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ESG disclosure e ruolo del clima presso le banche



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L’ESG disclosure, ovvero l’insieme dei dati e delle informazioni che un’impresa rende pubbliche in merito alle proprie performance ambientali, sociali e di governance, permette di dare vita a un racconto strutturato sulla gestione dei rischi e sulle opportunità legate alla sostenibilità. La ricerca della Banca D’Italia su “Analisi delle disclosure ESG di un campione di banche italiane ed europee” mostra che le banche faticano a reperire dati e che presentano una alta esposizione a settori che impattano sul clima

Pubblicato il 23 ago 2025

Mauro Bellini

Direttore Responsabile ESG360.it, EnergyUP.Tech e Agrifood.Tech



ESG disclosure
Fonte: Banca D'Italia – Note di stabilità finanziaria e vigilanza. "Analisi delle disclosure ESG di un campione di banche italiane ed europee"

Indice degli argomenti

ESG Disclosure: cosa significa?

Con l’espressione ESG disclosure si indica l’insieme dei dati e delle informazioni che un’impresa rende pubbliche in merito alle proprie performance ambientali, sociali e di governance. La ESG Disclosure in molti casi affianca la rendicontazione di sostenibilità e il bilancio di sostenibilità e non si limita a una esposizione di numeri o dati finanziari, ma prevede un racconto strutturato e soprattutto chiaramente e facilmente verificabile sulla gestione dei rischi e sulle opportunità legate alla sostenibilità.

Perchè l’ESG Disclosure è richiesta da investitori e istituzioni e stakeholder?

Negli ultimi anni l’ESG disclosure è diventata un requisito essenziale: investitori, istituzioni, clienti e stakeholder vogliono capire non solo la solidità economica, ma anche l’impatto ambientale e sociale delle imprese. La spinta verso una ESG Disclosure sempre più precisa arriva anche grazie alla diffusione di pratiche come la Doppia Materialità sostenuta dalle normative europee, come la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che rende obbligatoria la rendicontazione di sostenibilità per un numero sempre maggiore di aziende (al netto naturalmente delle novità legate al Pacchetto Omnibus UE n.d.r.).

Quali sono, in sintesi, i principali contenuti dell’ESG Disclosure?

Un’adeguata ESG disclosure deve prevedere alcuni elementi essenziali come

Qual è il principale obiettivo dell’ESG Disclosure?

L’obiettivo dell’ESG Disclosure non è solo rispondere a un obbligo normativo, ma creare fiducia. Una comunicazione chiara riduce il rischio di greenwashing, migliora la reputazione e attrae capitali sostenibili. Inoltre, la standardizzazione dei report secondo framework internazionali come GRI (Global Reporting Initiative) o SASB (Sustainability Accounting Standards Board) facilita la comparabilità tra aziende e settori.

La ESG disclosure conte di gestire il passaggio da generiche dichiarazioni di sostenibilità a una rendicontazione concreta e verificabile e rappresenta lo strumento attraverso cui le imprese mostrano se e come stanno contribuendo a un modello di sviluppo più sostenibile, equo e responsabile.


Cosa significa ESG Disclosure per il mondo delle banche?

Nel settore bancario, l’ESG disclosure ha una doppia valenza. Si tratta infatti di una forma di disclosure che permette di rappresentare la comunicazione trasparente e strutturata delle politiche, delle pratiche e dei risultati ottenuti in ambito ambientale, sociale e di governance. Ma nell’ambito degli istituti di credito non ci si limita a rendicontare l’impatto diretto dell’attività della banca, occorre essere nella condizione di illustrare come vengono gestiti i rischi e le opportunità ESG nei portafogli di investimento e nei finanziamenti concessi ai clienti.

ESG Disclosure come strumento per analizzare come vengono gestite e indirizzate le risorse?

Le banche, infatti, svolgono un ruolo cruciale nel canalizzare risorse verso progetti e imprese sostenibili a sostegno di un’economia sostenibile. Attraverso la disclosure di sostenibiltà, comunicano ad autorità, investitori e opinione pubblica come valutano i climate risk, come integrano i criteri ESG nei processi di credito e come contribuiscono alla transizione ecologica e sociale.

