L’attivismo UE sui temi delle normative legate alla transizione green sono al centro dell’agenda politica e, anche in ragione delle prossime scadenze elettorali in Europa (ma lo sguardo deve considerare anche l’orizzonte delle elezioni presidenziali USA), sono oggetto di un importante dibattito tra le forze economiche e sociali.
La scelta (preoccupante) di ritardare la discussione della CSDDD, Corporate Sustainability Due Diligence Directive o Supply Chain Act verrà affrontata in un prossimo articolo di ESG360, mentre è venuto il momento di riflettere sugli impatti che seguiranno alla approvazione della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa che riguarda il potenziamento della posizione dei consumatori in relazione alle condizioni legate alla transizione verde attraverso forme che consentono di aumentare la protezione contro le pratiche sleali, un rapporto più responsabile verso i prodotti e azioni per ridurre i rischi legati a informazioni fuorvianti o ambigue.
La normativa, che è stata affrontata in questo servizio: “Via libera dal Parlamento UE alla nuova direttiva contro greenwashing e informazioni fuorvianti sui prodotti”, apre una serie di prospettive sulle quali abbiamo voluto raccogliere l’opinione di Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant, P4I, Andrea Berni, Associate Partner QHSE P4 e Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I, Team leader sostenibilità.
La lente del Garante della Concorrenza sul Greenwashing
Per quale motivo le aspettative che accompagnano questa Direttiva stanno alimentando la speranza di un cambiamento più sostanziale di quanto non sia avvenuto in passato? Per Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant, P4I, questa misura ha la capacità di incidere a livello economico e sociale perché si tratta di una Direttiva che va a modificare e rafforzare la normativa dedicata alla protezione dei consumatori. Agisce cioè su una Direttiva centrale per l’ordinamento europeo che è stata più volte aggiornata e ampliata in funzione delle tematiche che accompagnano lo sviluppo economico e sociale. Con questo intervento le pratiche che attengono ai temi del greenwashing o a una informazione che sfrutta in modo sleale e ambiguo le pratiche green, saranno soggette all’attenzione dell’Autorità del Garante per la concorrenza del mercato. “Si tratta per le imprese di un cambiamento molto rilevante e significa che tutte le informative legate alla comunicazione delle performance di sostenibilità dovranno essere soggette a verifica e non potranno essere utilizzate (per meglio dire sfruttate) allo scopo di guadagnare l’attenzione dei consumatori a meno che non siano supportate da dati verificabili”.
L’impatto della Direttiva Greenwashing, ma è più corretto parlare di Direttiva sulla governance delle aziende, si annuncia a sua volta molto rilevante. Gli esempi sono tanti, alcuni destinati a modificare certi mercati. Nel mondo della compensazione della CO2, ad esempio, non si potranno più attivare progetti al di fuori della filiera di produzione, di distribuzione e di consumo delle aziende. Un aspetto questo che impone alle imprese di “integrare” i processi di compensazione al proprio interno, o di attuare forme di collaborazione con società specializzate in grado di “portare” queste pratiche all’interno del perimetro aziendale e di controllarne tutti i passaggi, anche nel corso del tempo. In sostanza non basterà più dimostrare di avere “piantato migliaia di alberi”, ma sarà necessario verificare e rendicontare il loro contributo in termini di sequestro della CO2 nel corso del tempo.
Cresce anche l’attenzione del mondo finanziario
In termini di impatto della normativa oltre alle imprese occorre pensare, come sottolinea Grassadonia, anche al mondo finanziario che è a sua volta attento a non esporsi a rischi “indiretti”, ad esempio, considerando le forme di greenwashing che possono minare la credibilità e i risultati delle aziende che sono oggetto di investimenti. E il tema appare particolarmente delicato considerando che la componente sanzionatoria di questa Direttiva fa riferimento all’apparato della normativa per la protezione dei consumatori, ovvero una struttura che sta esercitando da tempo un controllo molto accurato.
Verso una rendicontazione di sostenibilità più rigorosa
Proseguendo nell’analisi delle prospettive legate all’applicazione di questa Direttiva, Grassadonia osserva che un impatto importante riguarderà proprio le logiche che regolano la rendicontazione di sostenibilità. Nello specifico questo impatto si misurerà in termini di una maggiore affidabilità nei dati e nelle informazioni che devono essere prodotte affinché il bilancio di sostenibilità sia credibile.
Grassadonia precisa che in molti casi il report di sostenibilità è stato usato o strumentalizzato come uno strumento di marketing green. Da questo momento sarà necessario prestare più attenzione alle informazioni che vengono prodotte. “Se l’obiettivo è la protezione del consumatore e il rispetto delle regole della concorrenza, il Bilancio di Sostenibilità è destinato a ricevere una attenzione molto maggiore rispetto al passato e i dati prodotti dovranno essere oggetto di verifiche e controlli accurati“.
Si può forse aggiungere che in futuro con la Direttiva Greenwashing, la rendicontazione di sostenibilità in azienda sarà destinata a ricevere maggiore attenzione da parte dell’area Finance e Legal rispetto a quanto non sia accaduto in passato quando spesso questa attenzione principalmente (quanto meno sul documento di sostenibilità) arrivava da marketing e comunicazione.
