L’ottava giornata della COP30 ha segnato un punto di svolta nel passaggio da promesse a implementazione, con un forte orientamento a mettere natura, comunità locali e finanziamenti a lungo termine al centro dell’azione climatica. Forestazione, biodiversità, oceani, diritti delle popolazioni indigene e dei giovani: queste le coordinate di una giornata ricca di annunci strutturali e strumenti operativi che ridisegnano gli equilibri globali della lotta alla crisi climatica.
Tropical Forest Forever Facility (TFFF): il più grande meccanismo finanziario per le foreste mai creato
Uno dei momenti chiave della ottava giornata del vertice sul clima è stata l’operazionalizzazione del Tropical Forest Forever Facility (TFFF), un fondo che segna una svolta nella valorizzazione delle foreste permanenti attraverso finanziamenti duraturi.
Il meccanismo, definito da molti come il più ambizioso mai creato nel settore, nasce con l’obiettivo di rendere economicamente vantaggiosa la conservazione delle foreste, superando approcci frammentati e donazioni a breve termine per abbracciare un modello finanziario stabile, scalabile e orientato agli investimenti.
Un fondo da 5 miliardi di dollari che cambia la logica dei finanziamenti
Con una dotazione iniziale di 5 miliardi di dollari, il TFFF non si limita ad aumentare le risorse disponibili, ma introduce una nuova architettura finanziaria:
- integrazione tra fondi pubblici e capitale privato,
- strumenti blended finance,
- incentivi a lungo termine per la riduzione della deforestazione,
- premi economici basati su risultati misurabili.
L’obiettivo è creare un flusso stabile e prevedibile di risorse con cui i Paesi forestali possano pianificare politiche di tutela su larga scala.
Un partenariato globale: dai Paesi amazzonici all’Africa centrale, fino alla Cina
Il carattere innovativo del TFFF emerge anche dalla vasta coalizione di partner coinvolti. Al momento del lancio, governi come:
- Repubblica Democratica del Congo,
- Colombia,
- Guyana,
- Regno Unito,
- Norvegia,
- Cina,
hanno presentato pacchetti di nuovi impegni, sottolineando la complementarità tra gli strumenti finanziari esistenti e la visione di lungo periodo del TFFF. Questo crea per la prima volta un’infrastruttura multilaterale condivisa per proteggere le principali aree tropicali del pianeta.
Almeno il 20% dei fondi destinato ai popoli indigeni e alle comunità locali
Uno degli elementi più rivoluzionari del TFFF è l’inclusione, fin dalla sua progettazione, di un meccanismo di accesso diretto dedicato alle Popolazioni Indigene e Comunità Locali (IPLC).
La Dedicated Finance Allocation (TFFF-DFA) riserva non meno del 20% dei pagamenti per la conservazione delle foreste direttamente a queste comunità, riconoscendo il loro ruolo essenziale come custodi degli ecosistemi e promotori di modelli di gestione sostenibile del territorio.
Questo approccio si ispira alle migliori pratiche del Dedicated Grant Mechanism (DGM), introducendo elementi di governance partecipativa, trasparenza e accountability che puntano a trasformare il modo in cui i fondi climatici raggiungono il livello locale.
Dalle promesse alla pratica: un cambio di paradigma riconosciuto anche dagli attori finanziari
Secondo diverse voci del settore, tra cui rappresentanti del mondo bancario e degli investimenti, il TFFF apre la strada a un modello più credibile e attrattivo per il capitale privato.
Come ha sottolineato Daniel Hanna, direttore globale per la finanza sostenibile di Barclays, “l’ambizione elevata è fondamentale per attrarre investitori e generare slancio”. Il fondo da 5 miliardi è considerato un punto di partenza in grado di catalizzare ulteriori risorse nei prossimi anni.
Trasformare la conservazione in valore economico duraturo
Nel suo complesso, il TFFF mira a ridefinire il posizionamento economico delle foreste tropicali, passando dal concetto di “costo della conservazione” a quello di asset strategico per lo sviluppo sostenibile, generatore di:
- reddito stabile per i Paesi forestali,
- benefici climatici globali,
- tutela della biodiversità,
- sicurezza idrica,
- protezione delle popolazioni vulnerabili.
