il Parlamento, noti come triloghi.

Il primo incontro interistituzionale si è svolto il 28 gennaio 2025, mentre il trilogo conclusivo era inizialmente previsto per il 23 giugno dello stesso anno. Tuttavia, alla vigilia di quell’appuntamento, il Consiglio ha deciso di annullare la riunione, in risposta all’annuncio della Commissione Europea sull’intenzione di ritirare la proposta. Nonostante ciò, i presidenti delle commissioni parlamentari competenti hanno ribadito la loro disponibilità a riprendere i negoziati il prima possibile e a portare avanti il confronto interistituzionale.

La Commissione Europea annuncia l’intenzione di ritirare la proposta

Attualmente, la Commissione non ha ancora rilasciato una posizione formale e una giustificazione in merito al ritiro della proposta di direttiva sulle dichiarazioni ambientali. La giurisprudenza della Corte di giustizia europea suggerisce che la Commissione non può semplicemente ritirare una procedura legislativa senza giustificazione, se il Consiglio e/o il Parlamento hanno adottato una posizione in prima lettura, a meno che entrambe le istituzioni non sostengano il ritiro.

Prima di passare al vaglio di cosa può riservare questa presa di posizione, è bene fare un passo indietro per chiarire cosa si nasconde dietro la direttiva in oggetto.

Che cos’è la Green Claims Directive

Come specificato poc’anzi, la Green Claims Directive è una proposta legislativa avanzata dalla Commissione Europea nel marzo 2023, con l’obiettivo dichiarato di contrastare il greenwashing, ovvero la diffusione di dichiarazioni ambientali vaghe, fuorvianti o non verificabili da parte delle imprese.

Dalle ricerche della Commissione è infatti emerso che: il 53,3% delle dichiarazioni ambientali esaminate nell’Ue sono vaghe, fuorvianti o infondate; il 40% delle dichiarazioni green non è comprovato da evidenze certe; la metà di tutte le etichette green presentano lacune sulla verificabilità e nelle certificazioni; sono ben 232 i marchi di qualità ecologica esistenti nell’UE, con livelli di trasparenza molto differenti fra loro.

Un problema, quello dell’attendibilità di dichiarazioni, marchi, etichette e certificazioni, che penalizza non solo i consumatori nelle loro scelte quotidiane, ma anche le imprese che offrono prodotti realmente sostenibili.

La direttiva si inserisce all’interno del più ampio quadro del Green Deal europeo e rappresenta un tassello fondamentale della strategia per contribuire a rendere beni, servizi e modelli aziendali sostenibili la norma e a trasformare i modelli di consumo in una direzione più responsabile. L’obiettivo è duplice: da un lato proteggere i consumatori, sempre più sensibili alla sostenibilità ambientale; dall’altro creare un mercato interno più trasparente e competitivo, in cui le aziende davvero sostenibili possano distinguersi da quelle che fanno marketing ingannevole.


Ambito di applicazione e definizioni operative

La Green Claims Directive si applica a tutte le imprese che comunicano volontariamente informazioni ambientali su prodotti, servizi o processi aziendali, indipendentemente dal settore di attività. È importante distinguere questa direttiva da altre normative obbligatorie sulla sostenibilità, come la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) o il Regolamento sulla EU taxonomy for sustainable activities: qui si parla esclusivamente di green claims volontari.

Cosa si intende per “green claim”?

Il testo della direttiva definisce come green claim:

un messaggio o una dichiarazione avente carattere non obbligatorio, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, in qualsiasi forma, tra cui marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o induce a ritenere che un dato prodotto o professionista abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti o professionisti oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo

Esempi comuni:

  • “Packaging con il 30% di plastica riciclata”
  • “Azienda carbon neutral”
  • “Prodotto 100% biodegradabile”

La proposta copre sia claim di prodotto che aziendali e si applica anche alle etichette di sostenibilità (o environmental labels), di cui ne esistono oggi oltre 200 solo in Europa – spesso autoreferenziali o non verificabili.


Chi è soggetto alla direttiva?