C’è poi un ulteriore aspetto che, con questa normativa, si rifletterà in un impatto sui Bilanci di sostenibilità e riguarda la propensione delle imprese a presentare proiezioni sul futuro. Ci dovremo dimenticare di questo atteggiamento, osserva Grassadonia. Esattamente come avviene per il bilancio contabile nel quale si evitano accuratamente di indicare previsioni per evitare i rischi di cause legali, così accadrà anche per quanto attiene al Bilancio di Sostenibilità. Le previsioni di una neutralità carbonica entro una determinata data da questo momento in avanti dovranno essere supportate da dati molto concreti.
Marchi di sostenibilità e sistemi di certificazione
Per Andrea Berni, Associate Partner QHSE P4I, l’importanza di questa normativa va vista anche in relazione alla scelta di riconoscere soltanto i marchi di sostenibilità basati sui sistemi di certificazione approvati, costituiti da autorità pubbliche. Questo è un altro passaggio fondamentale che può sancire l’integrazione tra sistemi di certificazione e Bilanci di sostenibilità. “Quando la Direttiva parla di sistema di certificazione – spiega Berni – intende qualsiasi sistema di verifica da parte di terzi, in grado di certificare attraverso un processo accreditato riconosciuto da una autorità pubblica che un dato prodotto, processo e/o servizio è conforme a determinati requisiti e specifiche ambientali, basate su norme e procedure internazionali, unionali o nazionali”.
“L’indicazione della obbligatorietà da parte della Direttiva Greenwashing – osserva Berni – di certificazioni green non è altro che la proposta di modelli di accountability già consolidati, volti a contrastare le pratiche commerciali sleali, che impediscono ai consumatori di compiere scelte di consumo sostenibile. Il sistema di certificazione mira a soddisfare condizioni minime di trasparenza e credibilità“.
“Penso – rimarca Berni – che senza una certificazione alle spalle non si possa affrontare efficacemente il rischio di greenwashing. In generale poi si parla di schemi di certificazione di prodotto a livello ambientale anche con lo scopo di comunicare in modo corretto i cosiddetti marchi green nell’ambito dei Bilanci di sostenibilità”. Berni ricorda inoltre che l’ingresso nel regime sanzionatorio della concorrenza del mercato è destinato a portare una maggiore attenzione al tema delle certificazioni sui temi che sono sottostanti ai rischi di greenwashing,
Le certificazioni energetiche, le etichette ambientali (tra cui si citano Ecolabel, BLauer Engel e Nordic Swan), le Dichiarazioni Ambientali (tra cui le FSC, PEFC, Etichetta Energetica sui Prodotti, Energy Star), le certificazioni per il carbon footprint, per il LCA Life Cycle Assessment dei prodotti o per le compensazioni sono solo alcuni esempi di modelli tra quelli sottesi alla “Direttiva Greenwashing” che una azienda che si vuole dichiarare realmente “sostenibile” non può non avere. Da qui la necessità di disporre di strumenti che consentano di rispondere a queste istanze e a mio avviso – osserva Berni – un aspetto importante riguarda il ruolo che potranno svolgere le ISO a livello di sistemi di gestione e di strumenti di controllo. Quindi sul piano del controllo dell’ambiente, della sicurezza, dell’organizzazione, il tutto allo scopo di consentire ai bilanci di avere indicatori oggettivi e non più, come nel passato, spesso solo soggettivi”.
Cosa cambia per l’offsetting
Berni ritiene poi che nel caso delle progettualità di offsetting questa Direttiva è destinata a stimolare le aziende e a creare le condizioni per arrivare realmente “allo zero”. Considerando in ogni caso che in tantissimi casi non è evidentemente possibile, si deve immaginare uno scenario nel quale si possano creare dei consorzi in grado di permettere alle aziende di raggiungere questi obiettivi. E’ dunque corretto sistematizzare i principi della compensazione per impostare, organizzare ed effettuare verifiche con metriche condivise.
In questo senso, le certificazioni permettono di portare fiducia e credibilità di un soggetto terzo allo scopo di accertare l’effettiva messa in opera delle operazioni di compensazione e di verificare anche i risultati che effettivamente è in grado di mettere a disposizione in termini di compensazione. “Il vero tema oggi – conclude Berni – riguarda la disponibilità di dati reali. Attraverso il meccanismo della certificazione si garantisce non solo una effettiva stima, ma una reale misurazione“.
Un “clima” politico che risente del confronto sui temi del Green Deal
Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I, Team leader sostenibilità ricorda che c’è anche un tema politico e che i temi della transizione ambientale stanno di fatto diventando uno degli snodi della campagna elettorale sia per il Parlamento europeo sia per la Presidenza americana. “Nel mirino – osserva Fumagalli – ci sono le questioni legate ai rischi connessi all’auto elettrica così come le manifestazioni degli agricoltori in tutta Europa, nelle quali un peso rilevante è occupato anche dai vincoli imposti dal Green Deal, soprattutto se abbinati a prospettive di apertura del mercato verso Paesi che non garantiscono gli stessi standard richiesti dalla EU”.
La situazione è molto complessa e le aziende sono preoccupate e attente a verificare se e come cambierà il quadro normativo. In questo frangente, non si può non rilevare che molte forze politiche che saranno rilevanti o addirittura essenziali per la governance UE dei prossimi 5 anni sono molto fredde, ad esempio, sul blocco della vendita di motori termici. Un tema questo che è assolutamente strategico per il futuro dell’automotive attentissimo al dibattito sul Fit for 55.