Analisi

SDGs in azienda, standard ESG, food e industrial transformation: il 2022 nel segno di una competitività sostenibile

Se la sostenibilità è un valore deve essere riconosciuto come tale e deve entrare nel bilancio delle imprese, delle organizzazioni e deve incidere sui comportamenti quotidiani. La crescita dell’ESG si giocherà sempre di più sulla capacità di mettere in relazione in modo più comprensibile e soprattutto – misurabile – tutti gli asset intangibili che stanno alla base della sostenibilità con la creazione di valore delle imprese

Pubblicato il 13 Gen 2022

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Grazie per la visione delle prospettive che ci hai dato, la sostenibilità è davvero molto interessante, ma qui abbiamo un lavoro vero da fareMa da quest’anno (2021)… mi tirano costantemente per la giacca…”. “Dovevo fare l’anticamera davanti a porte che si aprivano a fatica, adesso sono in tanti a bussare alla mia…” Sono espressioni che ho sentito ripetere, con formule diverse nel corso del 2021, da figure che, in qualità di sustainability manager o come manager con delega al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità, hanno vissuto una trasformazione e una crescita importante del loro ruolo in azienda.

Se si dovesse giudicare il 2021 sulla base della percezione raccolta da questi professionisti verrebbe da dire che l’anno appena passato è stato l’anno della sostenibilità, ovvero del suo riconoscimento come valore aziendale. In realtà, se si guarda a questo fenomeno nel suo complesso, il 2021 è stato soprattutto l’anno dei dati e della comunicazione sulla sostenibilità. Una cosa ben diversa. In altri termini, quello appena trascorso è l’anno che ha imposto a tutti di affrontare questo tema: in alcuni casi con passione e convinzione grazie a una visione di trasformazione strategica, in altri casi con un approccio pragmatico, come un’evoluzione necessaria da rispettare per assecondare consumatori, mercati finanziari e normative o in altri ancora, come la “moda del momento” da cavalcare per avvicinare i consumatori o almeno la fascia più sensibile a questi temi. Comunque sia la sostenibilità è entrata in azienda e questo è avvenuto soprattutto grazie ai dati. E oggi questi dati arrivano in grande quantità e proiettano un futuro sempre più orientato ad integrare la sostenibilità al core business delle imprese e a garantire ai sustainability manager, che la sostenibilità la devono costruire, quell’importanza che faticavano a trovare e che adesso Sto arrivando!iva insieme a tante nuove responsabilità.

Da una sostenibilità come “compensazione” a una sostenibilità come competitività

Ma è anche lo scenario che è cambiato: la sostenibilità interpretata come  “compensazione” delle emissioni di CO2, con pratiche limitate alla riduzione degli sprechi, alla piantumazione di alberi, alla eliminazione di materiale plastico o non riciclabile, ha aiutato a diffondere una maggiore sensibilità, ma per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che abbiamo davanti, per quanto queste buone pratiche si possano moltiplicare, non sono certamente sufficienti. È evidente che per mantenere l’innalzamento della temperatura al di sotto di 1,5°C come obiettivo prima degli Accordi di Parigi e adesso del Glasgow Climate Pact firmato da 197 paesi al recente COP26, occorre quella trasformazione energetica, industriale, economica e sociale che ha acceso la discussione alla Conferenza delle Parti. E il 2022 non potrà non cercare di avvicinare le posizioni oggi ancora lontane tra paesi che si sono “già sviluppati” (utilizzando le risorse fossili ad alto impatto ambientale) e paesi che adesso sono “in via di sviluppo” e che vivono come un freno i vincoli ambientali sull’utilizzo di questi combustibili. A questi paesi si chiede di fare un doppio salto in avanti, pensando a logiche di sviluppo e di consumo che siano nativamente orientate alla sostenibilità. Obiettivo non facile, ma la forte e aspra contrapposizione dello scorso novembre a COP26 ci ha mostrato che se la strada è in salita, porta con sé anche tante opportunità sulle quali il mondo della finanza ha già deciso di scommettere, guardando in particolare al ruolo determinante dell’innovazione tecnologica e digitale.

