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Sostenibilità della supply chain: l’impegno delle aziende vacilla, ma gli investitori non demordono

Sulla base di più di 2.300 professionisti intervistati in tutto il mondo, il rapporto “State of Supply Chain Sustainability 2023” del MIT Center for Transportation & Logistics e del Council of Supply Chain Management Professionals approfondisce le complesse dinamiche legate alla sostenibilità della catena di fornitura, rivelando progressi e battute d’arresto nel percorso verso il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nette di carbonio

Aggiornato il 27 Mar 2024

Fonte: State of Supply Chain Sustainability Report 2023, MIT Center for Transportation & Logistics and Council of Supply Chain Management Professionals

Mentre molte aziende hanno ridotto significativamente i loro sforzi verso la sostenibilità della catena di fornitura a causa delle previsioni economiche pessimistiche, investitori e acquirenti continuano a richiedere azioni concrete. Il quarto rapporto “State of Supply Chain Sustainability 2023” condotto dal MIT Center for Transportation & Logistics e dal Council of Supply Chain Management Professionals dipinge un quadro preoccupante dell’impegno globale verso la sostenibilità della catena di fornitura che definiscono come “la gestione degli impatti ambientali e sociali all’interno e attraverso le reti costituite da fornitori, produttori, distributori e clienti“.

Solo il 35% delle aziende si è posta obiettivi Net-Zero

Un tema che presuppone la valutazione e la gestione dei rischi in chiave di risk management, che rientra da tempo nelle logiche dei rischi ESG e che con la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) diventa a tutti gli effetti un adempimento per le aziende europee che dovranno imparare a gestire responsabilmente le operations lungo tutta la catena di approvvigionamento. Purtroppo, degli oltre 2.300 professionisti della supply chain intervistati in tutto il mondo, circa il 65% ha dichiarato che le loro aziende non hanno attualmente un obiettivo di zero emissioni nette di carbonio e solo il 6% ha segnalato un aumento anno su anno dell’impegno indirizzato alla mitigazione del cambiamento climatico.

Un dato che fa riflettere è quello che vede solo il 35% degli intervistati dichiarare che la propria azienda si è posta obiettivi Net-Zero. E anche tra coloro che si sono posti tali obiettivi, molti sembrano impreparati a rispettare le scadenze. Nello specifico, quasi la metà degli intervistati che si sono impegnati a raggiungere obiettivi Net-Zero hanno ammesso che le loro organizzazioni non sono pronte ad avviare la misurazione o la riduzione delle emissioni Scope 3 – uno dei tre ambiti di emissione di gas serra definiti dal GHG Protocol Greenhouse Gas Protocol che include tutte le emissioni indirette che si verificano lungo la catena del valore di una organizzazione – per un periodo di cinque anni o più. Allo stesso tempo, circa la metà degli intervistati ha dichiarato che le proprie aziende hanno stabilito una scadenza per l’azzeramento delle emissioni nette, e puntano a raggiungere questo traguardo entro il 2040 o anche prima.

Zero emissioni nette: un obiettivo dei paesi più ricchi

Peraltro, l’impegno globale per l’obiettivo Net-Zero è lungi dall’essere uniforme, rivelando un netto contrasto tra le regioni più ricche e quelle meno ricche. Non sorprende che le aziende che mirano all’azzeramento delle emissioni nette di carbonio siano prevalentemente concentrate nelle nazioni più ricche. Europa e Stati Uniti guidano la classifica, con rispettivamente il 53% e il 44% delle aziende che adottano obiettivi di zero emissioni. Al contrario, l’Asia mostra un tasso di adozione del 36% e l’America Latina resta indietro al 22%.

Una sconcertante disparità che solleva non poche preoccupazione, considerando che si tratta di un obiettivo che implica una aspirazione globale verso l’adattamento e la mitigazione della crisi climatica, mentre l’applicazione pratica appare marcatamente limitata e localizzata principalmente nei paesi economicamente prosperi.

La natura delle crisi plasma l’entità degli sforzi verso la sostenibilità della supply chain

Una delle principali rivelazioni emerse dal rapporto riguarda l’impatto difforme delle crisi sull’impegno delle organizzazioni per la sostenibilità della catena di fornitura. Se sembra infatti possedere una certa resilienza di fronte a specifiche disruption, dimostra vulnerabilità verso altre perturbazioni.

È interessante notare come sconvolgimenti significativi come le interruzioni causate dalla pandemia di COVID-19 e dall’invasione russa dell’Ucraina, sebbene intrinsecamente destabilizzanti, abbiano paradossalmente contribuito a un aumento sostanziale degli sforzi delle organizzazioni verso la sostenibilità. Nello specifico, questi eventi hanno portato ad un incremento rispettivamente del 79% e del 61%. La logica di fondo deriva dalla necessità imposta alle aziende di riconfigurare le proprie catene di fornitura. In tal modo, una rinnovata enfasi sulla resilienza e sulla sostenibilità della supply chain è emersa come considerazione fondamentale.

Al contrario, un notevole numero di imprese ha registrato un calo nel proprio impegno per la sostenibilità della catena di fornitura, in concomitanza alle previsioni economiche pessimistiche per il 2023. Secondo quanto riferisce il rapporto, la spiegazione di questa dicotomia di atteggiamento è da ricercare nella distinzione tra un’interruzione della rete (network disruption) e una perturbazione economica (economic disruption).

Nel dettaglio, il report spiega che mentre una situazione di crisi nella rete di approvvigionamento richiede un ripensamento radicale e l’implementazione di nuove strategie per garantire la resilienza e la sostenibilità della catena di fornitura, una perturbazione economica suggerisce la necessità di una rete più snella ed efficiente dal punto di vista dei costi. In un periodo di previste sfide economiche, il focus a lungo termine tende a sfumare dall’attenzione dei pianificatori della catena di fornitura, poiché le priorità si spostano verso soluzioni più immediate e orientate alla riduzione dei costi nell’immediato.

Pressioni e pratiche che guidano la sostenibilità della supply chain

Il report evidenzia inoltre le molteplici pressioni che spingono le aziende a dare priorità alla sostenibilità della catena di fornitura. Gli investitori emergono come la forza primaria, spingendo le aziende a migliorare i propri sforzi di sostenibilità con un occhio ai rating ESG. Tuttavia, anche i governi, gli organismi internazionali, gli acquirenti e i dirigenti aziendali, i consumatori finali e i dipendenti esercitano un’influenza significativa.

Alla domanda su quali pratiche hanno messo in atto per gestire la sostenibilità della catena di approvvigionamento, i codici di condotta dei fornitori e gli audit dei fornitori sono in cima alla lista, rispettivamente con l’80% e il 43% degli intervistati che li utilizzano. Meno popolari sono invece le soluzioni di visibilità e le tecnologie di bonifica ambientale.

Articolo originariamente pubblicato il 08 Gen 2024

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