Il messaggio politico inviato dal Brasile e dai suoi partner è chiaro: le foreste valgono di più se restano in piedi. E con il TFFF nasce, per la prima volta, un’infrastruttura finanziaria capace di tradurre questo principio in strumenti concreti e durevoli.
Diritti territoriali: superato con un anno di anticipo l’impegno da 1,7 miliardi di dollari
Il giorno 8 della XXX Conference of Parties ha messo in evidenza un risultato considerato storico dagli osservatori internazionali: il superamento, con un anno di anticipo, del grande impegno finanziario dedicato ai diritti fondiari delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Si tratta del Land and Forest Tenure Pledge da 1,7 miliardi di dollari, annunciato alla COP26 nel 2021 da governi come Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Norvegia e Paesi Bassi, insieme a 17 fondazioni filantropiche.
Il Pledge, creato per sostenere iniziative che rafforzano la titolazione delle terre, la governance comunitaria e la protezione dei territori tradizionali, è stato non solo pienamente raggiunto ma ampiamente superato grazie al contributo di oltre 30 donatori tra governi e organizzazioni. I partner hanno inoltre annunciato un rinnovato supporto finanziario: tra il 2025 e il 2030 verranno mobilitati altri 1,5–2 miliardi di dollari, garantendo continuità e ampliamento agli interventi di riconoscimento e protezione dei diritti territoriali.
Il primo impegno intergovernativo globale sulla tenure: un cambio di scala senza precedenti
Accanto alla celebrazione dei risultati del Pledge, la COP30 ha visto la nascita di un altro strumento destinato a ridefinire il panorama internazionale dei diritti fondiari: l’Intergovernmental Land Tenure Commitment, il primo impegno formale e globale sottoscritto da governi per riconoscere e rafforzare i diritti territoriali di popolazioni indigene e comunità locali.
Lanciato dal Brasile, insieme a Norvegia e Perù, con il supporto del Forest and Climate Leaders’ Partnership (FCLP) e del Forest Tenure Funders Group (FTFG), l’impegno mira a consolidare la sicurezza territoriale su 160 milioni di ettari entro i prossimi anni.
Il contributo del Brasile è particolarmente rilevante: il Paese ha dichiarato di voler garantire il riconoscimento di almeno 59 milioni di ettari, rendendo la misura una componente chiave della sua strategia climatica e di protezione dell’Amazzonia.
Ad oggi, l’impegno è stato endorzato da 14 paesi, segnando la prima alleanza internazionale in cui governi si obbligano collettivamente a tutelare e rafforzare i diritti fondiari come misura prioritaria di politica ambientale e climatica.
Perché questo avanzamento è cruciale
Il riconoscimento dei diritti territoriali è ampiamente considerato uno degli strumenti più efficaci per:
- ridurre la deforestazione,
- prevenire conflitti socio-ambientali,
- tutelare la biodiversità,
- rafforzare la resilienza climatica,
- proteggere le popolazioni che vivono in prima linea gli impatti del cambiamento climatico.
Con il superamento del Pledge e il lancio del nuovo impegno intergovernativo, la COP30 invia un messaggio chiaro: garantire diritti stabili sulla terra non è solo una questione di giustizia, ma un pilastro essenziale per il successo dell’azione climatica globale.
Lancio della Global Bioeconomy Challenge: la bioeconomia diventa motore strutturale della transizione ecologica globale
La COP30 ha poi dedicato ampio spazio alla bioeconomia come leva strategica per una transizione ecologica che sia allo stesso tempo inclusiva, competitiva e centrata sui territori. In questo contesto è stato ufficialmente presentato il Global Bioeconomy Challenge, una piattaforma internazionale pensata per trasformare in azioni concrete i 10 High-Level Principles (10HLPs) adottati nel 2025 durante la presidenza brasiliana del G20.
Una piattaforma triennale per standardizzare, finanziare e far crescere la bioeconomia mondiale
Il Global Bioeconomy Challenge si configura come uno strumento operativo unico nel suo genere: una iniziativa triennale, attiva fino al 2028, che punta a colmare quattro grandi lacune sistemiche che oggi frenano il pieno sviluppo della bioeconomia globale. La piattaforma agirà infatti su:
- Definizione di parametri internazionali, metriche condivise e indicatori di impatto ambientale e sociale, indispensabili per rendere comparabili e scalabili i progetti bio-based.
- Espansione degli strumenti finanziari e riduzione dei rischi per attrarre investitori pubblici e privati in catene del valore sostenibili.