I rischi della trasformazione e i rischi della “non-trasformazione”

Secondo OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) la transizione verso una economia sostenibile non può che essere basata sulla sintesi tra standard, innovazione tecnologica, sviluppo di nuovi modelli di business, creazione di competenze adeguate e radicale trasformazione di comportamenti e lifestyle.  Solo con una sintesi tra questi fattori sarà possibile ridurre i costi di un impatto del climate change che sempre l’OECD stima in un valore compreso tra tra l’1% e il 3.3% del GDP globale entro il 2060 (qui il report completo). L’altro messaggio chiave per il 2022 riguarda il fatto che questi sono “rischi di tutti” e che non si possono risolvere questi problemi solo con interventi locali, ma rendendo scalabili le tante soluzioni che stanno arrivando dalla tecnologia e dal digitale. Solo un mix, è la conferma dell’OECD, tra innovazione tecnologica nella produzione e innovazione per il consumo può portare a un equilibrio sostenibile.

E per “fare accadere” queste prospettive potrebbero non mancare le risorse. Alcuni “numeri” e alcune tendenze aiutano a capire quanto siano cresciute le aspettative verso questa trasformazione, considerando anche che per molti attori iniziano ad apparire chiari i rischi di una “non trasformazione” mentre appaiono nello stesso tempo più chiare e definite le opportunità legate allo sviluppo di nuove forme di generazione di valore: di prodotti, servizi, stili di vita che considerano al proprio interno, intrinsecamente, i valori della sostenibilità.

Per le istituzioni e per la finanza la prospettiva è sempre più chiara e la vera domanda per il 2022 attiene ai punti di riferimento per determinare questi valori: gli standard, le metriche, le logiche che permettano di misurare i progetti e i percorsi di sostenibilità.

Gli SDGs devono entrare in azienda

Prendiamo alcuni esempi particolarmente significativi: da UNIDO, United Nation Industrial Deevelopment Organization (e da altre analisi) arriva la conferma che gli SDGs sono entrati (o stanno entrando in azienda). Questa organizzazione ci permette di sottolineare che l’industria è chiamata a svolgere un ruolo speciale a questo riguardo (Report: Industrialization as the driver of sustained prosperity) sia perché il mondo industriale ha un impatto diretto su almeno 7 SDGs e indiretto su altri 4 SDGs, sia perché anche attraverso gli SDG Impact Standard for Enterprises dell’UNDP (United Nation Development Program), quelli che sembravano nobili principi i lontani dal business sono destinati a influenzare in modo sempre più diretto le scelte di sviluppo delle imprese. Possiamo cioè parlare di una correlazione tra SDGs e conto economico.

Ma il motivo per cui UNIDO considera il manifatturiero (associato alle potenzialità dell’innovazione digitale) come un settore speciale e come il driver di una prosperità sostenibile è proprio perché è dall’innovazione dell’industria che arrivano le innovazioni abilitanti che possono sostenere le trasformazioni di cui abbiamo bisogno per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che saranno possibili solo se coinvolgono tutti con una innovazione che deve essere cross-sector e cross-country per superare tutte le sperequazioni. Perché, anche questo è un altro messaggio chiave per il 2022 le diseguaglianze rappresentano anche un freno al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità.

ESG: investire in sostenibilità, ma come si misura il ROI

A chi ha obietta che la trasformazione costa, ecco che si ritorna alla risposta di COP26, ovvero che le risorse non mancano, purché si trasformino in investimenti in grado di garantire un ritorno. Prima di vedere alcuni esempi di come si è messo in moto il sistema della finanza, per sostenere e approfittare di questa nuova generazione di valore, va detto che la “cruna dell’ago” di questo passaggio è negli standard, nella capacità di misurare valori che sono in larghissima misura intangibili, che sfuggono ai criteri convenzionali, ma con i quali ci si deve confrontare.

Non che manchino le metriche, al contrario a oggi sono tante, manca però una convergenza su “unità di misura” condivise. Ma il 2022 promette importanti cambiamenti. Per analizzarli occorre tornare a COP26, in quei giorni è arrivato un annuncio importante che consente di fare un passo in avanti rispetto all’attuale frammentazione a livello di modalità di misurazione e che vede IFRS Foundation promuovere il nuovo ISSB (International Sustainability Standards Board) e il consolidamento con CDSB (Climate Disclosure Standards Board), con VRF (Value Reporting Foundation), con gli ISR (Integrated Reporting Framework) e con gli Standard SASB.

