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Guazzoni, Vibram: sostenibilità come percorso di innovazione e trasformazione continua



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Innovare costantemente sul piano ambientale e sociale nel rispetto dell’identità e dei valori aziendali. Solo in questo modo si creano le condizioni per una trasformazione che genera realmente valore per tutti gli stakeholder, all’interno e all’esterno dell’azienda. Il confronto con Marco Guazzoni, sustainability director di Vibram

Pubblicato il 15 mar 2024

Mauro Bellini

Direttore Responsabile ESG360.it e Agrifood.Tech



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Marco Guazzoni, Sustainability Director VIBRAM

Per gli appassionati di alpinismo ed escursionismo la scelta delle suole in gomma Vibram ha come presupposto la qualità e le performance. Le imprese più attente alla sicurezza per i dipendenti esposti a situazioni estreme, il grip e l’affidabilità di scarpe con fondo Vibram sono una garanzia irrinunciabile. Ecco, per Marco Guazzoni, Sustainability Director della società lombarda, questa è una delle angolature chiave con cui guardare ai temi della sostenibilità, che deve essere sì un percorso di innovazione continua, di ricerca e di sperimentazione, ma senza scendere a compromessi con i valori che identificano l’azienda. In questo caso specifico l’aderenza, la stabilità, la sicurezza e la durabilità di suole che hanno contribuito a fare la storia dell’alpinismo.

Con questa premessa, che definisce già in modo molto concreto la strategia di Vibram, come sta evolvendo il ruolo del sustainability manager in azienda?

Possiamo dire, innanzitutto, che siamo passati da una fase in cui era necessario aiutare i colleghi a comprendere i temi della sostenibilità a una fase in cui si lavora per declinare concretamente e operativamente questi temi in tutti gli ambiti aziendali.

Va poi aggiunto che si sta vivendo una fase di attenzione più matura basata su un concetto di sostenibilità che, a mio avviso, non si deve più riferire ai consumatori bensì ai cittadini. Questo è un passaggio importante perché permette di rappresentare gli impatti di un prodotto, di una azienda non solo verso coloro che acquistano e utilizzano i prodotti, ma verso la collettività.

Ci muoviamo verso una maggiore chiarezza?

Sì, con qualche difficoltà ma la direzione è quella. Pensiamo che fino all’anno scorso la sostenibilità ha vissuto molto sui claim delle aziende e sembrava che tutte le aziende fossero sostenibili, perché ognuno la raccontava a modo suo ed era oggettivamente difficile paragonare esperienze e risultati. Questa è adesso la sfida da affrontare: raccontare e rendicontare in modo concreto, affidabile e possibilmente paragonabile tra prodotti e aziende, la sostenibilità tenendo in considerazione il contesto specifico in cui opera ciascuna azienda.

Prendiamo Vibram come esempio

Noi operiamo principalmente con gomma sintetica, vale a dire materiali derivati dal petrolio. La gomma naturale non è in grado di garantire le stesse performance per tutte le applicazioni in termini di grip e di affidabilità. Se scegliessimo di adottare questi materiali, chi affronta una salita in montagna o effettua un intervento di lavoro in condizioni di pericolo non avrebbe lo stesso livello di protezione e affidabilità e dunque verrebbe meno il valore primario del nostro prodotto.

La nostra strategia prevede di integrare la sostenibilità nei processi aziendali, nella ricerca, nell’innovazione ma senza accettare nessun compromesso a livello di qualità dei prodotti e di profittabilità di lungo periodo dell’azienda. Se si accettano compromessi il rischio è quello di vedere aziende che investono in sostenibilità solamente nel momento in cui gli fa comodo, per il marketing o per la finanza. Al contrario, la sostenibilità deve essere un miglioramento continuo, una ricerca di efficienza, una innovazione che riduce ogni forma di spreco, migliorando anche la profittabilità, e che va alla ricerca di performance e di risultati.

