A margine di Cop26

Rischi e nuove chance davanti alla transizione climatica: ecco chi saranno vincitori e vinti

L’impegno delle aziende di tutto il mondo a raggiungere la neutralità carbonica entro la metà del secolo si prospetta come uno dei temi determinanti per i mercati finanziari nei decenni a venire. Secondo il team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley, se da un lato la spinta per raggiungere zero emissioni rappresenta un rischio per coloro che nei settori ad alte emissioni stanno accumulando ritardo, dall’altro può creare opportunità per chi favorisce l’innovazione

Pubblicato il 05 Nov 2021

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“I tempi per agire sul fronte climatico si stanno facendo sempre più stretti e per questo riteniamo che in tutto il mondo gli interventi saranno sempre più decisi: il mercato premierà l’innovazione e penalizzerà la mancanza di iniziativa. Puntare a una crescita basata su emissioni elevate comporterà molto probabilmente una distruzione del valore, in conseguenza dei maggiori cambiamenti sul versante delle tecnologie e della regolamentazione. Il fattore determinante della crescita economica e di una forte riduzione delle emissioni sarà l’innovazione tecnologica. Ecco perché, secondo noi, gli investitori continueranno a chiedere che i portafogli vengano allineati non solo alla riduzione dei rischi, ma anche alla possibilità di cogliere le opportunità presentate dalla transizione verso un’economia a basse emissioni”.

Lo afferma il team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley IM, che a margine di COP26 ha sviluppato un approccio scientifico che realizza la decarbonizzazione delle posizioni core del portafoglio in base allo scenario di riscaldamento medio di 1,5°C, in linea con le più recenti raccomandazioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), e punta a raggiungere la neutralità carbonica dell’esposizione azionaria entro il 2050. Tale approccio si basa sui punteggi ottenuti dalle società relativi ai fattori ESG e alla transizione verso una riduzione delle emissioni e va poi integrato con l’ormai consolidato processo di asset allocation.

Ma ecco il quadro dei principali settori analizzati.

Utility

La produzione di energia elettrica e gli impianti di riscaldamento generano il 31,9% delle emissioni globali di gas serra, una cifra che è destinata solo a salire. Se vogliamo ridurre le emissioni, occorrerà accelerare la transizione verso le fonti pulite e rinnovabili per l’approvvigionamento delle nostre reti elettriche. Tutto questo rende le utility uno dei settori più esposti al rischio dei prezzi delle emissioni e trasforma i piani di transizione energetica delle società del settore in un elemento imprescindibile della proposta di valore.

L’inasprimento degli obiettivi di neutralità carbonica dell’UE e gli standard per le energie pulite fissati dall’amministrazione Biden comporteranno con ogni probabilità una stretta nella normativa e sui mercati globali del carbonio, con conseguenze rilevanti per il settore delle utility. Secondo lo State of Transition Report 2021 pubblicato da Transition Pathway Initiatives (TPI), le aziende elettriche di tutto il mondo hanno ridotto in misura significativa le emissioni attraverso una minor ricorso al carbone e a un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili. Proseguendo nella direzione intrapresa, le utility statunitensi centreranno gli obiettivi fissati per il 2030, ma, stando a TPI, non quelli delineati per il 2050, salvo cambio di marcia. Le economie emergenti sono riluttanti a rinunciare al carbone. In Cina e India, il carbone è il combustibile predominante, rappresentando rispettivamente il 58% e il 51% del mix elettrico. Il settore dovrà continuare a operare investimenti su ampia scala, ma le società dovrebbero poter beneficiare del fatto di essere tra le prime a muoversi.

“Riteniamo che l’attuale spinta a livello politico favorirà le utility che hanno adottato la transizione energetica sin dalle prime battute – spiegano gli autori -. Considerato che le energie rinnovabili sono economicamente più convenienti, le utility di tutto il mondo dovrebbero continuare a ridimensionare il ricorso ai combustibili fossili, in particolare il carbone, accelerando al contempo la costruzione di centrali eoliche e fotovoltaiche per raggiungere gli obiettivi di riduzione nel breve termine. Le iniziative adottate per decarbonizzare il mix energetico saranno fondamentali nella nostra valutazione dei vantaggi comparativi di queste aziende. Le emissioni di ambito 1 delle utility tendono a essere relativamente elevate. Le utility che sapranno decarbonizzare i rispettivi portafogli in modo efficiente, saranno in grado di ridurre anche il rischio dei prezzi delle emissioni in modo più efficiente. Nel lungo periodo, una utility sarà secondo noi più redditizia se saprà utilizzare in modo più efficace le risorse di cui dispone. Di conseguenza, possiamo attenderci una sovraperformance da parte di quelle aziende con una bassa intensità di carbonio di ambito 1″.

