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Clima, intesa Ue sul target 2040: -90% emissioni, con margini di flessibilità



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I ministri dell’Ambiente hanno raggiunto un accordo a maggioranza qualificata sull’obiettivo climatico al 2040, con margini di flessibilità per sostenere industria e occupazione. Il compromesso segna una nuova fase del Green Deal europeo, tra ambizione ambientale e realismo economico, in attesa del via libera del Parlamento Ue

Pubblicato il 6 nov 2025



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Dopo una maratona negoziale durata oltre ventiquattro ore, i ministri dell’Ambiente dell’Unione europea hanno trovato un accordo sul nuovo obiettivo climatico proposto dalla Commissione: entro il 2040 le emissioni nette di gas serra dovranno diminuire del 90% rispetto ai livelli del 1990, una tappa intermedia cruciale verso il target di neutralità climatica fissato al 2050 che rafforza la traiettoria di decarbonizzazione già delineata dagli obiettivi 2030.

Il compromesso, raggiunto a maggioranza qualificata e non senza tensioni, introduce margini di flessibilità per conciliare ambizione ambientale e sostenibilità economica. Gli Stati membri potranno infatti contabilizzare fino al 5% crediti di carbonio internazionali nel bilancio delle emissioni, con ulteriori strumenti per attenuare l’impatto della transizione energetica sui settori più esposti.

Dietro i numeri, però, si cela una partita tutta politica: quella tra i Paesi che chiedono una decarbonizzazione più rapida e quelli che temono ripercussioni industriali e sociali. Mentre le ONG denunciano “un passo avanti timido”, Bruxelles parla di un “punto di equilibrio realistico” che garantisce continuità al Green Deal europeo, ma con un approccio più pragmatico.

Con il voto favorevole di 21 Stati membri, pari all’81,9% della popolazione dell’Unione, e l’opposizione di alcuni Paesi dell’Est, il nuovo target europeo si prepara ora ad affrontare il test politico del Parlamento e dei prossimi triloghi, dove si deciderà la forma definitiva della Legge europea sul clima.

Nuovo obiettivo climatico Ue: dalla proposta della Commissione alla posizione del Consiglio

Con la comunicazione e valutazione d’impatto del febbraio 2024 e la proposta di modifica presentata il 2 luglio 2025, la Commissione europea ha avviato una delle revisioni più significative della European Climate Law – la legge europea sul clima che stabilisce gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea – proponendo di inserire un nuovo traguardo vincolante al 2040, che fissa una riduzione netta delle emissioni del 90% rispetto ai livelli del 1990.

Il nuovo obiettivo climatico, che si colloca a metà strada tra l’obiettivo di riduzione delle emissioni nette di almeno il 55% entro il 2030 e l’obiettivo giuridicamente vincolante delle emissioni nette pari a zero per tutti gli Stati membri dell’UE entro il 2050, rappresenta il fulcro della strategia europea per mantenere la traiettoria compatibile con l’Accordo di Parigi. La proposta è accompagnata da una valutazione d’impatto dettagliata e da una serie di scenari modellistici che analizzano le conseguenze economiche, industriali e sociali della transizione verso un’economia a basse emissioni.

La Commissione ha inoltre introdotto il principio di flessibilità controllata, prevedendo la possibilità di utilizzare in misura limitata crediti di rimozione del carbonio o crediti internazionali per compensare parte delle emissioni residue. Questo meccanismo, pur marginale rispetto agli sforzi domestici, è pensato per garantire un percorso più graduale ai settori industriali e ai Paesi con maggiori difficoltà di riconversione.

Tra spinta verde e timori economici, il Consiglio cerca la sintesi

Nell’ottobre 2025, il Consiglio europeo ha fornito orientamenti strategici sulla strada da seguire per stabilire un obiettivo climatico Ue per il 2040. In particolare, i leader hanno sottolineato la necessità di un approccio equilibrato che preservi e rafforzi la competitività dell’UE, garantendo al contempo l’equità sociale della transizione. Hanno inoltre sottolineato la necessità di tenere conto delle incertezze legate agli assorbimenti naturali. Il Consiglio europeo ha poi invitato la Commissione a sviluppare ulteriormente le condizioni abilitanti necessarie per supportare l’industria e i cittadini europei nel raggiungimento dell’obiettivo del 2040.

