Sustainability Management

Bruschi, Reda: più attenzione alle normative e più investimenti in competenze in questa fase del sustainability management

Come cambiano le priorità, le mansioni e gli impegni del sustainability manager. Luca Bruschi, Head of Sustainability Reda racconta la sua esperienza e la sua visione di una sostenibilità aziendale improntata alla conoscenza

Pubblicato il 13 Nov 2023

Luca Bruschi, Head of sustainability manager di Reda

Due priorità su tutte caratterizzano questa fase del sustainability management: “la conoscenza approfondita e il corretto adempimento delle normative e tanta (tanta) formazione”.  Incalzato sulla necessità di individuare le principali priorità nel suo lavoro di Head of sustainability manager di Reda, Luca Bruschi parla prima di tutto dei temi della governance normativa, ma è un tema che, come tiene a precisare, si intreccia con altre priorità come rendicontazione, innovazione, green procurement, comunicazione che hanno un comun denominatore: “l’assoluta necessità di formarsi continuamente e costantemente”.

Prima di entrare nel merito dei temi della sostenibilità va ricordato che Reda è un nome storico e di eccellenza del tessile Made in Italy, un’azienda che opera dal 1865 nella produzione di tessuti in lana merino destinati primariamente all’abbigliamento maschile. Reda è anche una realtà che ha iniziato da tempo un percorso che unisce in modo integrato sviluppo industriale, economico, sociale e sostenibilità. Proprio questa attenzione al rapporto tra impresa e sustainability aveva favorito una prima intervista di circa un anno fa, in cui Bruschi aveva portato all’epoca l’attenzione sui tre pillar della strategia aziendale: Sostenibilità, Trasparenza e Circolarità.

Cosa è cambiato in questo periodo, ovvero quali sono stati i tratti principali nell’evoluzione del tuo lavoro?

Va detto che per il settore del fashion in particolare c’è stata una crescita esponenziale dei temi legati a normative e standard. Il nostro settore è uno di quelli maggiormente interessati da adempimenti su tanti ambiti. Solo per citare qualche punto di riferimento abbiamo la European Textile Strategy 2030 che prevede tutta una serie di obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale e che ha “messo in moto” una serie di interventi normativi che impattano sul nostro settore nella direzione della moda sostenibile. Ci sono poi normative che puntano a portare la sostenibilità a livello di supply chain come la CSDDD, Corporate Sustainability Due Diligence Directive o Supply Chain Act che impattano naturalmente tutti i settori, ma che sono estremamente rilevanti per il mondo della moda. Abbiamo anche la CSRD, che obbligherà anche molte PMI a redigere un report non finanziario e a misurarsi con criteri comuni definiti a livello europeo. C’è poi, per citare un ultimo importantissimo esempio, Il Digital Product Passport che è destinato a svolgere un ruolo di primaria importanza nella gestione di tutti i prodotti, ma soprattutto dei prodotti ad alto valore aggiunto come quelli che caratterizzano il Made in Italy. Il tutto avviene nell’ambito di un processo che si va a integrare anche con le tematiche di responsabilità estesa dei produttori, con la gestione delle sostanze pericolose, con la gestione e il trasporto dei rifiuti e con le prospettive legate all’adozione di modelli circolari.

 

Una normativa che sta invitando a integrare la sostenibilità nella creazione dei prodotti e nell’innovazione dei processi di produzione?

Assolutamente sì, ma non è finita. C’è anche il tema delicatissimo della comunicazione: mi riferisco alla gestione dei rischi legati al greenwashing. Dobbiamo gestire un insieme di normative che comportano una grande complessità e che, per rispondere alla tua domanda, occupano una parte molto rilevante del tempo e dell’attenzione dei sustainability manager. Questa componente sta comportando un cambiamento generale  e sostanziale nel profilo di questa professione.

Proviamo a descrivere in sintesi questo cambiamento?

Dalla mia prospettiva vedo il passaggio da una fase in cui il sustainability management era una delega che veniva attribuita a una figura aziendale che, per il ruolo, per la vocazione o per specifiche competenze poteva occuparsi – anche – di sostenibilità. Una sorta di part-time. Questo approccio in molti casi non basta più. È sempre più necessaria una figura che sappia gestire tutte le variabili che mettono in diretta relazione la sostenibilità con la competitività, ovviamente la conoscenza e il rispetto delle (tante) normative è una di queste dimensioni, ma ce ne sono tante altre.

In concreto non è più sufficiente un sustainability management a “part time”, ma occorre favorire la crescita di figure che permettano alle aziende di conoscere e gestire tutte le dimensioni che abilitano un vero rapporto integrato tra sostenibilità e strategie aziendali. Non ultimo occorre anche  disporre di quelle conoscenze che permettono di ridurre i rischi legati ai temi ESG e occorrono sempre di più competenze e soft skill per dialogare con tutte le anime aziendali nelle quali la sostenibilità svolge un ruolo chiave.