Trasporti 

L’utilizzo di combustibili fossili nel settore dei trasporti genera il 24% circa delle emissioni dirette di CO2 e i veicoli su strada contribuiscono a questa percentuale per tre quarti circa.26 Nella fabbricazione di veicoli, le case automobilistiche devono già oggi osservare diverse norme in materia di emissioni ed efficienza energetica, sia a livello nazionale che sovranazionale. Questo interessa economie di grandi dimensioni come il Giappone, la Cina e l’Unione europea. Un numero crescente di governi, tra cui quelli di Giappone, Spagna, Regno Unito e Canada, hanno annunciato la data a partire dalla quale la vendita di nuovi veicoli a combustione interna sarà vietata. Queste disposizioni, unitamente ai rapidi progressi tecnologici compiuti sul fronte delle batterie dovrebbe stimolare la domanda di veicoli elettrici e ibridi.

Veicoli elettrici

Nell’ultimo decennio si è registrato un aumento delle vendite di automobili elettriche, e nel 2018 il numero di unità ha superato la soglia dei 5 milioni, in aumento del 63% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, le vendite globali di veicoli elettrici costituiscono ancora solo il 2,6% delle vendite totali di auto a livello globale e nel 2019 questi erano solo l’1% di tutti i mezzi circolanti.

Per raggiungere la neutralità carbonica, si stima che entro il 2030 i veicoli a zero emissioni dovranno costituire il 60% circa delle nuove immatricolazioni. Per raggiungere la parità di costo, saranno molto probabilmente necessari un prolungato sostegno a livello politico e ulteriori progressi in termini di innovazione. “Considerata la portata dell’opportunità – spiega il report -, prevediamo un’ulteriore transizione delle case automobilistiche verso la fabbricazione di modelli elettrici. Questo incremento e la maggiore competitività dei costi potrebbero contribuire a sostenere una crescita delle vendite e permettere l’avvicinamento alla decarbonizzazione. Nel decennio a venire riteniamo che le sanzioni pecuniarie basate sulle emissioni e la perdita di quote di mercato penalizzeranno le case automobilistiche che non avranno assegnato la giusta priorità alla transizione energetica, mentre l’adozione di nuove politiche e i flussi di investimento continueranno a premiare quelle che invece si saranno poste all’avanguardia”.

Petrolio e gas

Davanti all’accelerazione della transizione energetica, per le società del settore petrolifero e del gas sarà sempre più importante pianificare in modo disciplinato la spesa per gli investimenti e posizionarsi per il lungo termine. Gli obiettivi di neutralità carbonica sono ancora una rarità in questo settore, secondo Climate Action 100+, e lo sono ancor più le società che includono nei propri piani le emissioni di ambito 3. Ma per il settore del petrolio e del gas, affrontare le emissioni di ambito 3 è un obiettivo fondamentale, visto che l’85-90% delle emissioni lungo l’intero ciclo di vita sono generate dalla combustione di carburanti fossili.

Il report sottolinea che secondo una recente raccomandazione dell’IEA, lo sfruttamento e lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e petrolio deve cessare quest’anno, se vogliamo raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Questa dichiarazione è in linea con una ricerca condotta dall’UCL nel 2021 nella quale si stima che lo sfruttamento del 60% circa delle riserve globali di gas e petrolio dovrà cessare entro il 2050, anche se nella seconda metà del secolo una parte di questi carburanti potrebbe ancora essere prodotta.