Il 5 novembre 2025 il Consiglio dell’Unione europea ha raggiunto un accordo politico preliminare a sostegno del target del 90%, ma con una struttura più articolata. La posizione degli Stati membri distingue infatti tra un obiettivo “domestico” dell’85%, da raggiungere attraverso riduzioni effettive all’interno dell’Unione, e un margine del 5% che potrà essere coperto mediante crediti internazionali o strumenti di compensazione riconosciuti a livello globale.

Questo compromesso riflette le diverse sensibilità politiche emerse tra i Paesi membri: da un lato quelli più ambiziosi, che chiedono un taglio netto e immediato delle emissioni, e dall’altro gli Stati che invocano maggiore gradualità per tutelare competitività e occupazione.

Il testo approvato dal Consiglio non è definitivo: dovrà ora passare al Parlamento europeo, che nelle prossime settimane aprirà il confronto legislativo con la Commissione. Il negoziato — che si preannuncia complesso — definirà le modalità operative del target, i criteri di monitoraggio e la ripartizione degli sforzi tra Stati e settori produttivi.

Contesto e motivazioni di un nuovo obiettivo climatico Ue per il 2040

L’Unione europea dispone già di due traguardi climatici vincolanti: una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica al 2050. L’introduzione di un nuovo obiettivo intermedio per il 2040 serve a colmare il vuoto temporale tra le due scadenze e a mantenere l’Unione su una traiettoria costante di riduzione delle emissioni.

Per Bruxelles, fissare un target a metà percorso non è solo una scelta ambientale, ma anche una misura di stabilità economica e industriale. Un obiettivo chiaro e vincolante fornisce infatti certezza agli investitori e alle imprese, orientando piani industriali, ricerca e infrastrutture verso tecnologie a basse emissioni.

Le analisi tecniche della Commissione evidenziano inoltre che aumentare l’ambizione nel medio termine consente di ridurre la dipendenza futura da soluzioni di rimozione del carbonio — come la cattura e stoccaggio della CO₂ — e di diluire nel tempo gli sforzi di adattamento del mercato. In questo modo, la transizione climatica può procedere in modo più graduale, sostenibile e socialmente equilibrato.

Cosa cambierà con il nuovo obiettivo climatico Ue

Il nuovo obiettivo climatico Ue al 2040 implicherà un profondo aggiornamento dell’architettura legislativa europea in materia di energia e ambiente. Bruxelles punta a intervenire su tre pilastri principali della politica climatica: il sistema ETS, la ripartizione degli sforzi nazionali e le direttive su energia e rinnovabili.

1. Sistema ETS (Emission Trading System)
Il Sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) rimane lo strumento cardine per orientare il mercato verso la decarbonizzazione. Con il nuovo target, la Commissione prevede una revisione del calendario di riduzione delle quote e una possibile estensione del sistema a nuovi settori, come il trasporto marittimo, quello stradale e gli edifici, già parzialmente inclusi nelle recenti riforme. Potrebbe inoltre essere introdotto un meccanismo di riallocazione delle quote per sostenere i comparti più esposti alla concorrenza globale e ridurre il rischio di carbon leakage, cioè la delocalizzazione delle emissioni al di fuori dell’Unione.

2. Effort Sharing Regulation e governance nazionale
Parallelamente, sarà aggiornata la Effort Sharing Regulation, che stabilisce i target di riduzione per ciascun Stato membro nei settori non coperti dall’ETS. L’obiettivo è rendere questi impegni più coerenti con il nuovo traguardo del 2040, introducendo maggiori margini di flessibilità tra i Paesi e potenziando i meccanismi di cooperazione e scambio di quote di riduzione. Ciò consentirà agli Stati di bilanciare meglio i propri sforzi in base alle capacità economiche e al potenziale di decarbonizzazione nazionale.

3. Direttive su energia e rinnovabili
Sul fronte energetico, la Commissione intende accelerare l’attuazione delle direttive già in vigore, in particolare la Renewable Energy Directive (RED II) e la Energy Efficiency Directive. L’obiettivo è superare la soglia del 42,5% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 e incrementare in modo deciso l’efficienza energetica, con un focus sulla decarbonizzazione del mix energetico europeo. Ciò comporterà nuovi incentivi per investimenti in infrastrutture di rete, accumulo e idrogeno verde, oltre a un rafforzamento delle politiche di sostegno alle comunità energetiche locali.