Soffermiamoci proprio sul tema della gestione delle risorse e della ricerca. Qual è il ruolo del sustainability manager?

Quello della gestione delle risorse è un esempio di come il sustainability management può agire direttamente sul business: la ricerca di ogni forma di riduzione degli sprechi presenta degli evidenti benefici sul conto economico oltre che sui fattori di sostenibilità. Per noi il contrasto al waste riguarda i consumi energetici, la riduzione degli scarti di produzione e, dove sono fisiologici con le tecnologie di oggi, lavoriamo sulla circolarità con partner esterni, destinando i rifiuti a riutilizzo e riciclo per limitare a pochi punti percentuali scarti in discarica.

C’è poi il lavoro con i fornitori e i partner?

Che è fondamentale. Tutta la filiera si deve muovere nella stessa direzione altrimenti i risultati sono limitati. La sostenibilità è un lavoro di squadra dove tutti devono fare la propria parte perché, per essere chiari, la sostenibilità di Vibram si costruisce anche con tutti i nostri fornitori. Ma sempre nel rispetto di un percorso che tenga conto delle condizioni in cui opera ciascuna realtà.

Quanto è cambiata in questi anni la consapevolezza che è necessario fare sistema?

Tante cose sono cambiate dal punto di vista di alcune funzioni aziendali, ma non di tutte. In diverse realtà è ancora molto forte la mentalità che tende a non condividere informazioni. La sostenibilità è anche e soprattutto condivisione di dati ed esperienze su prodotti e processi e dunque serve stabilire un rapporto di fiducia. Se non si supera la logica del “vecchio” rapporto cliente-fornitore basata primariamente sul prezzo, il rischio è quello di non riconoscere correttamente il valore della sostenibilità che è fatta appunto di condivisione e cooperazione.

Qual è la strada da seguire?

A mio avviso, aziendalmente è quella di riconoscere il valore di ogni anello della catena in modo trasparente e dal punto di vista del legislatore, di fare in modo che questi modelli possano essere premiati cercando di favorire una transizione verso modelli sostenibili senza strappi o forzature.

Il rischio che vedo oggi è di una frammentazione normativa con realtà, solo per fare un esempio, come quella della normativa approvata in California che proibisce la commercializzazione di prodotti che contengono PFAS (perfluorinated alkylated substances), giusta in linea di principio, ma forse applicata in modo poco realista, che blocca questo mercato a diversi produttori.

Rispetto al tema della collaborazione, occorre considerare che sino a qualche tempo fa il miglioramento sui processi si misurava in produttività, efficienza e profitto. Nel momento in cui gli obiettivi sono anche quelli della sostenibilità, bisogna ragionare a livello di Green procurement e non si può pensare di definire degli standard e di imporli ai fornitori.

Se così fosse una parte di aziende rischierebbe di essere esclusa anche se producono prodotti e servizi validissimi. Qui entra in gioco la dimensione del coinvolgimento e della trasformazione dell’intera catena del valore, che presuppone di convincere, formare, condividere. Ritorniamo al concetto di sostenibilità come partnership, dove la metrica non può più essere il prezzo migliore.

Cosa cambia con la EPR?

Tanto, tantissimo. Nel momento in cui entra in gioco il tema della Responsabilità estesa del produttore, si pongono tutte le tematiche legate al rapporto con le imprese che portano i prodotti sul mercato e con quelle che si occupano del recupero e del riciclo. Siamo all’inizio di un viaggio che durerà tanti anni e che cambierà le modalità di partnership e collaborazione.

È una evoluzione anche culturale per molte aziende?

Certamente e riguarda anche le forme di attenzione ai temi ESG. Mi spiego: tipicamente tutti hanno prestato una speciale attenzione alla “E” di Environmental, ma come Vibram abbiamo scelto di lavorare molto anche sulla “S” di Social, solo come esempio abbiamo scelto di spingere in modo concreto sulla policy della Diversity & Inclusion, considerando che il concetto di diversity non è tanto quello di accettare il diverso, ma di includerla nei processi creativi, di considerare che la diversità è un punto di vista che arricchisce, che porta una nuova esperienza innovando anche il pensiero di chi, esperto di un settore è, a volte, condizionato dal ‘si è sempre fatto così’.