 

Il tema delle competenze è come hai detto l’altra grande priorità. Come la vedi e come la stai vivendo?

Parlo ancora una volta della mia esperienza. Gestire tematiche relative alla sostenibilità vuol dire gestire un perimetro di conoscenza aziendale che si sta allargando enormemente. Si tratta di affrontare una grande complessità nella quale sono però nascoste anche tante opportunità che le imprese possono cogliere. Parlando di competenze e di green skills occorre poi tenere conto di diversi fattori che dipendono primariamente dal settore specifico in cui opera un’azienda, dalle modalità in cui si configurano i temi di sostenibilità per quello specifico settore e dalla formazione di base di chi affronta i temi del sustainbility management.

Dobbiamo essere consapevoli che non si può essere tuttologi ma si deve avere la consapevolezza che occorre esprimere una preparazione e una attenzione su tutti i temi rilevanti che contribuiscono a determinare l’impatto aziendale.

 

Come si sviluppa questa formazione? Quali sono i punti di riferimento?

Le forme sono diverse, a mio avviso è importante focalizzare l’attenzione, ad esempio con Master e corsi specifici sui temi più rilevanti relativi al settore nel quale si opera, ma è nello stesso tempo importantissimo vivere una dimensione di costante aggiornamento e collaborazione con i gruppi di lavoro che le diverse associazioni di categoria stanno portando avanti. Il sustainability management è una materia viva e in grandissima evoluzione sulla quale la discussione è apertissime e vivace e la presenza concreta sui tavoli nei quali si concretizzano queste discussioni consente di comprendere la reale portata dei fenomeni che poi vedremo nei mercati e nelle aziende.

Come è cambiato il rapporto tra sostenibilità e innovazione?

Questo è un altro punto chiave. La sostenibilità sempre di più influenza lo sviluppo di nuovi prodotti e la gestione dei processi di produzione o le operations relative, ad esempio, a trasporti e logistica. Ma come ripete spesso il nostro amministratore delegato Ercole Botto Poala la sostenibilità va oltre queste importantissime dimensioni ed attiene al purpose e alla responsabilità ambientale e sociale dell’azienda. La sostenibilità si concretizza nei rapporti con i dipendenti, con i fornitori, con i clienti, con la comunità e con i territori in cui si opera. È una dimensione che cambia il anche il paradigma dell’operatività. Peraltro, noi come società benefit, abbiamo modificato il nostro statuto e abbiamo inserito delle clausole di beneficio comune per portare i criteri di sostenibilità in diversi ambiti: dalla catena di fornitura alla produzione responsabile, dalla sicurezza alla circolarità, dalla valorizzazione dei dipendenti, al rapporto con i clienti.

 

Veniamo nello specifico a come l’innovazione digitale sta oggi rispondendo alle istanze della sostenibilità?

L’innovazione digitale sta esprimendo una grande offerta di soluzioni per la sostenibilità. Sono tanti i produttori che stanno portando piattaforme applicazioni soluzioni per la gestione dei dati di sostenibilità. L’offerta è molto ricca anche se a mio avviso sebbene alcune tematiche inizino ad essere ben coperte altre non sono ancora abbastanza presidiate, almeno per il momento.

Facciamo qualche esempio, in termini di tipologia di esigenze?

Vediamo che molti software nascono già integrati con strumenti di misura, con norme e metodiche internazionali e questo risponde a esigenze di usabilità e di semplificazione. Nello stesso tempo vediamo che mentre i temi ambientali sono normalmente molto ben coperti, non si può dire altrettanto rispetto a quelli sociali.

Un altro aspetto a mio avviso molto rilevante riguarda i temi della data collection sulla quale c’è ancora molto lavoro da fare anche perché vediamo crescere costantemente le fonti di informazioni e di variabili che incidono sulla sostenibilità aziendale.

L’altro grande tema, che è normalmente ben presidiato dall’innovazione digitale, riguarda i temi della rendicontazione non finanziaria. Gli strumenti digitali, a mio avviso, devono essere pensati per facilitare la necessità di rispondere a audit sempre più frequenti che arrivano da soggetti anche molto diversi, dalle terze parti preposte alla verifica e al controllo, dai clienti, dai partner. Ma l’aspetto sul quale ritengo si debba concentrare l’attenzione riguarda la possibilità per queste piattaforme di mettere a disposizione informazioni rilevanti non solo per l’audit in sé, ma per comprendere i fenomeni della sostenibilità nel loro complesso. Per essere concreti, nel momento in cui ho una analisi precisa e dettagliata in merito ad esempio al consumo di acqua, posso utilizzare questa informazione per rispondere a un audi, magari per dimostrare che le mie performance anno su anno stanno migliorando, ma è anche una analisi preziosissima per il mondo operations, per chi lavora all’innovazione di prodotto e di processo.

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