La Green Claims Directive riguarda tutte le imprese attive nel mercato B2C (business-to-consumer) all’interno dell’Unione Europea. All’interno di tale perimetro sono incluse:

  • Aziende con sede nell’UE che vendono ai consumatori finali;
  • Aziende extra-UE che esportano beni e servizi nel mercato europeo.

Una novità importante riguarda il trattamento delle microimprese (meno di 10 dipendenti o fatturato annuo inferiore a 2 milioni di euro): il testo originario le includeva con un regime semplificato, ma nel 2025 è emersa una forte spinta politica (in particolare dal gruppo EPP del Parlamento) per escluderle completamente, ritenendo eccessivo il carico amministrativo e di compliance.


Obiettivi strategici della Green Claims Directive

  1. Affidabilità delle dichiarazioni: Tutti i green claims dovranno essere fondati su prove scientifiche solide, preferibilmente analisi del ciclo di vita (LCA – Life Cycle Assessment) o strumenti standardizzati come la metodologia PEF – Product Environmental Footprint.
  2. Verifica indipendente: Prima della pubblicazione, i green claims dovranno essere validati da un organismo terzo accreditato, che ne certifichi la veridicità e la chiarezza.
  3. Sanzioni e deterrenza: In caso di infrazioni, gli Stati membri potranno applicare sanzioni fino al 4% del fatturato annuo, oltre a misure accessorie come la sospensione delle vendite o l’esclusione da bandi pubblici.
  4. Educazione al consumo sostenibile: Rendendo i claim confrontabili, trasparenti e comprensibili, si rafforza la capacità del consumatore di scegliere consapevolmente prodotti realmente sostenibili.

Perché è importante anche per l’innovazione digitale?

La Green Claims Directive rappresenta un’opportunità per l’adozione di tecnologie digitali a supporto della tracciabilità ambientale: blockchain, strumenti di audit automatizzato, AI per l’analisi dei dati LCA. Per questo motivo, la direttiva non riguarda solo il settore legale e normativo, ma apre spazi di innovazione per startup, piattaforme ESG-tech e strumenti digitali per la verifica dei claim.

Come funziona la Green Claims Directive?

La Green Claims Directive non è ancora entrata in vigore, ma ha già definito un quadro normativo ambizioso che, se adottato, cambierà radicalmente il modo in cui le aziende comunicano la sostenibilità. Si tratta di una direttiva di armonizzazione minima, che lascia agli Stati membri la facoltà di introdurre requisiti aggiuntivi, ma stabilisce standard comuni a livello UE per proteggere i consumatori e rendere il mercato ambientale più trasparente.


Transizione dalla proposta alla legge: tappe chiave

  1. Marzo 2023 – La Commissione Europea presenta ufficialmente la proposta di direttiva (COM/2023/166), per rafforzare i diritti dei consumatori nella transizione verde.
  2. Marzo 2024 – Il Parlamento Europeo approva la sua posizione di prima lettura, chiedendo modifiche su temi chiave come la tutela dei piccoli operatori, la trasparenza dei label e l’efficacia delle sanzioni.
  3. Giugno 2024 – Il Consiglio dell’UE (che rappresenta i governi nazionali) adotta un approccio generale, accogliendo alcune richieste del Parlamento ma mantenendo l’inclusione delle microimprese, pur con deroghe.
  4. Gennaio 2025 – Iniziano i triloghi interistituzionali tra Commissione, Parlamento e Consiglio: questi negoziati servono a raggiungere un testo condiviso per l’adozione finale della direttiva.
  5. Giugno 2025 – Il trilogo finale viene annullato all’ultimo momento a causa di crescenti tensioni politiche, in particolare per l’opposizione del gruppo PPE, che spinge per l’esclusione delle microimprese. La Commissione annuncia l’intenzione di ritirare la proposta, salvo future modifiche: un segnale di stallo normativo che apre scenari di revisione o abbandono.