- Consolidamento di mercati bioeconomici ancora frammentati, così da stimolare innovazione, competitività e nuove opportunità per le economie emergenti.
- Rafforzamento degli impatti positivi su comunità e territori, promuovendo modelli produttivi che integrano conoscenze tradizionali, ricerca scientifica e partecipazione sociale.
Una coalizione internazionale a guida brasiliana
La piattaforma è sostenuta da una coalizione ampia e diversificata che riunisce istituzioni multilaterali, governi e attori del mondo finanziario. Tra i partner figurano:
- Governo del Brasile,
- NatureFinance,
- FAO,
- Inter-American Development Bank (IADB),
- UNCTAD,
- World Resources Institute (WRI).
Questa alleanza conferma il ruolo del Brasile come uno dei principali promotori globali della transizione verso modelli produttivi basati sul capitale naturale e valorizza l’Amazzonia come laboratorio internazionale della bioeconomia.
Una visione che unisce prosperità economica e tutela della natura
Nel presentare la piattaforma, la ministra dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico Marina Silva ha evidenziato la natura trasformativa dell’iniziativa. La bioeconomia – ha sottolineato – può inaugurare “un nuovo ciclo di prosperità”, basato su filiere che generano reddito mantenendo intatti gli ecosistemi, rafforzando la decarbonizzazione e mettendo persone e comunità al centro delle decisioni.
La ministra ha definito il Global Bioeconomy Challenge una “alleanza globale per una transizione equa”, capace di connettere innovazione tecnologica, conoscenze tradizionali e politiche pubbliche. L’obiettivo finale è costruire un modello di produzione e consumo che non depauperi il territorio, ma lo valorizzi come fonte di benessere duraturo.
Perché la bioeconomia è cruciale per la lotta alla crisi climatica
La bioeconomia, se ben regolata e finanziata, può:
- ridurre la pressione sulle foreste e sugli ecosistemi naturali,
- creare filiere produttive a bassa intensità di carbonio,
- generare occupazione locale e nuove opportunità per comunità indigene e rurali,
- stimolare innovazione nei settori alimentare, energetico, farmaceutico e dei biomateriali,
- accelerare il raggiungimento degli obiettivi climatici globali.
Con il lancio del Global Bioeconomy Challenge, la COP30 offre così una cornice operativa e una roadmap condivisa che potrebbero trasformare la bioeconomia da concetto promettente a motore reale della transizione ecologica mondiale.
Nasce la Scaling JREDD+ Coalition: il nuovo modello di investimenti su base giurisdizionale per proteggere le foreste
Al Summit dell’UNFCCC prende forma uno dei meccanismi più innovativi degli ultimi anni nel campo della finanza climatica: la Scaling JREDD+ Coalition, una piattaforma multilaterale che mira a portare su scala nazionale e subnazionale le strategie di riduzione della deforestazione. Il suo lancio rappresenta un’evoluzione decisiva dei programmi REDD+, spostando l’attenzione dal finanziamento di progetti puntuali a un approccio jurisdictional-based, cioè basato su Stati, province o Paesi interi.
Dalle iniziative locali a un sistema di incentivi nazionali
La logica della JREDD+ Coalition è chiara: per ottenere risultati duraturi nella conservazione delle foreste tropicali serve superare la frammentazione dei progetti isolati e promuovere incentivi economici stabili e misurabili su larga scala.
Questo nuovo modello:
- premia riduzioni comprovate della deforestazione,
- stabilisce pagamenti basati sulle performance ambientali,
- crea un quadro di lungo periodo che permette ai governi di pianificare politiche integrate di tutela, sviluppo e monitoraggio territoriale.
Paesi come Guyana, Costa Rica e Ghana, considerati casi di successo del REDD+ tradizionale, hanno contribuito a definire gli standard e le lezioni apprese che ora confluiscono nella nuova Coalizione.
Una coalizione globale che riunisce governi, comunità indigene, investitori e mercato del carbonio
Uno degli aspetti più rilevanti della Scaling JREDD+ Coalition è l’ampiezza e la diversità degli attori coinvolti. La Coalizione comprende:
- Paesi forestali (Costa Rica, Etiopia, Ghana, Guyana, Kenya),
- Paesi donatori (Regno Unito, Norvegia, Singapore),
- organizzazioni indigene (come il Grupo Indigena Perú),
- principali attori del mercato del carbonio (Verra, ART, Emergent, South Pole),
- organizzazioni della società civile.