In cosa consiste la spinta delle normative verso una ESG Disclosure?

Le normative europee, come la CSRD e la Tassonomia UE, hanno reso obbligatorio un livello sempre più alto di trasparenza. Inoltre, l’EBA (European Banking Authority) richiede alle banche di rendere disponibili dati comparabili su esposizione a settori ad alto impatto, politiche di governance e obiettivi climatici.

In questo senso una corretta ESG disclosure permette agli istituti di credito di rafforzare la fiducia dei mercati, ridurre i rischi reputazionali e accedere più facilmente a capitali sostenibili. Al tempo stesso, rappresenta uno strumento per misurare i progressi verso il net zero e per dimostrare l’impegno a favore di una finanza responsabile.


ESG Disclosure: cosa dice il rapporto della Banca d’Italia?

Il rapporto Banca d’Italia relativo alle “Note di stabilità finanziaria e vigilanza” e denominato Analisi delle disclosure ESG di un campione di banche italiane ed europee” (Il report è accessibile in forma integrale QUI n.d.r.)  analizza le disclosure ESG di banche italiane ed europee, evidenziando progressi nella misurazione del rischio di transizione immobiliare e persistenti difficoltà informative. Esplora i rischi climatici nel banking-book e le sfide di indicatori di finanza sostenibile come il Green Asset Ratio (GAR), proponendo metriche alternative per una finanza più sostenibile.

Per quali ragioni la finanza sostenibile è al centro dell’attenzione in Europa?

Il panorama finanziario europeo sta vivendo un’era di profonda e rapida trasformazione, guidata dalla crescente consapevolezza degli impatti che la transizione climatica e ambientale esercita sulla società e sull’economia. In questo contesto, la disciplina europea sui fattori Environmental, Social, Governance (ESG) è diventata un pilastro fondamentale, in particolare per quanto concerne i rischi climatici e ambientali.

Che ruolo svolge il Piano d’azione della Commissione europea?

Il Piano di azione della Commissione europea in materia di finanza sostenibile ha fornito la base per un set articolato di misure legislative, il cui scopo primario è facilitare la condivisione di dati e informazioni su questi rischi, rendendone più agevole la misurazione e la gestione. Questa evoluzione normativa riflette una priorità sempre più marcata delle autorità di vigilanza, chiamate a intensificare l’azione volta a valutare il grado di integrazione dei rischi ESG nei processi aziendali degli intermediari vigilati.

Quali sono le azioni della Banca D’Italia?

A livello nazionale, la Banca d’Italia ha assunto un ruolo proattivo in questo percorso. Oltre a definire piani di azione specifici per singoli intermediari, bancari e non bancari, ha condotto analisi mirate sulle prime informative pubblicate dalle banche relative agli impatti dei rischi ESG. Già nel dicembre del 2023, la Banca d’Italia aveva divulgato le principali risultanze di una prima analisi sugli impatti contabili e le disclosure dei rischi ESG per un campione di banche italiane ed europee (leggi anche l’articolo sulla Carta degli investimenti sostenibili n.d.r.). Il presente documento, un aggiornamento di tali analisi, si basa sui dati pubblicati nel 2024 dallo stesso campione di istituzioni finanziarie, offrendo una visione aggiornata e più completa. Si tratta di un lavoro che, pur riflettendo le opinioni degli autori, non impegna la responsabilità della Banca d’Italia, ma fornisce preziosi spunti di riflessione e analisi sul settore.

Metodologia e ambito dell’aggiornamento

L’analisi condotta dalla Banca d’Italia, riflettendo esclusivamente le opinioni degli autori e non impegnando la responsabilità dell’istituzione, si è concentrata su un campione significativo di istituzioni finanziarie. Per le disclosure ESG di Terzo Pilastro, sono state prese in esame 12 banche significative italiane e 11 banche significative europee. Per le dichiarazioni non finanziarie (DNF), l’indagine ha coinvolto un campione di 29 banche italiane, che include anche le 12 banche significative italiane. Questo campione è stato leggermente modificato rispetto all’anno precedente, con l’eliminazione di una Less Significant Institution (LSI) non più obbligata alla redazione della DNF poiché entrata a far parte di un gruppo bancario. Questo approccio consente di confrontare le performance e le sfide affrontate da banche di diverse dimensioni e nazionalità all’interno del contesto europeo, fornendo una base solida per comprendere l’evoluzione della gestione e della disclosure dei rischi ESG.