 Tutto ciò comporta dei rischi per gli investitori. Considerato che i progetti di sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio normalmente abbracciano un arco di tempo di 15-30 anni, le decisioni in materia di spesa per gli investimenti rischiano di comportare attività bloccate e distruzione del valore nell’arco di vita del progetto. “Suggeriamo quindi agli investitori di monitorare molto attentamente i piani di investimento delle società – afferma Morgan Stanley -. La riduzione delle emissioni di ambito 3 nel lungo termine potrebbe indicare l’impegno di una società a generare un valore sostenibile nel tempo”

Il ruolo della finanza

Esercitando un’influenza diretta e indiretta sull’economia, il settore finanziario può svolgere un ruolo rilevante nel tracciare il percorso verso la neutralità carbonica. Numerose aree di questo settore, tuttavia, continuano ad avere forti legami con i combustibili fossili, sotto forma di partecipazioni societarie e finanziamenti. Ma i finanziamenti necessari per creare un’economia verde a livello globale sono enormi. “Con la diffusa adozione degli obiettivi di neutralità carbonica e di misure climatiche da parte delle principali economie – spiega il report -, assisteremo con ogni probabilità a un aumento della regolamentazione nel settore finanziario. Siamo dell’avviso che questo approccio stile “bastone e carota” porterà il settore a interessarsi a diverse iniziative volte a raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni nette”.

I cambiamenti climatici hanno ripercussioni sul settore finanziario in diversi modi. Le società finanziarie che sono particolarmente esposte ad attività con un’elevata intensità di carbonio (sia tramite finanziamenti che attraverso i portafogli di investimento) rischiano di ritrovarsi posizionate in modo controproducente se la normativa o gli sviluppi tecnologici rendono tali settori meno sostenibili. Sul fronte opposto, quelle che colgono l’opportunità possono beneficiare dei maggiori ricavi e dei vantaggi reputazionali derivanti dal fatto di aver contribuito alla svolta ecologica. “Riteniamo importante valutare quali istituti finanziari si pongono all’avanguardia e quali invece accumulano un ritardo – spiega Morgan Stanley -, esaminando i finanziamenti e gli investimenti alla luce delle emissioni e scoprendo quali azioni stanno intraprendendo per allineare clienti e società partecipate nel cammino verso la neutralità carbonica”.

Dalla Cop26 un’occasione imperdibile

Gli autori definiscono la Cop26 come un’occasione “imperdibile”: i Paesi avranno modo di aggiornare i propri contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions, NDC) per la prima volta da quando l’Accordo di Parigi sul clima è stato sottoscritto, nel 2015. Ad agosto 2021, erano soltanto 107 i Paesi ad aver presentato i loro nuovi obiettivi NDC: molti di questi non sono stati ritenuti adeguati, mentre altre nazioni non hanno proprio presentato i propri obiettivi.

In questo quadro, il ruolo cruciale rimane quello della Cina che emette da sola più di un quarto delle emissioni globali. Di recente, Pechino ha annunciato l’intenzione di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 e di portare al 25% del totale nazionale il consumo di energia verde entro il 2030, ma alle intenzioni non sono seguiti fatti concreti, soprattutto per l’aumento su base annua del consumo di carbone. Anche gli Stati Uniti, nella propria veste di potenza globale, svolgono un ruolo chiave nella lotta al cambiamento climatico e i loro NDC segneranno la strada. L’amministrazione Biden si è impegnata ad accelerare la transizione verde, investendo miliardi di dollari in infrastrutture per l’energia pulita e nell’efficientamento dei consumi energetici e per dimezzare (obiettivo minimo) le emissioni nette entro il 2030 (una riduzione del 50-52% rispetto ai livelli del 2005).

L’Europa si considera da sempre all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici. La svolta principale si è avuta quando, nel dicembre del 2019, l’UE ha varato l’European Green Deal, un programma teso a favorire il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050. Nel luglio del 2021, la Commissione europea ha proposto il ricco pacchetto legislativo “Fit for 55”, che si propone si supportare una riduzione più ambiziosa e più nel breve termine dei gas serra, pari ad almeno 55% entro il 2030.

Necessaria la transizione alle fonti rinnovabili

“In questo contesto politico piuttosto incerto, le aziende dovranno impegnarsi ad adattare il proprio business – conclude il team autore del report -. Un tema ricorrente è la necessità di passare dai combustibili fossili (in particolare carbone e petrolio) alle fonti rinnovabili, migliorando al contempo l’efficienza delle reti elettriche e dei consumi energetici. A nostro avviso, si tratta di un aspetto fondamentale per un allineamento agli obiettivi nazionali. Tuttavia, proprio come accade per i piani nazionali, anche i cambiamenti necessari avvengono con lentezza esasperante, evidenziando l’esigenza di un intervento a livello politico per ridurre le emissioni nel breve termine ed evitare catastrofi climatiche.

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