Questa struttura multistakeholder permette di affrontare in modo coordinato questioni cruciali come la governance territoriale, l’integrità dei crediti di carbonio, la trasparenza dei dati e la distribuzione equa dei benefici.
Obiettivo: colmare il divario da 66,8 miliardi di dollari per proteggere le foreste tropicali
La nuova Coalizione viene definita un tassello chiave della Forest Finance Roadmap, la strategia internazionale – oggi sostenuta da 36 governi che rappresentano il 45% della copertura forestale globale – che punta a chiudere l’enorme gap di finanziamento per la protezione delle foreste tropicali, stimato in 66,8 miliardi di dollari l’anno.
Secondo le stime presentate alla COP30, la sola JREDD+ potrebbe generare tra 3 e 6 miliardi di dollari annui entro il 2030, catalizzando capitali pubblici e privati e aumentando il valore economico della conservazione su scala nazionale.
Perché l’approccio giurisdizionale può essere una svolta
Il passaggio da progetti isolati a programmi giurisdizionali è ritenuto cruciale per diversi motivi:
- permette di affrontare le cause strutturali della deforestazione, dalle filiere agricole illegali alla speculazione fondiaria;
- garantisce monitoraggi più robusti, grazie all’uso di dati territoriali omogenei;
- favorisce l’allineamento delle politiche pubbliche, includendo agricoltura, sviluppo rurale, pianificazione territoriale e diritti fondiari;
- riduce il rischio di leakage (la delocalizzazione della deforestazione);
- offre maggiore certezza agli investitori, aumentando l’affidabilità del mercato del carbonio.
Un nuovo patto globale per mantenere le foreste in piedi
La nascita della Scaling JREDD+ Coalition invia un segnale forte: la comunità internazionale sta convergendo verso un modello di finanziamento capace non solo di compensare le emissioni, ma di creare incentivi economici sistemici per mantenere le foreste intatte.
Si tratta di un passaggio essenziale per rafforzare la resilienza climatica, proteggere la biodiversità e sostenere le comunità che vivono in prima linea gli impatti della crisi climatica.
Global Fire Management Hub: una risposta integrata alle crisi degli incendi
La COP30 è stata anche l’occasione per presentare il Global Fire Management Hub, un’iniziativa che segna un cambio di paradigma nel modo in cui la comunità internazionale affronta l’aumento, ormai cronico, degli incendi boschivi e degli incendi di torba. In un contesto in cui eventi meteo estremi sempre più intensi sono alimentati dal cambiamento climatico, dalla deforestazione e dall’uso insostenibile del suolo, il nuovo Hub nasce con l’obiettivo di offrire una piattaforma operativa globale, capace di coordinare conoscenze, tecnologie e risorse finanziarie per ridurre in modo sistemico il rischio degli incendi.
Una piattaforma globale per prevenzione, risposta rapida e ricostruzione
Il Global Fire Management Hub non si limita a supportare le emergenze una volta avvenute, ma propone un modello avanzato che integra:
- Prevenzione e gestione del rischio, tramite sistemi di monitoraggio in tempo reale, pianificazione territoriale, identificazione delle aree vulnerabili e promozione di pratiche di gestione sostenibile del paesaggio.
- Risposta coordinata alle emergenze, con protocolli condivisi, scambio di squadre altamente specializzate, interoperabilità dei dati satellitari e meccanismi di finanziamento rapido per i Paesi più colpiti.
- Ripristino post-incendio, sostenendo strategie di recupero ecologico, ripristino delle funzioni idrologiche, gestione delle torbiere e ricostruzione delle infrastrutture critiche.
Questa struttura integrata consente di passare da una logica reattiva a una politica di lungo periodo, orientata alla resilienza del territorio.
Un’alleanza tra ONU, governi e istituzioni scientifiche
Il Hub è promosso da una collaborazione senza precedenti che include:
- UNEP,
- FAO,
- UNDRR,
- governi nazionali con competenze avanzate in gestione del fuoco,
- centri di ricerca e università,
- organizzazioni della società civile e comunità locali.