I principali risultati emersi dall’analisi riguardano specificamente il rischio di transizione dei prestiti garantiti da beni immobili, il rischio di transizione del banking-book connesso ai cambiamenti climatici, il rischio fisico del banking-book e le prime evidenze relative al Green Asset Ratio (GAR).

Rischio di transizione: si parla di prestiti garantiti da beni immobili?

Una delle principali sfide evidenziate nel rapporto riguarda la difficoltà diffusa tra la maggior parte delle banche, sia italiane che europee, nel reperire informazioni ESG di qualità sulle controparti affidate. Questo ostacolo è spesso imputabile a problemi di accesso a database pubblici che contengono dati sui consumi energetici di imprese e famiglie. Tra le difficoltà, si riscontrano problemi legati al rispetto della normativa sulla privacy e vincoli di riservatezza, questioni su cui sta lavorando un Gruppo di Lavoro specifico promosso dal MEF, nell’ambito del Tavolo per la finanza sostenibile.

Come sta cambiando l’approccio delle banche alla misurazione dei rischi?

Nonostante queste barriere, il rapporto registra un graduale miglioramento per le banche italiane nella capacità di misurare il rischio di transizione per la quota parte connessa alle garanzie immobiliari. Questo progresso è visibile sia nel settore commerciale che in quello residenziale. La percentuale media degli immobili commerciali e residenziali sprovvisti di dati (reali o stimati) sui consumi energetici si è ridotta dal 25% al 16%, attestandosi sui livelli delle principali banche europee.

Quali sono le differenze tra l’ESG Disclosure nelle banche italiane e in quelle europee?

Dal report emerge che permangono delle importanti disparità. Confrontando il campione delle banche italiane con quello delle banche europee, si evidenzia per le istituzioni italiane una percentuale più bassa di garanzie immobiliari con dati sui consumi energetici certificati dagli attestati di prestazione energetica (APE). Questo divario è marcato sia nel settore commerciale (10,5% IT vs 17,5% UE) sia in quello residenziale (29,0% IT vs 40,8% UE).

A livello più aggregato, le percentuali di garanzie immobiliari (residenziali e commerciali) per le quali sono disponibili gli APE sono rispettivamente del 24,4% per il campione di banche italiane e del 36,4% per il campione UE. Si noti che per l’anno precedente, queste percentuali erano rispettivamente del 17% e 32%.

Di contro, le banche italiane ricorrono più frequentemente a valori stimati rispetto a quelle europee, con una differenza particolarmente evidente nel settore residenziale, dove il 62% delle proprietà italiane presenta dati di stima, a fronte del 46,8% nell’UE. A livello aggregato, la percentuale di immobili con classe energetica stimata è pari rispettivamente al 59,9% per le banche italiane rispetto al 47,8% per il campione UE. Per il settore commerciale, invece, il 53,4% delle proprietà italiane presenta dati di stima, rispetto al 52,1% dell’UE. Inoltre, l’Italia mostra un peso maggiore di immobili sprovvisti di dati sui consumi energetici relativamente al settore commerciale (36,1% IT vs 30,4% UE), mentre per il settore residenziale è il campione UE a registrare una percentuale più elevata (8,9% IT vs 12,5% UE).

Rischio di transizione:cosa succede al portafoglio crediti?

Un aspetto cruciale dell’analisi riguarda l’esposizione delle banche al rischio di transizione all’interno del loro portafoglio crediti. Le Significant Institutions (SIs) italiane e il campione delle SIs europee presentano rispettivamente l’83,6% e il 62,7% delle esposizioni verso imprese non finanziarie operanti nei settori definiti come “highly contributing to climate change”. Questi settori, che includono agricoltura, estrazione mineraria, manifattura, fornitura di energia, gestione delle acque, costruzioni, commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività immobiliari, e servizi di alloggio e ristorazione, sono quelli che contribuiscono maggiormente al cambiamento climatico e che, quindi, necessitano maggiormente di investimenti per la realizzazione della transizione climatica. Questi valori sono sostanzialmente in linea con le analisi precedenti, confermando il ruolo centrale delle banche italiane nel finanziare la transizione climatica delle imprese affidate in tali settori.

