Dirottare i capitali dalle attività inquinanti per l’ambiente, sanzionare i clienti il cui profilo di rischio climatico genera un’esposizione significativa e migliorare le pratiche di rendicontazione dei rischi climatici: la maggior parte dei decision makers dei principali istituti bancari ritiene siano queste le leve fondamentali per contrastare immediatamente la crisi climatica avvicinando banche e ESG.
È quanto emerge da un’indagine condotta dallo studio legale internazionale DLA Piper, “Raising the standard: How banks can improve the quality of climate-risk financial reporting”, sulla base delle interviste a 700 senior bankers di Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi in merito ai progetti e alle sfide per migliorare l’informativa sul rischio climatico nel 2022 e negli anni successivi, e per comprendere se le questioni legate al clima sono o meno prioritarie all’interno del loro business. (da leggere a questo proposito anche il servizio su finanza e climate change)
Nonostante la propensione a rendicontare sulla sostenibilità, non mancano le sfide: una delle principali che banche e imprese si trovano ad affrontare è l’attuale mancanza di metriche e misure standard per la valutazione e il confronto del rischio climatico e la relativa informativa. E il cambiamento non sembra essere all’orizzonte. Inoltre, garantire dati accurati e affidabili è un altro aspetto di fondamentale importanza per affrontare il rischio di greenwashing nel settore.
Luciano Morello, Partner di DLA Piper e responsabile del dipartimento Finance, Projects & Restructuring in Italia, ha dichiarato: “Le banche devono svolgere un ruolo cruciale nella lotta al cambiamento climatico. Aumentando i flussi finanziari verso iniziative a basse emissioni di carbonio e riducendo al contempo i flussi verso attività meno sostenibili, le banche potranno migliorare la velocità e l’efficacia degli interventi a favore del clima. Il cambiamento climatico rappresenta un rischio concreto per la stabilità finanziaria globale e le imprese finanziarie devono agire per arginare la crisi, dato che i costi materiali per imprese, comunità e individui derivanti dai cambiamenti climatici continuano ad aumentare. Non mancano le strutture finanziarie per raggiungere tutti questi obiettivi ed al contempo far sì che l’attività bancaria e delle imprese sia profittevole, questo è il vero goal del futuro.”
Le leve per dirottare le banche a favore dei principi ESG
Con riguardo alla possibilità di influenzare positivamente il cambiamento in relazione alle tematiche ESG, il 92% dei senior banker intervistati concorda sul fatto che colpire le aziende con sanzioni, commissioni o con altre rilevanti misure di carattere economico sia il modo migliore per gestire i clienti il cui profilo di rischio climatico genera un’esposizione significativa per il relativo istituto finanziario.
Quasi nove senior bankers su dieci (88%) concordano sul fatto che dirottare i capitali dalle imprese e dalle attività che inquinano l’ambiente sia un metodo efficace per contrastare il cambiamento climatico. Inoltre, il 90% degli intervistati ritiene che un miglioramento significativo delle pratiche di rendicontazione dei rischi climatici da parte degli istituti finanziari potrebbe avere un notevole impatto sugli sforzi globali per ridurre i cambiamenti climatici.
ESG: le banche e gli ostacoli alla informativa finanziaria sul clima
Più di quattro senior bankers su cinque (86%) affermano che il proprio istituto bancario sta pianificando nel 2022 di investire nel miglioramento dell’informativa finanziaria sul clima, alla luce dell’importanza che riveste la continua discussione in merito ai temi ESG per le società finanziarie. Tuttavia, permangono alcuni ostacoli per le società finanziarie, attualmente frenate dalla mancanza di dati accurati e affidabili.
Più di un terzo degli intervistati ha indicato che la qualità dei dati disponibili (36%), l’affidabilità dei dati provenienti da terzi (36%) e l’accessibilità ai dati dei clienti (34%) rappresentano i maggiori ostacoli per una migliore informativa finanziaria sul clima. Una percentuale significativa (32%) di banche ha dichiarato di essere preoccupata in relazione ad un potenziale doppio conteggio, che potrebbe portare ad un calcolo errato del rischio, mentre il 31% ha affermato di essere incerto sulla metodologia di calcolo del rischio, il che potrebbe essere attribuito alla mancanza di risorse, di competenze o di strumenti dedicati all’analisi del medesimo rischio.
L’importanza di dati accurati e affidabili per evitare il greenwashing
Sebbene si tratti di un impegno significativo per tutte le banche, è chiaro che alcune di queste sono più preparate di altre. Alcuni istituti finanziari hanno divulgato in maniera volontaria un’informativa sulle tematiche relative al clima per diversi anni, il che può significare che il passaggio ad un reporting obbligatorio potrebbe risultare meno problematico per tali banche.
Anche le dimensioni dell’istituto finanziario influiscono sul livello di dettaglio dell’informativa sul clima resa. Le banche che dispongono di grandi dipartimenti di compliance possono aver già investito nella formazione e nei presidi necessari e possono pertanto già disporre di dati solidi e trasparenti per l’analisi di tale rischio.
Garantire dati accurati e affidabili è un altro aspetto di fondamentale importanza per affrontare il rischio di greenwashing nel settore: gli intervistati hanno evidenziato come il miglioramento delle competenze tecniche degli stakeholders e dei consulenti interni e il miglioramento dei dati sui quali si basano le informative, siano i due strumenti fondamentali per contribuire a ridurre al minimo le difficoltà relative al greenwashing.
La legislazione frena l’accoppiata banche-ESG
Una delle sfide principali che le banche si trovano ad affrontare è l’attuale mancanza di un accordo in relazione a metriche e misure standard per la valutazione e il confronto del rischio climatico e della relativa informativa, e il cambiamento non sembra essere all’orizzonte.
La maggior parte degli intervistati si è detta scettica sul fatto che questi cambiamenti possano avvenire già nel 2022; il 76% stima che ci vorrà più di un anno prima che il mercato definisca metriche uniformi, dati e strumenti affidabili e specifici per la valutazione e l’informativa relativa al rischio climatico. Il 15% degli intervistati è ancora più pessimista, prevedendo che ci vorranno più di due anni per realizzare queste misure.
A livello legislativo, invece, ci si chiede se i sistemi attuali stiano funzionando: l’84% degli intervistati concorda sulla necessità di rendere obbligatoria la divulgazione raccomandata dalla Task Force for Climate-Related Disclosures (TCFD). Il 76% degli intervistati concorda sul fatto che un obbligo di divulgazione potrebbe essere controproducente se si vuole incoraggiare un’informativa finanziaria sul clima che vada oltre gli standard di conformità, incoraggiando una corsa al rispetto degli standard piuttosto che al superamento dei loro limiti.
La ricerca completa di DLA Piper è disponibile QUI
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