Nel complesso, queste misure delineano una transizione più strutturata e integrata, in cui la regolazione del carbonio, le politiche energetiche e la cooperazione tra Stati membri dovranno convergere verso un obiettivo comune: ridurre drasticamente le emissioni senza compromettere la competitività economica dell’Unione.

Accordo Ue sul clima: ok a taglio del 90% entro il 2040 con qualche riserva

Dopo un lungo e intenso confronto durato oltre 24 ore, il 5 novembre 2025 i ministri dell’Ambiente dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo a maggioranza qualificata sul nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni: –90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990.

Il compromesso, che segna una tappa chiave nel percorso verso la neutralità climatica al 2050, introduce una serie di meccanismi di flessibilità per accompagnare la transizione e attenuare l’impatto economico sulle economie nazionali. In particolare, gli Stati membri potranno compensare fino al 5% delle emissioni attraverso crediti di carbonio internazionali riconosciuti al di fuori dell’Unione.

È inoltre prevista la possibilità di utilizzare un ulteriore 5% di crediti esteri nell’ambito degli impegni nazionali di riduzione, fornendo ai Paesi un margine aggiuntivo per raggiungere i propri target interni.

Il testo approvato mantiene infine una clausola di revisione biennale, che impegna la Commissione europea a valutare periodicamente i progressi verso l’obiettivo e, se necessario, proporre adeguamenti alla European Climate Law sulla base delle più recenti evidenze scientifiche e dell’evoluzione economica dell’Unione.

Nonostante un negoziato maratona durato oltre 24 ore, l’accordo sul nuovo obiettivo climatico al 2040 è stato approvato a maggioranza qualificata, e non all’unanimità. Alcuni Paesi hanno infatti espresso voto contrario — tra cui Slovacchia, Ungheria e Polonia — mentre Belgio e Bulgaria si sarebbero astenute.

Secondo quanto comunicato dalla presidenza danese del Consiglio Ue, il testo ha ricevuto il via libera da 21 Stati membri, rappresentativi di circa l’81,9% della popolazione dell’Unione, superando così la soglia necessaria per l’adozione.

L’Italia non figura tra i Paesi contrari: Roma ha sostenuto l’intesa definendola un “compromesso equilibrato”, in grado di conciliare ambizione climatica e tutela della competitività economica. Il conteggio finale dei voti contrari non è stato ancora ufficializzato, ma la tenuta della maggioranza conferma il consenso politico di fondo attorno al nuovo target del –90%.

Nuovo obiettivo vincolante, ma con spazio di manovra

Come ha dichiarato il ministro danese per il Clima e l’Energia Lars Aagaard, che ha guidato i lavori in sede di Consiglio, “l’obiettivo del 90% è radicato nella scienza e, allo stesso tempo, combina competitività e sicurezza. È un segnale di unità e di direzione chiara per le nostre politiche, le industrie e gli investimenti”. L’accordo rappresenta anche la base negoziale per i prossimi “triloghi” con il Parlamento europeo, durante i quali verrà definito il testo legislativo finale.

Pur mantenendo l’obiettivo proposto dalla Commissione, il Consiglio ha introdotto alcune aree di flessibilità per rispondere alle differenti realtà economiche e produttive degli Stati membri.
Tra i principali aggiustamenti:

  • la possibilità di utilizzare crediti internazionali di alta qualità fino a un massimo del 5% delle emissioni nette del 1990, a partire dal 2036, con un periodo pilota tra il 2031 e il 2035;
  • l’inclusione di rimozioni permanenti di carbonio domestiche, sotto l’ombrello del sistema ETS, per compensare le emissioni difficili da abbattere;
  • una maggiore flessibilità tra settori e strumenti, che permetterà agli Stati di gestire eventuali carenze in un comparto senza compromettere i progressi complessivi verso il target.

Questi meccanismi mirano a garantire una transizione più equilibrata, proteggendo nel contempo la competitività industriale europea e la coesione sociale.