Come sta cambiando il rapporto tra le banche italiane e i settori produttivi più esposti al cambiamento climatico?

Nonostante l’elevata esposizione, le evidenze disponibili sulla rischiosità delle esposizioni creditizie verso questi settori continuano a essere “poco robuste”. Si osserva una maggiore incidenza delle esposizioni classificate in stage 2 e non-performing in questi settori rispetto agli altri. Per le banche italiane, i settori che contribuiscono maggiormente al cambiamento climatico mostrano una media di esposizioni in stage 2 e non-performing rispettivamente del 14,9% e 4%, superiori rispetto al 14,6% in stage 2 e 2,9% non-performing degli altri settori economici. A livello europeo, il trend è confermato, con il 12,3% dei crediti in stage 2 e 3,5% non-performing per i settori a maggiore impatto climatico, contro il 10,2% e 3,1% per gli altri settori.

Come si comportano le imprese dei settori highly contributing to climate change?

Tuttavia, non si può escludere che questa evidenza derivi da fattori idiosincratici, come un maggiore profilo di rischio delle controparti, piuttosto che dall’incorporazione diretta dei rischi climatici nella determinazione delle perdite attese e dello staging IFRS 9. A titolo di esempio, molti dei settori classificati come “highly contributing to climate change”, quali le costruzioni, le attività immobiliari, l’agricoltura e i servizi di alloggio e di ristorazione, sono stati considerati particolarmente sensibili a rischi connessi allo scenario macro-economico caratterizzato dall’incremento dell’inflazione e dagli elevati tassi di interesse nel periodo 2022-2023. Simmetricamente, i settori dei servizi, spesso esclusi da questo gruppo, stanno registrando una performance migliore rispetto agli altri.

In termini di copertura, non emergono evidenze univoche. Mentre il grado di copertura delle esposizioni non-performing nei settori “highly contributing to climate change” è più alto sia per le banche italiane (56,2% vs 50,5%) che europee (41,6% vs 39,8%) rispetto agli altri settori economici, per le posizioni in stage 2 i livelli di copertura sono più alti solo per le banche italiane (5,2% vs 3,5%), mentre sono inferiori per le banche europee (3,1% vs 3,7%).

Rischio fisico: quali sono gli impatti sul portafoglio bancario?

Oltre ai rischi di transizione, il rapporto analizza anche l’esposizione delle banche al rischio fisico, distinguendo tra rischi cronici e acuti.

Cosa sono i i rischi fisici cronici?

Gli “Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario” della Commissione europea (2019) definiscono i rischi fisici cronici come rischi “che derivano da mutamenti climatici a più lungo termine, come i cambiamenti di temperatura, l’innalzamento del livello del mare, la minore disponibilità di acqua, la perdita di biodiversità e i cambiamenti nei terreni e nella produttività del suolo”.

Cosa sono i rischi fisici acuti?

I rischi fisici acuti, invece, emergono da “particolari fenomeni, soprattutto meteorologici, quali tempeste, inondazioni, incendi o ondate di calore, che possono danneggiare gli impianti di produzione e interrompere le catene del valore”.

Che impatto hanno questi rischi sulle attività delle banche?

Le esposizioni soggette al rischio fisico (cronico e acuto) rappresentano una percentuale non trascurabile del portafoglio finanziamenti: pari rispettivamente al 16,6% per le banche italiane e al 18,1% per quelle europee. Nello specifico, per le banche italiane, le esposizioni soggette a rischio fisico cronico sono il 3,7% delle esposizioni complessive, quelle al rischio fisico acuto il 10,4% e quelle ad entrambi i rischi il 2,5%. Per le banche europee, i dati medi sono rispettivamente 7,8%, 6,7% e 3,6%.

I settori maggiormente esposti al rischio fisico variano leggermente tra i due campioni:

  • Per le banche italiane: agricoltura, costruzioni e manifattura.
  • Per le banche europee: agricoltura, estrazione mineraria e fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata.