Tanti acronimi “in fila” per dire che siamo più vicini a disporre di un metro di misura univoco per calcolare e controllare le performance di sostenibilità: un passo in avanti sia per le imprese impegnate in rating ESG (in costante crescita), sia per i provider di soluzioni digitali che stanno mettendo a disposizione piattaforme in grado di consolidare, analizzare e rappresentare l’enorme mole di dati che servono per misurare la sostenibilità. E stiamo parlando di gestire nuove fonti di dati e nuovi contenuti, tra loro diversissimi e “sfuggenti” alle logiche tradizionali come dati sull’ambiente, sulla responsabilità sociale, sull’etica nei comportamenti e nella governance. E a questo proposito il 2022 si candida ad essere l’anno degli standard e delle soluzioni per misurare e parametrare l’intangibile e per capire il ruolo della sostenibilità nella definizione del vero valore delle aziende.

Sustainable finance: dal sostegno alla trasformazione alla ricerca di nuove forme di valore

Se sarà più chiaro “come misurare” ci saranno maggiori garanzie per chi intende investire in una trasformazione che crea nuovo valore. La Glasgow financial alliance for net zero (GFANZ) ha pianificato di mettere in campo l’astronomica cifra di più di 100mila miliardi di dollari in tre decenni per favorire la transizione energetica ed economica grazie all’impegno di 450 società finanziarie in 45 diversi Paesi. La “Green Grids Initiative” punta a interconnettere continenti, paesi e comunità alle fonti di energia rinnovabili e con il programma “Breakthrough Energy Catalyst” punta a investire qualcosa come 30 miliardi di dollari per ridurre i costi per l’idrogeno “verde”, per la cattura diretta di CO2 e per l’accumulo di energia a lungo termine. L’IFC (International Finance Corporation) della World Bank indirizza qualcosa come 8 miliardi di dollari del Climate Investment Funds per progetti di trasformazione e di climate change adaptation. Potrebbe non essere un problema di risorse e a proposito di adattamento ai cambiamenti climatici, si può ben dire che nel 2022 questa missione esce dal limbo: non è più un compromesso tra trasformazione e “non trasformazione”, ma assume tutti i connotati di un obiettivo ben chiaro, (a sua volta definito nel Glasgow Climate Pact) in cui il ruolo dell’industria appare ancora più rilevante per la necessità di ricercare soluzioni anche di brevissimo periodo in grado di ridurre i fattori di rischio. E in questo caso entriamo in un contesto che si qualifica come  finance for climate adaptation con risorse che prevedono, tra l’altro, l’impegno di 100 miliardi di dollari ai paesi in via di sviluppo per interventi in grado di provvedere a forme di adattamento ai cambiamenti climatici.

Le opportunità legate alla trasformazione dei sistemi agroalimentari

Il problema delle risorse finanziarie (che appunto appaiono almeno in potenza abbondanti) è quello di accertarsi che possano arrivare effettivamente dove servono e dove possono fare la differenza. Se si guarda allo specifico di un settore come l’agricoltura l’adattamento deve necessariamente integrarsi con il processo di trasformazione. Siamo nella condizione di dover prendere atto che la produzione di cibo alle condizioni attuali è responsabile del 25% delle emissioni di CO2 con processi di lavorazione tra agricoltura, trasformazione e allevamenti che causano il 54% delle emissioni di metano. Una situazione che ci ha portati ad un paradosso: il settore più “vicino” all’ambiente, che ha la missione naturale di rigenerare le proprie risorse e che ci ha “insegnato” i principi dell’economia circolare, è invece drammaticamente in affanno e contribuisce al contrario a consumare risorse. Il rapporto agricoltura-ambiente sarà uno dei temi del 2022 in tanti ambiti, tutti caratterizzato da un fortissimo bisogno di innovazione. A partire dalla terra, troppo spesso trascurata ma che può contribuire in modo molto importante a frenare i cambiamenti climatici. Nel nostro paese il report sul Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici 2021 di SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente qui il report completo) ci ricorda che nel 2020 si sono persi 51,7 Km quadrati di suolo. Anche in questo caso serve un piano “Net Zero” e se si vogliono raggiungere gli obiettivi fissati dagli SDGs occorre arrivare al 2050 con un consumo di terreno pari a zero, con un ruolo ancora una volta fondamentale per l’innovazione che in questo caso si concretizza in precision farming, sistemi di protezione e valorizzazione della biodiversità e agricoltura rigenerativa