Questa rete di partner mira a colmare la frammentazione delle iniziative esistenti, offrendo linee guida globali e assistenza tecnica ai Paesi che affrontano incendi ricorrenti e sempre più devastanti.
Affrontare una minaccia in rapida evoluzione
Negli ultimi anni la frequenza e l’intensità degli incendi forestali sono cresciute in modo esponenziale, con impatti che vanno ben oltre la perdita di alberi. Gli incendi:
- rilasciano enormi quantità di CO₂,
- distruggono habitat e biodiversità,
- degradano la qualità dell’aria su scala transfrontaliera,
- colpiscono le economie locali,
- generano rischi sanitari acuti,
- compromettono la capacità delle foreste di svolgere funzioni ecosistemiche essenziali.
Il Hub nasce proprio per affrontare questa crisi multidimensionale, riconoscendo che gli incendi non sono più eventi eccezionali, ma un fenomeno strutturale legato anche alle dinamiche climatiche e sociali.
Sostegno ai paesi più vulnerabili e alle comunità in prima linea
Una componente centrale dell’iniziativa riguarda il supporto ai Paesi che dispongono di meno risorse tecniche ed economiche. Il Hub offrirà:
- formazione avanzata per squadre antincendio,
- strumenti di early warning e accesso ai dati satellitari,
- supporto allo sviluppo di politiche di gestione integrata del territorio,
- meccanismi finanziari su misura per aree ad alto rischio,
- partecipazione attiva delle comunità locali, inclusi i popoli indigeni, le cui conoscenze tradizionali sulla gestione del fuoco sono riconosciute come un contributo fondamentale.
Verso un sistema globale di gestione del fuoco più equo ed efficace
L’istituzione del Global Fire Management Hub rappresenta un passo essenziale verso un modello internazionale capace di prevenire e mitigare gli impatti degli incendi in modo coordinato, scientificamente fondato e socialmente equo.
In un mondo in cui gli incendi diventano sempre più vasti, imprevedibili e devastanti, il Hub offre una visione integrata che unisce governance, tecnologia, finanziamenti e conoscenze locali per aumentare la resilienza delle foreste e delle comunità.
Earth Investment Engine: superato l’obiettivo iniziale, mobilitati oltre 10 miliardi di dollari
Alla COP30 è stato annunciato il superamento del target di capitale mobilitato attraverso l’Earth Investment Engine (EIE), il meccanismo finanziario progettato per accelerare investimenti privati e pubblico-privati in soluzioni basate sulla natura, adattamento climatico e rigenerazione degli ecosistemi. Lanciato con un obiettivo iniziale di raccolta significativamente inferiore, l’EIE è riuscito a superare ogni previsione, arrivando a oltre 10 miliardi di dollari messi in campo da fondi sovrani, investitori istituzionali, filantropie e banche multilaterali.
L’EIE si distingue per il suo modello operativo innovativo, che combina riduzione del rischio, strumenti blended-finance e pipeline di progetti verificati ad alta integrità ambientale e sociale. Questo approccio ha permesso di attrarre capitali in settori tradizionalmente considerati “difficili” dal mercato, come la conservazione delle foreste, la gestione del territorio e la transizione agroecologica.
Il superamento del target conferma la crescente maturità dei mercati legati alla natura e la disponibilità degli investitori a sostenere progetti con impatti climatici misurabili, purché accompagnati da solidi meccanismi di trasparenza e accountability.
Un motore di investimento per le economie del futuro
Grazie al volume di risorse mobilitate, l’EIE sta contribuendo a creare un portafoglio globale di progetti replicabili, che va dal ripristino degli ecosistemi degradati alla gestione sostenibile delle risorse idriche, fino all’espansione di modelli produttivi resilienti nelle regioni più vulnerabili. La sua funzione non è solo finanziaria: l’EIE si propone come piattaforma di standardizzazione, offrendo linee guida su metriche, valutazioni del rischio e misurazione degli impatti, fondamentali per scalare gli investimenti climatici e naturali su scala globale.
Agricoltura rigenerativa: 9 miliardi per ripristino, produttività e sicurezza alimentare
Parallelamente, la COP30 ha segnato un importante passo avanti nel settore della agricoltura rigenerativa, con l’annuncio di 9 miliardi di dollari destinati a sostenere pratiche agricole che ripristinano la salute dei suoli, aumentano la produttività e migliorano la resilienza climatica.
