La sesta giornata della COP30 ha segnato una svolta decisiva nella transizione climatica, puntando a renderla più equa, rapida e radicata in principi finanziari ed etici solidi.
Se la prima metà della conferenza è stata dominata da annunci e dichiarazioni, il 15 novembre ha evidenziato il passaggio dall’ambizione all’azione concreta, con nuove iniziative strutturali volte a mobilitare capitali su larga scala, rafforzare la cooperazione internazionale e assicurare che la transizione energetica coinvolga davvero popolazioni, territori e comunità più vulnerabili.
Finanza climatica al centro: il salto di scala verso il trilione annuo
La sesta giornata della Conferenza delle Parti a Belém è stata contrassegnata da progressi significativi sul fronte finanziario, considerato oggi il vero fattore abilitante per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Il lancio dei Principles for Taxonomy Interoperability, sviluppati con SB COP, IDFC e vari ministeri finanziari, segna un passo decisivo verso la standardizzazione dei criteri di finanza sostenibile. Una convergenza che punta a sostenere la mobilitazione dei 1.3 trilioni di dollari annui previsti dal Baku to Belém Roadmap.
Nel frattempo, quasi 10 trilioni di dollari in asset sono stati rappresentati all’Asset Owners Summit, il primo dedicato ufficialmente durante una COP: pensioni, fondi sovrani e assicurazioni hanno delineato raccomandazioni operative per rafforzare investimenti nelle economie emergenti e nei settori hard-to-abate.
Un altro pilastro è arrivato dall’espansione delle Country Platforms del Green Climate Fund: 14 nuovi Paesi – tra cui India, Sudafrica, Colombia, Nigeria e Oman – svilupperanno piattaforme nazionali per allineare priorità climatiche, investimenti pubblici e privati e assistenza tecnica. Contestualmente è stato lanciato anche il Country Platform Hub, progettato per coordinare conoscenza e fondi a livello globale ed evitare duplicazioni.
Solidarity Levies: cresce la coalizione per il finanziamento equo
Un tema sempre più centrale è quello delle solidarity levies, leve fiscali innovative concepite per generare entrate climatiche senza aumentare l’indebitamento dei Paesi vulnerabili.
Alla COP30 è emersa con forza la loro capacità di mobilitare nuovi flussi finanziari attraverso prelievi mirati su settori ad alte emissioni o storicamente sottotassati — come aviazione, shipping, transazioni finanziarie e criptovalute — applicando in modo concreto il principio “chi inquina paga”.
La Premium Flyers Solidarity Coalition continua ad ampliarsi: Benin, Djibouti, Francia, Kenya, Nigeria, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Spagna ne sono membri attivi, mentre Brasile, Fiji, Vanuatu e Antigua e Barbuda hanno aderito come osservatori. L’allargamento della coalizione riflette una crescente convergenza politica sulla necessità di strumenti fiscali innovativi per finanziare adattamento, resilienza e perdite e danni nei Paesi più vulnerabili.
A Belém è stato anche presentato un nuovo rapporto tecnico che quantifica il potenziale di queste misure, evidenziando la loro capacità di generare entrate significative su scala globale. Il messaggio emerso dagli interventi istituzionali è chiaro: i levy non sono più un’idea sperimentale, ma un pilastro emergente della finanza climatica del futuro.
Come ha dichiarato Laurence Tubiana, Special Envoy COP30:
Le solidarity levies possono passare dall’idea alla realtà. Ora è il momento di ampliare la coalizione e trasformare l’impulso politico in cambiamento strutturale.
Carbon markets e tassonomie: trasparenza, comparabilità e governance
La sesta giornata del vertice sul clima ha segnato progressi significativi su due pilastri essenziali per scalare la finanza climatica: la trasparenza dei mercati del carbonio e l’allineamento delle tassonomie sulla sostenibilità.