Verso il quadro post-2030: competitività, giustizia e innovazione

Oltre a fissare il traguardo 2040, l’emendamento alla Climate Law definisce anche una cornice strategica per il periodo post-2030.
Tra i principi chiave, il Consiglio ha posto maggiore enfasi su:

  • rafforzare la competitività dell’economia europea, anche attraverso la semplificazione normativa e la riduzione degli oneri amministrativi;
  • garantire una transizione giusta e socialmente bilanciata, che tenga conto delle diverse condizioni economiche e strutturali degli Stati membri;
  • promuovere innovazione e tecnologie sicure e scalabili in modo neutrale dal punto di vista tecnologico, mantenendo l’efficienza energetica come principio cardine;
  • potenziare la sicurezza energetica tramite lo sviluppo delle rinnovabili, la modernizzazione delle reti e il contenimento dei costi per imprese e famiglie;
  • sostenere investimenti pubblici e privati in ricerca, infrastrutture e accesso a tecnologie pulite in tutti gli Stati membri;
  • riconoscere il contributo realistico delle rimozioni di carbonio naturali, tenendo conto dell’incertezza legata alla loro permanenza e alla vulnerabilità degli ecosistemi.

Questo approccio mira a conciliare ambizione climatica e pragmatismo economico, trasformando la transizione verde in un volano per la crescita industriale europea.


Monitoraggio e revisione periodica degli obiettivi

Per garantire trasparenza e adattabilità, il Consiglio ha introdotto una valutazione biennale dei progressi verso il target 2040, basata sulle evidenze scientifiche più recenti, sugli sviluppi tecnologici e sull’andamento della competitività globale dell’UE.

La clausola di revisione della Climate Law è stata rafforzata: ogni due anni la Commissione dovrà verificare lo stato delle rimozioni nette e l’impatto economico della transizione — compresi i prezzi dell’energia e le loro ricadute su industrie e famiglie.
Se necessario, Bruxelles potrà proporre un aggiornamento del target o misure aggiuntive per tutelare prosperità, occupazione e coesione sociale.

Un altro elemento introdotto dal Consiglio riguarda il rinvio di un anno dell’avvio del nuovo sistema ETS2, che estende il mercato delle emissioni ai settori degli edifici e dei trasporti stradali. L’entrata in vigore, inizialmente prevista per il 2027, è stata posticipata al 2028 per consentire agli Stati di completare gli adeguamenti amministrativi e mitigare l’impatto sui consumatori.


Cosa ci aspetta

Dopo l’approvazione della posizione del Consiglio, la presidenza dell’UE avvierà le trattative con il Parlamento europeo, che dovrà a sua volta definire la propria posizione negoziale. L’obiettivo è raggiungere entro il 2026 un accordo politico finale sulla modifica della European Climate Law, assicurando un quadro giuridico chiaro e stabile per la seconda metà del decennio.

L’accordo sul nuovo target climatico al 2040 segna una svolta politica per il Green Deal europeo, consolidando la rotta verso la neutralità climatica ma anche evidenziando le tensioni che attraversano l’Unione. Da un lato, conferma la volontà comune di mantenere l’Europa all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico; dall’altro, mette in luce una crescente esigenza di realismo economico e coesione sociale nella definizione delle politiche verdi.

Il compromesso del –90% con margini di flessibilità non è solo un traguardo tecnico: è un messaggio politico di continuità e adattamento. Bruxelles riconosce che la transizione ecologica non può prescindere dal sostegno all’industria, dalla tutela dell’occupazione e dalla sicurezza energetica. In questo senso, il nuovo obiettivo si configura come la seconda fase del Green Deal, orientata meno sulla definizione di target e più sulla messa a terra degli investimenti, delle tecnologie e delle riforme strutturali.

Resta da vedere se il futuro Parlamento e la prossima Commissione — dopo le elezioni europee del 2026 — sapranno mantenere la stessa ambizione in un contesto geopolitico e industriale più complesso. Ma una cosa è certa: con questo accordo, l’Unione europea riafferma il proprio ruolo di laboratorio globale per la transizione climatica, chiamato ora a trasformare la strategia in risultati concreti e duraturi.

Impatto sui settori chiave dell’economia europea

Il nuovo target di riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040 non rappresenta solo un obiettivo politico: avrà effetti diretti e profondi su tutti i comparti produttivi, imponendo una revisione strutturale dei modelli industriali, energetici e agricoli europei.

Industria pesante: acciaio, chimica e cemento
I settori industriali ad alta intensità energetica saranno tra i più esposti alla sfida della decarbonizzazione. Acciaierie, cementifici e impianti chimici dovranno accelerare gli investimenti in tecnologie a basse emissioni, in particolare nella cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) e nella cattura e riutilizzo del carbonio (CCU), oltre che nella produzione di idrogeno verde come alternativa ai combustibili fossili.
La Commissione e gli Stati membri stanno valutando nuovi meccanismi di sostegno pubblico e incentivi fiscali per sostenere questa transizione, insieme al rafforzamento degli strumenti di tutela contro il carbon leakage, come il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), che impone dazi sulle importazioni ad alta intensità di CO₂.