Requisiti chiave per le aziende: come si applica la Green Claims Directive

Se approvata nella sua forma originaria, la Green Claims Directive impone alle aziende tre pilastri fondamentali di compliance per ogni dichiarazione ambientale volontaria:


1. Obbligo di prova scientifica

Ogni green claim dovrà essere basato su prove solide, aggiornate e verificabili, secondo metodologie riconosciute a livello internazionale.

  • Metodi ammessi:
    • LCA (Life Cycle Assessment)
    • EPD (Environmental Product Declarations)
    • PEF (Product Environmental Footprint) e OEF (Organisation Environmental Footprint)
  • I dati devono coprire l’intero ciclo di vita del prodotto o servizio, includendo materie prime, produzione, distribuzione e fine vita.

2. Verifica preventiva indipendente

Prima di essere comunicato al pubblico, ogni claim ambientale dovrà essere sottoposto a una verifica ex ante da parte di un organismo indipendente accreditato.

  • Il verificatore:
    • Controlla la validità dei dati e delle metodologie;
    • Certifica la chiarezza, non ambiguità e comprensibilità del claim;
    • Registra l’approvazione in un registro nazionale o UE (strumento ancora in fase di definizione).

Nota: questo processo può diventare un freno operativo per le aziende, ma anche un’opportunità per sviluppare strumenti digitali di certificazione automatizzata.


3. Governance dei marchi ecologici e schemi di etichettatura

Uno degli aspetti più delicati della direttiva riguarda la regolamentazione delle etichette ambientali (green labels). Attualmente, il mercato è saturo di oltre 200 schemi diversi, spesso autoregolati o poco trasparenti.

In sintesi, la Green Claims Directive propone:

  • Un registro europeo pubblico dei marchi autorizzati;
  • Divieto di introdurre nuovi marchi privati senza approvazione dell’UE;
  • Obbligo per tutte le label di rispettare criteri di:
    • Verificabilità indipendente
    • Trasparenza degli standard
    • Partecipazione multi-stakeholder

Sanzioni in caso di infrazione

Gli Stati membri saranno tenuti a introdurre un regime sanzionatorio dissuasivo, che includa:

  • Multe proporzionate fino al 4% del fatturato annuo;
  • Confisca di profitti ottenuti grazie a greenwashing;
  • Esclusione da bandi pubblici o mercati regolamentati;
  • Ritiro dei prodotti dal mercato o pubblicazione delle infrazioni.

Impatti pratici per le imprese e opportunità digitali

Se adottata, la Green Claims Directive obbligherà le imprese a ripensare i propri processi di marketing e sostenibilità, con forte impatto in settori come moda, cosmetica, alimentare, energia e tech.

Parallelamente, nasceranno nuove opportunità per:


Prospettive: cosa aspettarsi nel 2025?

Nonostante la brusca frenata politica del giugno 2025, la Green Claims Directive non è ancora del tutto archiviata. Il futuro della normativa dipenderà da:

  • Un possibile testo rivisto che escluda o semplifichi gli obblighi per le microimprese;
  • La volontà politica del nuovo Parlamento e della Commissione entrante post-elezioni europee;
  • L’integrazione con altre normative in arrivo, come il Digital Product Passport e la Direttiva Empowering Consumers for the Green Transition.

Gli obiettivi della Green Claims Directive

L’introduzione della Green Claims Directive risponde a una crescente necessità di trasparenza, fiducia e integrità nella comunicazione ambientale da parte delle imprese. In un contesto in cui sempre più consumatori orientano le proprie scelte verso prodotti sostenibili, l’Unione Europea ha ritenuto urgente stabilire regole comuni per evitare che il marketing verde si trasformi in uno strumento di manipolazione.

Ecco i quattro obiettivi principali della Green Claims Directive:


1. Protezione del consumatore

Il primo obiettivo è difendere i consumatori europei da pratiche commerciali ingannevoli o fuorvianti legate alla sostenibilità. Secondo il Parlamento Europeo, molte affermazioni ambientali oggi non sono supportate da prove, sono formulate in modo vago o risultano impossibili da verificare.

Etichette come “eco-friendly”, “green”, “a impatto zero” sono spesso utilizzati senza criteri oggettivi. Questo genera confusione, sfiducia e comportamenti d’acquisto distorti.