Sul fronte dei compliance carbon markets, la Open Coalition for Compliance Carbon Markets ha raggiunto 18 adesioni, includendo attori chiave come Brasile, Cina, Unione Europea, Regno Unito, Canada, Germania, Singapore e Norvegia. La coalizione nasce con l’obiettivo di rafforzare l’integrità ambientale dei mercati regolamentati, promuovendo la convergenza su tre elementi critici:
- sistemi MRV (monitoraggio, rendicontazione e verifica) più rigorosi e interoperabili;
- metodologie comuni di contabilità del carbonio per evitare doppie contabilizzazioni e migliorare la comparabilità tra Paesi;
- criteri condivisi per l’eventuale utilizzo di offset ad alta integrità, in grado di supportare la mitigazione senza compromettere gli sforzi domestici di riduzione delle emissioni.
L’espansione della Coalizione conferma la crescente volontà dei governi di cooperare su infrastrutture regolatorie e standard tecnici che permettano ai mercati del carbonio di funzionare con maggiore trasparenza e credibilità, in linea con l’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi.
Parallelamente, nel campo delle tassonomie per la finanza sostenibile sono stati presentati due sviluppi fondamentali nell’ambito del Taxonomy Roadmap Initiative, lanciato alla COP29:
- I Principles for Taxonomy Interoperability, che definiscono criteri condivisi per rendere comparabili le diverse tassonomie nazionali e regionali, oggi spesso disallineate.
- Il Sustainable Finance Taxonomy Mapper, uno strumento digitale innovativo che consente a governi, investitori e regolatori di confrontare in modo intuitivo le tassonomie esistenti, facilitando l’analisi delle convergenze e delle differenze nei sistemi di classificazione degli investimenti sostenibili.
In un contesto globale dove capitali pubblici e privati devono fluire rapidamente verso progetti compatibili con gli obiettivi climatici, la possibilità di parlare una “lingua comune” nella finanza sostenibile è sempre più cruciale.
Gli interventi della giornata hanno sottolineato come la standardizzazione delle tassonomie sia un passaggio imprescindibile per attrarre investimenti su larga scala, ridurre la frammentazione dei mercati e accelerare la transizione in modo coerente e verificabile.
IFCCT: quando commercio e clima camminano insieme
Alla COP30 si è aperto ufficialmente il lavoro dell’Integrated Forum on Climate Change and Trade (IFCCT), un nuovo spazio multilaterale nato per affrontare una delle sfide più complesse della transizione ecologica: rendere il commercio internazionale un alleato, e non un ostacolo, degli obiettivi climatici globali.
Il Forum, lanciato durante il Belém Climate Summit del 7 novembre, riunisce governi, organizzazioni multilaterali, imprese e società civile con una missione chiara: armonizzare politiche commerciali e climatiche, ridurre i costi per gli esportatori, migliorare l’accesso ai mercati e promuovere catene del valore più sostenibili.
All’apertura sono intervenuti rappresentanti di Cina, Regno Unito, Australia e altri Paesi chiave, insieme alla WTO, alla International Chamber of Commerce (ICC) e a organizzazioni del settore privato. Il forte sostegno espresso dai delegati conferma la crescente consapevolezza che, senza una migliore integrazione tra commercio e clima, la transizione rischia di frammentarsi tra dazi verdi, standard divergenti e barriere tecniche.
Il lavoro dell’IFCCT si concentrerà su tre priorità strategiche:
- Ridurre i costi e le barriere per gli esportatori, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, rendendo più accessibili i mercati per i prodotti sostenibili.
- Sviluppare standard comuni su misurazione delle emissioni, tracciabilità e certificazioni, per evitare la proliferazione di regole nazionali incompatibili.
- Creare un sistema commerciale più aperto e coerente con gli obiettivi climatici, capace di rispondere al primo Global Stocktake e di supportare investimenti in tecnologie pulite e supply chain a basse emissioni.
Il nuovo Forum rappresenta quindi una piattaforma senza precedenti per affrontare in modo coordinato le tensioni tra competitività economica e ambizione climatica. In una fase in cui sempre più Paesi adottano meccanismi di aggiustamento del carbonio alle frontiere e requisiti “green” nelle catene del valore, l’IFCCT punta a evitare la frammentazione delle regole e a trasformare il commercio globale in un motore di decarbonizzazione, crescita inclusiva e stabilità economica.