Trasporti: verso la mobilità a zero emissioni
Il settore dei trasporti continuerà ad essere uno dei pilastri della transizione. Il regolamento già in vigore prevede che dal 2035 tutti i nuovi veicoli immatricolati nell’UE siano a zero emissioni, aprendo la strada a un’elettrificazione di massa del parco auto e al potenziamento delle infrastrutture di ricarica in tutto il continente.
Parallelamente, il trasporto marittimo e aereo sarà gradualmente integrato nel sistema ETS, introducendo un prezzo per le emissioni anche in questi comparti finora parzialmente esclusi. Le compagnie di navigazione e gli operatori logistici dovranno quindi investire in carburanti alternativi, come ammoniaca e metanolo verde, e in soluzioni di efficienza energetica per ridurre i costi legati alle quote di carbonio.

Energia: accelerazione della transizione e infrastrutture
Il sistema energetico europeo sarà il motore principale della decarbonizzazione. Il nuovo target rafforzerà l’obiettivo di aumentare la quota di energia da fonti rinnovabili al 42,5% entro il 2030 e di superarla progressivamente nel decennio successivo. Ciò richiederà una forte espansione della capacità eolica e solare, una modernizzazione delle reti di trasmissione (grid build-out) e un incremento degli investimenti in sistemi di accumulo, per garantire la stabilità della rete elettrica e la gestione delle fluttuazioni nella produzione rinnovabile.
Bruxelles punta inoltre a potenziare gli investimenti in idrogeno rinnovabile e biometano, strumenti considerati cruciali per decarbonizzare i settori industriali e i trasporti pesanti.

Agricoltura e foreste: tra rimozione e sostenibilità
Anche il comparto agricolo sarà chiamato a contribuire in modo più sistematico alla riduzione delle emissioni, in particolare quelle legate all’uso del suolo, ai fertilizzanti e alla zootecnia. Parallelamente, la gestione delle foreste e dei terreni agricoli sarà al centro delle politiche di assorbimento naturale del carbonio.
L’Unione intende rafforzare gli incentivi per pratiche sostenibili, come l’agricoltura rigenerativa, la riforestazione e la tutela degli ecosistemi naturali, considerati veri e propri “pozzi di assorbimento” della CO₂. Tuttavia, resta aperto il dibattito sul ruolo dei crediti di natura: se e come potranno essere utilizzati per compensare le emissioni residue, garantendo al tempo stesso trasparenza e integrità ambientale.

Obiettivo climatico Ue per il 2040: consenso fragile e visioni divergenti

L’accordo raggiunto dal Consiglio europeo sul nuovo obiettivo climatico al 2040 ha suscitato reazioni contrastanti tra governi, imprese e organizzazioni ambientaliste, riflettendo la complessità politica e sociale della transizione verde.

I governi: tra ambizione e cautela economica
Diversi Stati membri hanno accolto con favore il compromesso sul -90%, ma non senza riserve. Paesi come Germania, Italia e Polonia hanno insistito sulla necessità di flessibilità per tutelare la competitività industriale e gestire l’impatto sociale della decarbonizzazione.
La formula approvata – un obiettivo “domestico” dell’85%, da raggiungere con riduzioni effettive all’interno dell’UE, e un 5% coperto da crediti internazionali di alta qualità – risponde proprio a queste richieste di gradualità. Per i governi più prudenti, si tratta di un equilibrio tra realismo economico e impegno climatico, mentre i Paesi nordici e i più ambiziosi lo considerano solo un punto di partenza verso obiettivi più stringenti.

Le ONG ambientaliste: “Troppa flessibilità rischia di indebolire l’obiettivo”
Le principali organizzazioni ambientaliste europee, tra cui Greenpeace e Climate Action Network Europe, hanno criticato il compromesso raggiunto dal Consiglio, sostenendo che l’uso di crediti internazionali per coprire parte del target potrebbe “diluire” gli sforzi reali di riduzione delle emissioni all’interno dell’Unione.
Secondo le ONG, la priorità dovrebbe restare quella di tagliare le emissioni alla fonte e non di compensarle tramite meccanismi esterni. Alcune organizzazioni hanno inoltre chiesto un rafforzamento del monitoraggio sui crediti di carbonio e un sistema di verifica trasparente e vincolante per garantire la credibilità del percorso europeo.