Analogamente a quanto riscontrato per i rischi di transizione, anche per il rischio fisico non emergono ancora evidenze significative sul calcolo delle perdite attese. Per le banche italiane, le esposizioni soggette a tale rischio presentano una percentuale di posizioni classificate a stage 2 e non-performing solo di poco superiore a quella del totale delle esposizioni; a livello europeo, si riscontra una maggiore incidenza solo sulla classificazione a non-performing. In nessun caso, invece, il rischio fisico sembra avere un impatto significativo sul livello di coverage. Anche per il rischio fisico e per i connessi impatti contabili, dunque, i risultati sono sostanzialmente in linea a quelli derivanti dall’analisi dei dati al 31 dicembre 2022.

ESG Disclosure: cosa succede al Green Asset Ratio (GAR)?

Un indicatore chiave introdotto di recente è il Green Asset Ratio (GAR), incorporato nella Tassonomia UE e nella disciplina EBA sull’informativa di Terzo Pilastro. L’obiettivo del GAR è fornire una metrica sintetica del rapporto tra gli attivi che finanziano attività allineate alla Tassonomia e le attività totali in bilancio. Misura, rispetto al totale attivo (al netto delle esposizioni verso amministrazioni centrali, banche centrali e del trading book), la percentuale di esposizioni incluse nel portafoglio bancario che rispettano due requisiti principali:

  • Sono erogati verso imprese grandi o piccole e medie con titoli quotati che pubblicano la DNF (ai sensi della Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD), oppure verso famiglie ed enti locali. Rientrano nell’ambito di applicazione della CSRD le “grandi imprese” (che superano due su tre dei seguenti criteri: un totale di bilancio di 25 milioni di euro; un fatturato netto di 50 milioni di euro; un numero medio di dipendenti di 250) e le PMI quotate.
  • Finanziano attività “allineate” ai sensi del Taxonomy Regulation. Un’attività è considerata “allineata” se:
    • Contribuisce in modo sostanziale ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali definiti nel Regolamento;
    • Non causa un danno significativo a nessuno degli altri obiettivi ambientali (Do Not Significant Harm, DNSH);
    • Rispetta le garanzie minime di salvaguardia sociale (diritti umani e del lavoro come da principi guida e convenzioni internazionali ONU);
    • È conforme ai criteri di vaglio tecnico (technical screening criteria, TSC) pubblicati dalla Commissione europea per ciascun obiettivo.

I primi dati pubblicati nel 2024, riferiti al 31 dicembre 2023, mostrano valori del GAR molto contenuti:

  • Banche significative italiane: 1,68%.
  • Banche significative europee: 2,61%.
  • Less Significant Institutions (LSIs) italiane: 0,84%.

Prospettive future per l’ESG Disclosure

L’analisi della Banca d’Italia sottolinea un miglioramento nella capacità delle banche italiane di reperire ed elaborare dati per il rischio di transizione immobiliare, raggiungendo i livelli delle principali banche europee, ma persistono ancora lacune informative e difficoltà di accesso ai database pubblici, anche per questioni di privacy e riservatezza.

L’esposizione al rischio di transizione nel banking-book rimane elevata verso settori chiave per la transizione, anche se la robustezza delle evidenze sugli impatti diretti sulla rischiosità creditizia necessita di ulteriori approfondimenti e potrebbe essere influenzata da fattori macro-economici. Per il rischio fisico, sebbene le esposizioni siano significative, non emergono ancora impatti univoci sulla classificazione del rischio o sulle perdite attese.

Il Green Asset Ratio (GAR), pur essendo un indicatore innovativo e cruciale per la Tassonomia UE, mostra valori molto bassi che ne limitano l’attuale valore informativo, a causa principalmente delle sue modalità di calcolo e dell’incompletezza della Tassonomia UE, che esclude settori e non fornisce criteri completi per tutte le attività. Le discussioni a livello europeo per introdurre un GAR “adjusted” o promuovere metriche alternative come il BTAR, insieme all’urgente necessità di completare il framework della Tassonomia, rappresentano passi fondamentali per dotare il sistema finanziario di strumenti più efficaci per misurare e comunicare il proprio contributo alla finanza sostenibile e alla transizione climatica.

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