Rischi climatici: l’allarme delle banche centrali
Alla trentesima Conference of Parties dell’UNFCCC, la Network for Greening the Financial System (NGFS) — che riunisce 146 banche centrali e autorità di vigilanza — ha lanciato uno degli avvisi più forti dell’intera giornata: il cambiamento climatico non è più un rischio futuro, ma un fattore di instabilità macroeconomica e finanziaria già in atto, in grado di minare la sicurezza dei sistemi economici se non affrontato con urgenza.
Con la pubblicazione della Declaration on the Economic Cost of Climate Inaction, l’NGFS ha evidenziato come eventi climatici estremi e transizioni disordinate stiano già producendo impatti misurabili su inflazione, produttività, valore degli asset, catene di approvvigionamento e stabilità del credito. Le nuove analisi mostrano che i danni economici derivanti dall’inazione saranno esponenzialmente superiori ai costi di una transizione ordinata e pianificata.
Secondo l’NGFS, i rischi climatici devono essere riconosciuti come rischi finanziari veri e propri e integrati nelle pratiche di vigilanza:
- stress test e analisi di scenario avanzati, per valutare la resilienza di banche e assicurazioni a diversi percorsi di riscaldamento globale;
- standard di disclosure più stringenti, per rendere trasparente l’esposizione di imprese e istituzioni finanziarie;
- piani di transizione credibili, che colleghino strategie aziendali, investimenti e riduzione delle emissioni;
integrazione dei rischi naturali e di biodiversità, riconosciuti come parte integrante della stabilità finanziaria.
Come sottolineato da Sabine Mauderer, presidente dell’NGFS:
“Il cambiamento climatico è un pericolo imminente, non un rischio lontano. Serve un impegno dell’intera economia per evitare gravi shock e preservare la stabilità finanziaria.”
Il vice-presidente dell’NGFS, Fundi Tshazibana, ha ricordato che la gestione dei rischi climatici non è solo un tema ambientale, ma una conditio sine qua non per una transizione controllata e sostenibile:
Gestire efficacemente i rischi climatici significa rafforzare la resilienza finanziaria e sostenere una trasformazione economica ordinata.
Il messaggio complessivo è chiaro: senza un’azione immediata, coordinata e trasversale, i mercati finanziari potrebbero trovarsi esposti a perdite sistemiche. Le banche centrali chiedono che la finanza globale passi rapidamente da un approccio volontario a una gestione obbligatoria e strutturale dei rischi climatici, per evitare che lo shock climatico diventi una crisi finanziaria globale.
Focus non-CO₂: acceleratore sui superinquinanti
Uno dei risultati più significativi della sesta giornata della COP30 riguarda il rafforzamento dell’azione internazionale contro i superinquinanti, ovvero quei gas ad altissimo potere climalterante — come metano, idrofluorocarburi (HFC), carbonio nero e protossido di azoto — responsabili di una quota sostanziale del riscaldamento a breve termine. Ridurli rapidamente è considerato uno dei modi più efficaci per contenere l’aumento delle temperature nei prossimi decenni.
A Belém ha fatto un passo avanti il Super Pollutant Country Action Accelerator, annunciato durante il Belém Leaders Summit. L’iniziativa nasce con l’obiettivo di supportare 30 Paesi in via di sviluppo nello sviluppo e nell’attuazione di piani specifici per la riduzione dei superinquinanti entro il 2030, con interventi che spaziano dal controllo del metano nelle filiere energetiche e agricole, all’eliminazione graduale degli HFC nell’industria del freddo, fino alla riduzione delle emissioni di carbonio nero nei trasporti e nella combustione domestica.
Il programma si apre con un finanziamento iniziale di 25 milioni di dollari, destinato a sette Paesi pionieri: Brasile, Cambogia, Kazakistan, Sudafrica, Indonesia, Nigeria e Messico. Questi Stati fungeranno da laboratorio per lo sviluppo di metodologie, tecnologie e politiche replicabili, con attenzione alla creazione di quadri regolatori solidi, al trasferimento tecnologico e alla formazione delle istituzioni locali.