Con la Green Claims Directive, solo i claim attendibili, comparabili e verificabili saranno ammessi, restituendo al consumatore un ruolo attivo e consapevole nella transizione verde.


2. Lotta sistemica al greenwashing

Uno studio della Commissione Europea ha rivelato che oltre il 50% dei claim ambientali esaminati nel mercato UE risultava vago, esagerato o non verificabile. La Green Claims Directive nasce proprio per scoraggiare il greenwashing, ovvero l’uso strategico (e spesso ingannevole) della sostenibilità per scopi reputazionali o commerciali.

In assenza di regole chiare, le aziende che investono realmente in pratiche sostenibili vengono penalizzate da chi simula impegni ambientali senza coerenza. La direttiva vuole quindi:

  • Bandire claim ambientali autoreferenziali;
  • Imporre prove scientifiche e verifica indipendente;
  • Garantire sanzioni efficaci in caso di violazioni.

Tutto ciò anche per rifuggire dal pericolo opposto del Greenhushing con cui si identifica la reticenza più assoluta nel comunicare gli sforzi ambientali per timore di incorrere nel rischio di greenwashing.


3. Promozione dell’economia circolare e del consumo sostenibile

Un altro obiettivo chiave della Green Claims Directive è favorire modelli di consumo responsabili e sostenere la transizione verso l’economia circolare. Se i consumatori possono fidarsi delle dichiarazioni ambientali, sono più propensi a:

  • Scegliere prodotti riciclati, riutilizzabili, durevoli o riparabili;
  • Premiare le imprese che riducono le emissioni, i rifiuti e il consumo di risorse naturali;
  • Modificare abitudini di acquisto in chiave più ecologica.

Questa leva comportamentale è fondamentale per raggiungere gli obiettivi ambientali dell’UE, in particolare quelli previsti dal Green Deal e dal Piano d’Azione per l’Economia Circolare.


4. Livello omogeneo di concorrenza nel mercato unico

Attualmente, in assenza di una normativa armonizzata, ogni Stato membro può adottare criteri diversi per regolare i green claim, generando frammentazione del mercato e distorsioni competitive.

La Green Claims Directive intende stabilire regole comuni e coerenti in tutta l’UE, così da:

  • Creare un “level playing field” per tutte le imprese, indipendentemente dalla dimensione o dal Paese di origine;
  • Evitare che operatori meno rigorosi possano ottenere vantaggi sleali;
  • Facilitare la comparabilità tra prodotti sostenibili a livello europeo.

Quali impatti per le imprese?

L’attuazione della Green Claims Directive potrebbe rappresentare una svolta regolatoria significativa per le aziende europee e internazionali che operano nel mercato UE. Ma accanto agli obiettivi ambientali e di tutela dei consumatori, emergono criticità operative e oneri di conformità che preoccupano soprattutto le PMI e le microimprese.

Ecco i principali impatti previsti per il mondo aziendale:


Impatto operativo e costi di compliance

La Green Claims Directive introduce obblighi tecnici e documentali rigorosi per ogni dichiarazione ambientale esplicita. Le imprese dovranno:

  • Condurre analisi scientifiche (es. LCA, PEF);
  • Ricorrere a verificatori indipendenti;
  • Mantenere aggiornati i dati e i report ambientali;
  • Sottoporre a verifica le etichette e i messaggi pubblicitari.

Questi requisiti comportano costi diretti e indiretti:

Tipo di costoDescrizione
Analisi ambientaleCosti di consulenza tecnica e software per LCA, EPD, PEF, ecc.
Verifica ex anteTariffe per l’ente terzo accreditato (potenzialmente ricorrenti ogni 6-12 mesi)
Risorse interneNecessità di formare o assumere personale ESG, marketing, legale
Aggiornamenti continuiObbligo di revisione periodica dei claim (es. ogni 6 mesi) e delle etichette

Le PMI, in particolare, rischiano di essere sproporzionalmente colpite: spesso non dispongono di strutture interne ESG, né possono sostenere i costi di audit ambientali complessi. Per questo, molte associazioni industriali hanno chiesto deroghe o regimi semplificati.


