Framework normativo

Sostenibilità: le normative nazionali e unionali sulla rendicontazione non finanziaria

I temi e gli adempimenti legati alla sustainability non rappresentano solo un obbligo di legge (laddove previsto), ma dovrà essere oggetto di investimenti per le imprese che decideranno di dimostrate il loro impegno ad un mercato sempre più attento alle dinamiche della sostenibilità. Quest’ultima, infatti, non è più solo un trend circoscritto al settore ambientale, ma viene sempre più percepito come atto di responsabilità sociale delle imprese verso le popolazioni di tutto il mondo

Pubblicato il 05 Feb 2021

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La normativa in materia di sostenibilità è sempre più ricca e articolata e il Legislatore, sia nazionale che europeo, riconosce il ruolo strategico svolto dalle imprese in questo contesto. Le società hanno (in alcuni casi) l’obbligo, ma anche l’opportunità, di condividere le proprie informazioni di carattere non finanziario secondo standard attendibili e riconosciuti, in grado di fornire una visione trasparente e veritiera dell’impatto sociale del proprio business

L’evoluzione normativa sui temi della sostenibilità sino all’obbligo della Dichiarazione non finanziaria (DNF)

Andrea Reghelin, Associate Partner di P4I-Partners4Innovation

Nel 1987 la World Commission on Environment and Development (WCED) pubblicò il rapporto “Our Common Future”  adottando una definizione di sviluppo sostenibile che oggi risulta universalmente riconosciuta: lo sviluppo sostenibile è quello “sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Circa trent’anni dopo, nel 2015, le Nazioni Unite hanno sottoscritto l’“Agenda 2030” con cui sono stati identificati i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, sottoscritti da 193 Stati. Questi passaggi sono la testimonianza di un impegno politico condiviso che ha generato una escalation di iniziative, anche legislative, volte a concentrare l’attenzione delle persone, fisiche e giuridiche, sulla sostenibilità.

L’attenzione al tema della sostenibilità si è registrata anche in sede unionale, con particolare attenzione al contributo strategico fornito dalle imprese alla collettività. Dapprima, con la Direttiva 2003/51/CE, si è inteso promuovere una maggiore attenzione per le informazioni di carattere non finanziario, al fine di far comprendere appieno l’andamento di una società.  Successivamente, con la Direttiva 2013/34/UE, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno riconosciuto l’importanza degli aspetti non solo economici, ma anche sociali ed ambientali, per individuare l’impatto degli enti sulla società. Infine, la Direttiva 2014/95/UE ha avuto il pregio di guidare ad una maggiore uniformità e comparabilità delle informazioni di carattere non finanziario, prevedendo per taluni enti l’obbligo di predisporre un bilancio di sostenibilità (DNF o dichiarazione di carattere non finanziario) “contenente almeno le informazioni sociali e ambientali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva”.

È opportuno evidenziare una costante integrazione della normativa sulla dichiarazione di carattere non finanziario, sempre più orientata a disciplinare aspetti specifici; basti pensare, ad esempio, al Regolamento (UE) 2020/852 che prevede l’inclusione nella DNF di tutte le informazioni utili ad individuare le attività dell’impresa associate ad iniziative economiche considerate ecosostenibili.

La DNF nella Legislazione italiana e gli standard di rendicontazione

Priscilla Scicolone, Legal Consultant di P4I-Partners4Innovation

Con il D.Lgs. 254/2016 il Legislatore italiano ha recepito la Direttiva 2014/95/UE e ha previsto per taluni enti l’obbligo di redazione, almeno annuale, di una Dichiarazione di carattere non finanziario. Questa informativa ha lo scopo di integrare i dati economici di bilancio con le informazioni sociali e ambientali, offrendo agli stakeholder la possibilità di affrontare scelte maggiormente consapevoli, attraverso una rappresentazione complessiva dell’andamento degli enti e dei relativi impatti sociali.

In particolare, il suddetto Decreto prevede l’obbligo per gli enti di interesse pubblico (quali, ad esempio, banche, imprese di assicurazione, società emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e dell’Unione europea) con un numero di dipendenti superiore a 500 e uno stato patrimoniale superiore a € 20.000.000 o, in alternativa, un totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore a € 40.000.000 di euro, di redigere la dichiarazione non finanziaria. I soggetti giuridici diversi da quelli tenuti obbligatoriamente a redigere la DNF possono decidere di stilarla su base volontaria: in tal caso non cambia il contenuto delle informazioni e la modalità di rappresentazione, che dovrà comunque seguire i principali standard di rendicontazione (o una metodologia di rendicontazione autonoma).

Nel formulare le informazioni richieste dalla DNF, le imprese possono basarsi su standard nazionali, unionali o internazionali (cfr. Considerando 9, Direttiva 2014/95/UE), come, ad esempio, il Patto mondiale delle Nazioni Unite (Global Compact), i principi guida sulle imprese e i diritti umani delle Nazioni Unite (Guiding Principles on Business and Human Rights), gli standard formulati dalla Global Reporting Initiative  un’organizzazione che ha l’obiettivo di fornire uno strumento utile alle imprese per misurare il loro impatto sulla società e per comunicarlo agli stakeholder, o altri standard internazionali riconosciuti.

I GRI Standard, in particolare, sono annoverabili tra gli indicatori di performance maggiormente utilizzati nella rendicontazione non finanziaria e sono suddivisi in quattro serie: la serie 100 comprende tre standard universali, le successive comprendono numerosi standard specifici. Nel dettaglio: la serie 200 è correlata ai temi economici, la serie 300 è utilizzata per rendicontare informazioni ambientali e la serie 400 fa riferimento ai temi sociali. Gli standard comprendono requisiti, raccomandazioni e linee guida: i requisiti rappresentano informazioni obbligatorie per poter affermare che un report è redatto in conformità ai GRI, le raccomandazioni costituiscono dei suggerimenti sulle possibili linee di condotta e, infine, le linee guida contengono delle esemplificazioni formulate per supportare la rendicontazione.

Conclusioni: la sostenibilità non rappresenta solo un obbligo di legge, ma è un atto di responsabilità sociale

Quanto detto conferma l’impegno degli organi politici, siano essi nazionali o sovranazionali, al perseguimento degli obiettivi di sostenibilità nel lungo periodo. In questo contesto, si è inteso rimarcare il ruolo strategico svolto dalle imprese, a cui è affidato il compito (e l’opportunità) di misurare il loro impatto sociale secondo standard riconosciuti, a prescindere dalla loro dimensione o dalla loro localizzazione geografica.  Il messaggio che può essere utile promuovere con iniziative concrete è che la sostenibilità non rappresenta solo un obbligo di legge (laddove previsto), ma dovrà essere oggetto di investimenti per le imprese che decideranno di dimostrate il loro impegno ad un mercato sempre più attento alle dinamiche della sostenibilità. Quest’ultima, infatti, non è più solo un trend circoscritto al settore ambientale, ma viene sempre più percepito come atto di responsabilità sociale delle imprese verso le popolazioni di tutto il mondo.

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