Dove vedi oggi i risultati più importanti?

In questa fase i maggiori risultati ritengo che si possano ottenere cambiando e migliorando i processi piuttosto che i prodotti, dove i temi dell’innovazione sono più lunghi. Cambiare il prodotto significa innovare i materiali, significa sperimentare e testare e conquistare un nuovo spazio nelle scelte d’acquisto dei clienti. Innovare i processi è meno visibile all’esterno, ma significa anche misurare con grande precisione tutti i passaggi affinché il risultato che si ottiene porti effettivamente a un bilancio positivo in termini di sostenibilità.

Quali strade state percorrendo?

Anche qui ritengo sia importante sottolineare il ruolo della collaborazione e rispondo con un esempio, ovvero con l’impegno di tante aziende nel Monitor for Circular Fashion, un progetto multi-stakeholder che vede la partecipazione di aziende di riferimento del settore moda insieme a tanti attori della filiera, e che conta sul contributo scientifico del Sustainability Lab della SDA Bocconi.

Parliamo di una operazione che consente di identificare KPI su misura per le aziende del settore moda, che permettono di valutare i loro progressi in termini di sostenibilità, circolarità, tracciabilità e della trasparenza della catena del valore. Con questo impegno, vogliamo contribuire a promuovere la circolarità nelle aziende della moda e alla transizione verso modelli di business circolari, grazie all’attenzione che ci da la Comunità Europea e le Nazioni Unite (UNECE), nell’ascoltare la ‘voce degli esperti’ per formulare leggi che spingano tutti nella direzione giusta, ma senza penalizzare un settore che per l’Italia conta il 12% del PIL.

Da dove arriverà il cambiamento?

Sono le aziende che possono fare veramente la differenza. Le Istituzioni sono molto importanti per agevolare questo miglioramento, ma sono le aziende che inquinano e sono le aziende che quando mettono a posto un sistema lo innovano anche dal punto di vista economico, dal punto di vista ambientale e dal punto di vista sociale.

Veniamo al tema dell’innovazione tecnologica?

Questo è l’altro tema cruciale. Ritengo però che dobbiamo vedere l’innovazione sotto ogni punto di osservazione: per i prodotti, per i processi ma anche per indirizzare e stimolare una innovazione nei comportamenti. La parola chiave in questo caso si chiama LCA o Life Cycle Assessment dove noi abbiamo investito molto negli ultimi 6 anni, per controllare e misurare il ciclo di vita del 60% dei nostri prodotti a livello globale, con l’obiettivo di arrivare all’80%. Un approccio che ci permette di identificare in modo preciso fattori e punti di miglioramento. Sono convinto che con l’Intelligenza Artificiale potremmo combinare dei risultati in maniera diversa da quello che facciamo oggi, anche a livello di produzione e di processi produttivi.

In conclusione, sulla base della tua esperienza, a che punto siamo in termini di integrazione tra sostenibilità e business?

Abbiamo superato per fortuna la visione di una sostenibilità come volontariato, che aveva tanti aspetti positivi e che ha spinto tante realtà a prendersi cura dell’ambiente, delle persone e dell’etica del business. Ora siamo in una fase in cui questi valori si possono e si devono misurare per poterli poi raccontare e mostrare con la massima affidabilità e per fare in modo che una azienda e dei prodotti possano essere scelti anche per i valori che rappresenta e la fiducia che si crea verso questo impegno.

Questa intervista prosegue il confronto con Marco Guazzoni sui temi del sustainability management e dell’innovazione avviato con questo servizio: Guazzoni, Vibram: sostenibilità “ingrediente” fondamentale di prodotti e processi di produzione


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