Trattamento delle micro-imprese: nodo politico aperto

Secondo la proposta iniziale della Commissione, le micro-imprese (meno di 10 dipendenti o 2 milioni di € di fatturato) godrebbero di esenzioni temporanee o semplificazioni, ma non sono completamente escluse dal campo di applicazione.

Ciò ha innescato forti critiche politiche, soprattutto da parte del gruppo EPP e di alcuni Stati membri, che chiedono:

  • L’esenzione totale per le micro-imprese;
  • Requisiti differenziati per le PMI;
  • Misure di sostegno per l’adeguamento (es. fondi UE o voucher ESG).

Queste pressioni hanno contribuito allo stallo nei negoziati del giugno 2025 e alla minaccia di ritiro della proposta da parte della Commissione.


Rischio sanzioni: fino al 4% del fatturato

Il rispetto delle nuove regole non sarà solo una “buona pratica” reputazionale, ma un obbligo legale vincolante, con un regime sanzionatorio severo. Le imprese che violano la GCD potranno essere soggette a:

  • Multe fino al 4% del fatturato annuo (livello massimo armonizzato);
  • Esclusione da appalti pubblici o piattaforme regolamentate;
  • Ritiro dei prodotti dal mercato UE;
  • Pubblicazione pubblica delle infrazioni (naming & shaming).

Le autorità nazionali avranno il compito di applicare le sanzioni, in coordinamento con le direttive sui diritti dei consumatori.


Obbligo di trasparenza e aggiornamento continuo

Un altro impatto significativo riguarda la gestione dinamica delle informazioni ambientali. Le imprese dovranno garantire che i propri green claim:

  • Restino attuali, accurati e verificabili;
  • Siano disponibili online in formato standardizzato, accessibili via QR code, schede tecniche o registri pubblici;
  • Siano aggiornati a cadenza regolare (in alcuni casi ogni 6 o 12 mesi), soprattutto in caso di mutamenti nei processi produttivi o negli impatti ambientali.

Questo implica l’adozione di strumenti digitali per la gestione documentale e la tracciabilità ESG, soprattutto per aziende che operano su più mercati o con supply chain complesse.


Opportunità strategiche per chi si adegua

Nonostante le complessità, la GCD può rappresentare anche un vantaggio competitivo per le imprese che investono nella sostenibilità autentica e nella trasparenza dei dati:

  • Maggiore fiducia da parte di clienti e stakeholder;
  • Accesso facilitato a fondi ESG, rating di sostenibilità, bandi green;
  • Miglioramento della reputazione aziendale e posizionamento di marca;
  • Possibilità di integrare la conformità con strategie digitali (es. blockchain, AI ESG audit).

DestinatarioVantaggi principali
Consumatori– Maggiore fiducia nelle dichiarazioni ambientali
– Claim chiari, verificabili e trasparenti
– Scelte di acquisto più consapevoli e sostenibili
Imprese virtuoseParità competitiva rispetto a chi pratica greenwashing
– Miglioramento della reputazione e del brand trust
– Accesso facilitato a bandi e fondi green
Mercato UEArmonizzazione normativa tra gli Stati membri
Eliminazione delle pratiche ingannevoli
– Accelerazione della transizione verde e dell’economia circolare

EPP frena sulla Green Claims Directive: troppe complessità per le imprese

Nella lettera che ha spinto la Commissione ad annunciare il possibile ritiro della proposta di direttiva sulle dichiarazioni ambientali, i relatori ombra del Partito Popolare Europeo hanno espresso un sostegno di principio alla necessità di contrastare il greenwashing, ma hanno sollevato critiche precise sul contenuto della proposta. Secondo il gruppo, i requisiti previsti rischiano di ostacolare in modo sproporzionato la comunicazione sulla sostenibilità, introducendo procedure troppo complesse, onerose sul piano amministrativo e costose per le imprese.