Questi finanziamenti rappresentano uno dei più grandi impegni mai registrati per trasformare i sistemi agroalimentari in chiave sostenibile, e mirano a supportare una transizione agricola che non si limita a ridurre i danni ambientali, ma rigenera attivamente gli ecosistemi rurali.
Dalle pratiche sostenibili alla trasformazione sistemica
I 9 miliardi saranno indirizzati verso:
- ripristino dei suoli degradati, anche attraverso rotazioni colturali avanzate, agroforestazione e tecniche di sequestro del carbonio;
- incremento della produttività agricola, con particolare attenzione ai piccoli agricoltori e alle economie rurali emergenti;
- tecnologie per l’agricoltura di precisione, che riducono l’uso di acqua, fertilizzanti e pesticidi;
- espansione delle catene del valore rigenerative, garantendo accesso ai mercati, prezzi equi e certificazioni basate su impatti reali;
- creazione di sistemi agroalimentari resilienti, capaci di resistere a shock climatici come siccità, ondate di calore e alluvioni.
L’obiettivo è costruire un nuovo modello produttivo capace di coniugare sicurezza alimentare, stabilità economica e riduzione delle emissioni, contribuendo in modo significativo agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e agli impegni dell’Accordo di Parigi.
Un cambio di paradigma per il futuro del cibo
La spinta verso l’agricoltura rigenerativa rappresenta uno dei pilastri della trasformazione ecologica globale: non più solo adattamento, ma ricostruzione della fertilità dei sistemi agricoli e valorizzazione delle conoscenze tradizionali integrate con innovazioni tecnologiche.
I 9 miliardi annunciati permetteranno di scalare progetti già sperimentati con successo in America Latina, Africa e Asia, contribuendo a creare sistemi alimentari più equi, produttivi e resilienti alle crisi climatiche.
Methane Pledge: i prossimi cinque anni saranno decisivi per ridurre le emissioni globali
Alla COP30, la pubblicazione del Global Methane Status Report 2025 ha messo in evidenza un punto chiave: la traiettoria delle emissioni di metano nei prossimi cinque anni determinerà in larga parte la possibilità di mantenere l’obiettivo di 1,5°C alla portata. Sebbene negli ultimi anni siano stati introdotti nuovi regolamenti, politiche mirate e protocolli industriali che iniziano a ridurre le emissioni previste, il divario tra gli attuali sforzi e la traiettoria necessaria resta significativo.
Il Global Methane Pledge, sottoscritto da oltre 150 Paesi, ha già contribuito a trasformare obiettivi generici in primi risultati misurabili. Tuttavia, il report sottolinea che il potenziale tecnico per la riduzione del metano è ampiamente disponibile e in larga parte economicamente vantaggioso: gran parte delle tecnologie per la mitigazione—dalla cattura nelle filiere energetiche alla gestione avanzata dei rifiuti organici, fino all’innovazione agricola—è già operativa e applicabile su larga scala.
Nonostante ciò, per trasformare il Pledge in un’azione sistemica occorrono migliori standard di monitoraggio, investimenti più consistenti e un incremento del supporto ai Paesi con economie emergenti. Governi e ministri intervenuti nella sessione dedicata hanno ribadito che intervenire sul metano rappresenta “il modo più rapido e ad alto impatto” per raffreddare la curva climatica nel breve periodo, oltre a generare benefici immediati per la salute pubblica e la qualità dell’aria.
In questo contesto, il quinquennio 2025–2030 viene definito come una finestra critica: se le misure già disponibili verranno implementate in modo completo e coordinato, il mondo potrebbe raggiungere la più significativa riduzione di metano della storia. Diversamente, l’inerzia procedurale rischierebbe di compromettere la portata dell’intero Pledge e di compromettere gli scenari climatici futuri.
Ruolo dei giovani e delle popolazioni indigene: protagonisti della governance climatica
L’ottava giornata di COP30 ha confermato la crescente centralità dei giovani e delle popolazioni indigene all’interno dell’architettura decisionale del clima. Le loro prospettive non sono più considerate contributi esterni, ma componenti strutturali della governance climatica internazionale.
La voce dei giovani: partecipazione e orientamento alle soluzioni
Nel Padiglione Bambini e Giovani, la Youth Climate Champion Marcele Oliveira ha guidato una sessione partecipata che ha raccolto testimonianze da giovani di diversi continenti. La discussione si è concentrata sugli impatti diretti della crisi climatica sulle nuove generazioni e su come i giovani desiderino contribuire alla definizione di politiche più ambiziose.