Il mondo industriale: servono certezza normativa e incentivi
Le reazioni del settore produttivo sono state più sfumate. Le principali associazioni industriali europee, tra cui BusinessEurope e Cefic (industria chimica), hanno espresso sostegno di principio al nuovo target, ma chiedono chiarezza sulle regole attuative e politiche di accompagnamento più solide.
L’industria europea teme che l’aumento del prezzo del carbonio e gli obblighi di investimento in nuove tecnologie possano penalizzare la competitività rispetto a Stati Uniti e Cina. Per questo, chiede tempi di adeguamento realistici, accesso a incentivi mirati e un quadro normativo stabile che consenta di pianificare gli investimenti a lungo termine.


Calendario e prossimi passaggi: verso il negoziato finale

Con l’accordo politico raggiunto dal Consiglio, si apre ora la fase decisiva del processo legislativo. Il testo di modifica della European Climate Law dovrà essere discusso nel Parlamento europeo, dove non mancheranno proposte di emendamento su flessibilità, crediti internazionali e governance climatica.

Dopo il voto in plenaria, inizieranno i triloghi, cioè le negoziazioni a tre tra Commissione, Parlamento e Consiglio, con l’obiettivo di trovare un accordo sul testo finale entro la metà del 2026. Solo allora il nuovo quadro normativo potrà entrare in vigore.

Parallelamente, la Commissione avvierà una revisione dei principali strumenti settoriali – dal sistema ETS alla regolazione dello Effort Sharing, fino alle direttive su energia e trasporti – per allineare gli obiettivi tecnici al nuovo target del 2040.


Cosa devono fare imprese e amministrazioni locali

Il nuovo obiettivo climatico avrà ricadute concrete sulla pianificazione economica e territoriale. Imprese, enti locali e operatori pubblici dovranno adattare i propri piani di investimento e strategia energetica ai nuovi orizzonti europei.

Checklist operativa:

Rafforzare il monitoraggio delle emissioni aziendali e territoriali, in vista delle nuove regole di rendicontazione ESG e dei criteri di finanza sostenibile.

Aggiornare i piani industriali e finanziari su orizzonte decennale, integrando il target 2040 nelle strategie aziendali e nei bilanci di sostenibilità.

Valutare l’esposizione al sistema ETS, definendo strategie di acquisto, copertura e gestione delle quote di emissione.

Accelerare i progetti di elettrificazione e uso dell’idrogeno verde nei processi produttivi più energivori.

Investire in efficienza energetica e rinnovabili locali, anche in sinergia con le comunità energetiche e i partenariati pubblico-privati.

Preparare proposte per accedere ai fondi europei dedicati alla transizione, come l’Innovation Fund, il Just Transition Fund e il Modernisation Fund.

Clima, industria e geopolitica: l’Europa tra ambizione e competizione

La definizione del nuovo obiettivo climatico Ue non è solo una questione ambientale: è anche una scelta strategica in un contesto di crescente competizione globale. Dopo la crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina e il riallineamento dei mercati delle materie prime, l’Unione europea punta a rafforzare la propria autonomia energetica e industriale, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili importati e stimolando la produzione interna di tecnologie pulite o Cleantech.

Il target del -90% entro il 2040 rappresenta dunque una bussola politica che intreccia clima, competitività e sicurezza economica. Bruxelles intende dimostrare che la transizione ecologica può essere anche un motore di innovazione e crescita, sostenendo la riconversione delle filiere produttive e la nascita di un mercato unico per l’energia verde.

Tuttavia, l’Europa si trova a dover bilanciare ambizione e realismo: mentre Stati Uniti e Cina avanzano con piani di investimento massicci — dal Inflation Reduction Act americano al programma cinese sulle tecnologie low-carbon — l’UE deve evitare che la propria politica climatica si traduca in una fuga di capitali o in una perdita di competitività industriale.

Per questo, accanto agli obiettivi ambientali, i leader europei insistono sulla necessità di un Green Deal industriale, capace di mobilitare risorse pubbliche e private e di sostenere la transizione delle imprese più esposte. In questo equilibrio tra ambizione climatica e pragmatismo economico si gioca la credibilità internazionale dell’Unione e la possibilità di trasformare la transizione verde in un vantaggio strategico duraturo.

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