Il nodo centrale riguarda l’obbligo di verifica ex ante, ovvero la necessità per le aziende di far certificare da un ente terzo indipendente ogni affermazione ambientale prima della sua pubblicazione. Una misura che l’EPP considera in contrasto con gli obiettivi di semplificazione e competitività, oggi prioritari nell’agenda europea.

Queste perplessità si inseriscono in un contesto più ampio in cui la semplificazione della burocrazia europea è diventata un tema centrale. Sono infatti in corso numerose iniziative legislative note come proposte omnibus, mirate a rendere più snelli e armonizzati i quadri normativi in materia di sostenibilità. Secondo quanto riferito, tali interventi rientrano nell’impegno della Commissione – sancito nel programma Competitiveness Compass – a ridurre del 25% gli oneri amministrativi sulle imprese, in linea con le raccomandazioni contenute nella relazione Draghi. Proprio su questo punto il PPE insiste nella sua comunicazione, sottolineando come l’attuale proposta sulla Green Claims Directive – e in particolare il principio di verifica ex ante – rischi di compromettere tale obiettivo di snellimento normativo.

Il quadro UE contro il greenwashing resta in vigore, con la Direttiva sulla Transizione Verde al centro

Nonostante i titoli sensazionalistici che parlano di un’UE pronta ad “abbandonare” o “cancellare” le regole contro il greenwashing a seguito del ritiro della proposta di Green Claims Directive, la realtà normativa è ben più articolata. La proposta di direttiva non era ancora stata definitivamente adottata, e parallelamente le autorità europee hanno già avviato indagini e azioni legali nei confronti di aziende sospettate di greenwashing sulla base dell’attuale normativa di tutela dei consumatori, in particolare della Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UCPD), recepita in tutti gli Stati membri.

Inoltre, la Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde, adottata nel febbraio 2024 e destinata ad entrare in vigore il 27 settembre 2026, rafforzerà ulteriormente il quadro normativo europeo. Essa introduce divieti specifici sulle dichiarazioni ambientali ingannevoli, tra cui affermazioni come “neutrale per il clima”, “a zero emissioni nette” o “ecocompatibile”, a meno che non siano supportate da prove solide e verificabili. La direttiva stabilisce anche regole chiare sulle etichette di sostenibilità, il riconoscimento da parte di schemi di certificazione, e il monitoraggio indipendente delle future dichiarazioni ambientali.

È importante sottolineare che la Direttiva sulla Transizione Verde non sarà influenzata dal ritiro della Green Claims Directive. Nella loro lettera, i relatori ombra del PPE hanno ribadito il loro pieno sostegno a questa normativa, sottolineando come la sua effettiva attuazione da parte degli Stati membri sarà decisiva per contrastare il fenomeno del greenwashing.

Prossimi passi

In questa fase, non è pervenuto alcun annuncio formale da parte della Commissione in merito alla sua intenzione e alla giustificazione del ritiro della proposta di direttiva sulle dichiarazioni ecologiche, né alla posizione ufficiale del Parlamento o del Consiglio in merito al ritiro.

La cancellazione del trilogo, previsto il 23 giugno, e il successivo passo indietro – con tanto di sospensione delle trattative – hanno scatenato un vortice di reazioni: da un lato il timore di un arretramento nelle politiche green dell’UE , dall’altro una generale confusione, visto che la Commissione ha poi precisato che la direttiva non è formalmente abbandonata, ma solo subordinata all’esclusione delle microimprese dal suo ambito operativo.

Questa intesa zoppicante apre quattro scenari fondamentali:

  1. Ritiro definitivo, con ritorno al solo uso delle normative esistenti (UCPD, ECGT).
  2. Revisione del testo per escludere microimprese e rilancio del dialogo istituzionale.
  3. Ripresa delle trattative, se accordo tra Consiglio, Parlamento e Commissione.
  4. Conflitto politico che potrebbe minare la credibilità delle strategie ambientali UE.

Nel cuore di tutto questo, resta fermo un principio: la lotta al greenwashing non si interrompe. La crisi politica mette in evidenza solo l’urgenza di trovare un equilibrio tra rigore e fattibilità per le imprese più piccole.