Food system e carbon capture

Se fissiamo l’attenzione proprio sul ruolo della regenerative agriculture dobbiamo immaginare, come ci invita a fare il World Economic Forum (in questo report), che l’agricoltura è un pezzo importantissimo della soluzione dei problemi del climate change e può esserlo in tante forme. Ovviamente per la capacità di sviluppare una produzione agroalimentare più attenta alle risorse, ma anche con forme di innovazione e “diversificazione” nello sviluppo delle imprese del settore primario. Alcuni dati: 3,6 miliardi di acri di terreni agricoli nel pianeta prima di essere “sfruttati” contavano su un livello di carbonio nel suolo tra il 3% e il 7%. Secondo molte stime questo livello si è abbassato all’1%. Se si creassero le condizioni per restituire a ogni acro di terreno agricolo un livello di carbonio inferiore a quello originario, anche solo la metà, si potrebbe rimuovere un trilione di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera e immagazzinarlo nel suolo. Ed entriamo così, grazie al ruolo del digitale, in quello che in Europa viene definito come Carbon farming (qui il dossier).

Potemmo definire che si tratta di “nuovo mestiere” ma la realtà è quella di competenze che attengono al rapporto con la natura e con l’ambiente e che profila un ruolo dell’agricoltura nell’ambito della riduzione della CO2. Nell’ambito della Common Agricultural Policy (CAP) la UE aveva presentato il piano Communication on Sustainable Carbon Cycle con il quale voleva incentivare l’introduzione di pratiche di carbon sequestration nelle imprese agricole europee delineando una  nuova linea di sviluppo e un impegno concreto che unisce sviluppo e ambiente. Questo scenario si sta concretizzando in progetti come l’EU LIFE Carbon Farming Scheme (qui i riferimenti del programma) e all’interno del piano EU LIFE sono previsti investimenti per 290 milioni di euro con i quali si cerca di creare un ponte tra la strategia di Climate change adaptation dell’Unione Europea e il piano From Farm to Fork che ha a sua volta lo scopo di condurre alla trasformazione del food system europeo sia in termini di evoluzione nella produzione sia sul piano del consumo.

Una trasformazione che passa dai dati e dalla conoscenza

La domanda in questo caso è come permettere ad una innovazione del settore primario che sta correndo e che sta popolando i nostri territori di sensoristica intelligente: Research and Markets ci parla di una crescita media dell’IoT in agricoltura del 13,6% e di un mercato che  arriverà a 3,79 miliardi $ nel 2028 trainato da precision farming e dai dati necessari per affrontare questa trasformazione sostenibile. Una prospettiva che nel 2022 dovrà agganciarsi anche alle opportunità legate al carbon removal business e a una agricoltura che avrà sempre più anche il compito di sentinella a difesa dell’ambiente. CGIAR, (Consultative Group on International Agricultural Research) ci ricorda che quella dei sistemi agroalimentari è una trasformazione che potrà avvenire solo se coinvolge tutti e solo se l’innovazione diventerà accessibile e scalabile. I dati parlano chiaro: oltre un terzo della produzione mondiale di cibo è nelle mani di oltre 500 milioni di piccoli agricoltori. La sfida è quella di sostenere una capacità produttiva che deve crescere per “sfamare” una crescita demografica che porta il pianeta a superare velocemente i 7 miliardi di abitanti, e che per questo deve saper ridurre gli sprechi e deve nello stesso tempo, cma on estrema urgenza, ridurre il problema della sicurezza alimentare.

Purtroppo dopo un periodo di sviluppo, la food safety è da due anni in peggioramento: ce lo ricorda l’indagine del Global Food Security Index (GFSI) di Economist Impact.  Dati che sono in diretta relazione con i principi che sono arrivati nel settembre 2021 e che si dovranno concretizzare nel 2022 grazie alla Carta della Sostenibilità dei sistemi alimentari firmata a Firenze dai G20 su iniziativa del Ministero delle politiche agricole. Nei “Principles for Responsible Investment in Agriculture and Food Systems“, troviamo un’altra indicazione chiara per il 2022: la via della trasformazione alimentare e della sostenibilità prevede la diffusione di investimenti in innovazione nei sistemi agricoli e alimentari, nel ruolo speciale del digitale e delle startup e nelle necessità di portare queste innovazioni presso le piccole e medie imprese.

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