L’evento si è concluso con la presentazione di un manifesto curato da giovani indigeni, in cui si reclamano acqua pulita, fiumi liberi da petrolio e un nuovo rispetto per tutte le forme di vita.
Nel Blue Zone, un dialogo intergenerazionale ad alto livello ha messo a confronto bambini, leader globali e figure di riferimento della diplomazia climatica. L’incontro ha fatto emergere la necessità di politiche pubbliche che integrino la tutela dei diritti dei minori e che riconoscano l’impatto sproporzionato della crisi climatica sulle comunità più giovani.
Leadership indigena: conoscenze tradizionali e adattamento comunitario
Nel Padiglione Indigeno, i membri del Comitato Indigeno per il Cambiamento Climatico (CIMC) del Brasile hanno illustrato come le comunità stanno sviluppando piani di adattamento autonomi, calibrati sulle peculiarità dei territori e radicati in sistemi di conoscenza ancestrale.
Interventi da parte di leader come Jânio Avalo, Suhyasun Pataxó, Sineia do Vale e Cristiane Julião hanno messo in evidenza l’ampiezza delle esperienze già in corso: dalla gestione comunitaria delle risorse idriche ai modelli territoriali di monitoraggio climatico, fino alle iniziative di adattamento regionale come quelle sperimentate nello stato di Roraima.
La discussione, moderata dalla ricercatrice Martha Fellows, ha mostrato come le comunità indigene siano non solo custodi di ecosistemi critici, ma anche motori di innovazione sociale, essenziali per costruire risposte capaci di conciliare diversità culturale, resilienza ecologica e prevenzione dei rischi climatici.
Le parole del Papa: “Ignorare i vulnerabili è negare la nostra umanità”
Nel corso dell’ottava giornata di COP30, ha risuonato con forza il messaggio di Papa Leone XIV, rivolto ai vescovi e ai cardinali del Sud Globale presenti a Belém. Le sue parole hanno riportato al centro del dibattito climatico una dimensione spesso trascurata nei negoziati tecnici: quella etica e umanitaria. Il Pontefice ha ricordato che “una persona su tre vive in condizioni di grande vulnerabilità a causa dei cambiamenti climatici”, sottolineando come per milioni di persone la crisi climatica non sia una minaccia remota, ma una realtà quotidiana che compromette la sopravvivenza, la dignità e i diritti fondamentali.
L’appello del Papa è stato un invito diretto ai leader mondiali: non si può costruire un futuro climatico giusto ignorando coloro che già oggi pagano il prezzo più alto delle catastrofi ambientali — comunità costiere, popolazioni indigene, contadini, bambini, migranti climatici, donne in regioni segnate da siccità e insicurezza alimentare. “Ignorare questi popoli”, ha ammonito Papa Leone XIV, “significa negare la nostra umanità condivisa”.
Il suo intervento ha posto l’accento sulla responsabilità morale dei decisori politici, invitandoli a vedere nella cura della “casa comune” non solo un obbligo tecnico o finanziario, ma un dovere spirituale e civile, fondato sulla giustizia sociale e sulla solidarietà intergenerazionale. Il Papa ha ribadito che chi detiene il potere di decidere deve farlo con coraggio e lungimiranza, ricordando che la crisi climatica è un banco di prova per la comunità internazionale: o la si affronta insieme, o si rischia di approfondire fratture e disuguaglianze già insopportabili.
Il messaggio si è inserito così nella cornice più ampia della COP30, richiamando i delegati a un approccio che unisca scienza, politica e compassione, ponendo al centro le persone più vulnerabili e il valore sacro della vita in tutte le sue forme.
Cosa aspettarsi nella Giornata 9 della COP30
Le tematiche continueranno a concentrarsi su natura, oceani, popolazioni indigene e giovani, con appuntamenti chiave come:
- High-Level Ministerial Event sugli impegni oceanici,
- Global Ethical Stocktake,
- Lanciatore della NAP Implementation Alliance,
- Sessione sugli ecosistemi per PMI e imprenditori locali.














