Green Claims Directive e tecnologie digitali

La transizione sostenibile richiesta dalla Green Claims Directive non può realizzarsi senza il supporto dell’innovazione tecnologica. Per soddisfare gli obblighi di verifica, trasparenza e aggiornamento dei dati ambientali, le aziende dovranno fare sempre più affidamento su tecnologie digitali avanzate, in grado di raccogliere, certificare e rendere tracciabili le informazioni lungo l’intera supply chain.

Vediamo come strumenti come intelligenza artificiale, blockchain, data platform e database LCA possano (e debbano) diventare protagonisti della nuova compliance green.


AI, blockchain e tracciabilità ESG

Uno dei requisiti fondamentali della Green Claims Directive è la prova scientifica dei green claim, basata su analisi di tipo Life Cycle Assessment (LCA). Tuttavia, condurre una LCA affidabile richiede dati accurati, aggiornati e verificabili provenienti da molteplici attori nella catena del valore.

Ecco in che modo entrano in gioco le tecnologie emergenti:

TecnologiaRuolo nella conformità alla Green Claims Directive
AI (Intelligenza Artificiale)Automatizza l’analisi dei dati ambientali, identifica pattern di consumo/emissioni, verifica coerenza dei claim, stima impatti.
BlockchainGarantisce immutabilità, trasparenza e tracciabilità dei dati ambientali lungo la supply chain (es. emissioni, materiali riciclati, consumi energetici).
Piattaforme ESG integrateSistemi digitali che aggregano e certificano dati ambientali (es. LCA, EPD) rendendoli accessibili in tempo reale a clienti, verificatori e autorità.

Alcune startup e piattaforme stanno già sviluppando soluzioni di “green claim ground truth”, che permettono di collegare ogni affermazione ambientale a una catena di dati verificata e certificata digitalmente.


Le sfide tecnologiche: dati, standard e aggiornamento

Nonostante il potenziale, l’uso delle tecnologie digitali nella compliance alla Green Claims Directive non è privo di ostacoli:

  1. Critiche al metodo PEF (Product Environmental Footprint):
    Il PEF, metodo raccomandato dalla Commissione per valutare l’impatto ambientale dei prodotti, è stato accusato di favorire alcune industrie. Ad esempio, nel settore moda, il PEF tende a valutare meglio le fibre sintetiche rispetto a quelle naturali, sollevando dubbi sull’equità del metodo.
  2. Basi dati incomplete o obsolete:
    Molti database LCA, usati per calcolare gli impatti ambientali, non riflettono le innovazioni più recenti o non coprono tutti i settori. Questo può generare risultati distorti o poco aggiornati, vanificando gli sforzi di trasparenza.
  3. Assenza di standard interoperabili nel campo del Digital for ESG:
    Le piattaforme ESG, le blockchain di settore e i tool di AI spesso non parlano la stessa lingua, rendendo difficile armonizzare i dati lungo filiere complesse.

La sfida dell’innovazione sostenibile

Per essere realmente efficace, la Green Claims Directive deve spingere le imprese non solo a conformarsi, ma a investire in innovazione sostenibile e digitale. Le aziende più avanzate potranno:

  • Integrare l’intelligenza artificiale nei loro processi di raccolta e audit ESG;
  • Utilizzare smart contracts su blockchain per automatizzare la verifica dei claim lungo la filiera;
  • Sviluppare gemelli digitali ambientali (digital twin) dei prodotti, aggiornabili in tempo reale;
  • Adottare strumenti open data e interoperabili per comunicare con fornitori, verificatori e stakeholder.

Conclusione

La Green Claims Directive non è soltanto una direttiva anti-greenwashing, ma può essere interpretata in qualità di catalizzatore della trasformazione digitale sostenibile. Le aziende che sapranno combinare compliance e tecnologia non solo eviteranno potenziali sanzioni, ma costruiranno valore, fiducia e vantaggio competitivo. Il futuro della sostenibilità passa dai dati e dalla loro affidabilità.


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