L’acceleratore fornirà:
- assistenza tecnica per misurare e monitorare le emissioni non-CO₂ con maggiore precisione;
- supporto nella definizione di strategie nazionali coerenti con gli impegni dell’Accordo di Parigi e con l’azione sul metano prevista dal Global Methane Pledge;
- finanziamento catalitico per favorire investimenti pubblici e privati nei settori agricolo, energetico e dei rifiuti;
- sviluppo di piani d’azione immediati, con priorità a soluzioni rapide a costo contenuto come il recupero del metano nelle discariche, la riduzione delle perdite nelle condutture, la transizione verso sistemi di refrigerazione a basso impatto e l’efficientamento degli impianti industriali.
Ridurre i superinquinanti è riconosciuto come uno dei fattori più immediati di stabilizzazione climatica, con benefici diretti anche per la salute pubblica (grazie alla diminuzione degli inquinanti atmosferici) e per la sicurezza alimentare, data l’importanza del metano nelle filiere agricole.
Come evidenziato dagli esperti nel corso della giornata, il lavoro sull’energia e sulla CO₂ resta imprescindibile, ma l’azione sui superinquinanti rappresenta un’opportunità ad alto impatto per guadagnare tempo prezioso nella corsa al contenimento del riscaldamento globale.
Mobilitazione sociale: la Marcia Mondiale per il Clima riempie Belém
Fuori dalle sale negoziali, la Giornata 6 ha visto migliaia di persone partecipare alla Marcha Mundial pelo Clima. Indigeni, giovani, movimenti sociali e comunità tradizionali hanno chiesto maggiore ambizione, protezione dei territori e giustizia climatica.
La marcia, che si è snodata dall’area portuale fino al centro della città, ha avuto un forte carattere identitario: cartelli e striscioni richiamavano la protezione della foresta amazzonica, il rispetto dei diritti dei popoli indigeni e la necessità di un’azione climatica più rapida e vincolante da parte dei governi. Molti gruppi hanno denunciato gli impatti delle attività estrattive, della deforestazione e dei nuovi progetti fossili, sottolineando come la tutela dei territori sia indissociabile dalla lotta alla crisi climatica.
Oltre ai movimenti sociali brasiliani, erano presenti delegazioni provenienti da altri Paesi latinoamericani, dall’Africa e dal Sud-est asiatico, a testimonianza del carattere internazionale della mobilitazione. Le voci delle comunità in prima linea — pescatori, leader indigeni, donne rurali — hanno portato una prospettiva concreta sugli effetti della crisi climatica e sulle ingiustizie ambientali che colpiscono i territori più vulnerabili.
La marcia ha anche inviato un messaggio diretto ai negoziatori della COP30: senza il coinvolgimento attivo delle popolazioni locali e senza una transizione che tenga conto dei diritti sociali, non può esistere una vera soluzione climatica. Le richieste principali emerse dalla manifestazione includono lo stop alle nuove infrastrutture fossili, maggiori finanziamenti per l’adattamento e un impegno internazionale vincolante per proteggere il 80% dell’Amazzonia entro il 2025, obiettivo sostenuto da molte organizzazioni presenti.
Belém, città simbolo dell’Amazzonia e crocevia di culture, ha quindi ospitato non solo i negoziati ufficiali, ma una piazza globale che ha ricordato con forza che la crisi climatica è prima di tutto una questione di diritti, equità e autodeterminazione dei popoli.
Dal tecnico al politico: la COP entra nella seconda settimana
Con la conclusione della sesta giornata, la COP30 ha compiuto un passaggio cruciale: la conferenza entra ora nella fase politica vera e propria, spostando il focus dai lavori tecnici e preparatori alle negoziazioni decisive tra i Paesi. Durante la prima settimana, i Subsidiary Bodies avevano elaborato bozze di decisioni e raccomandazioni su temi chiave come finanza climatica, mercati del carbonio, mitigazione e adattamento. Queste bozze sono ora confluite nei tracciati principali delle negoziazioni, aprendo la strada a discussioni di alto livello che definiranno gli impegni finali della COP30.
La transizione dal tecnico al politico comporta un ruolo centrale dei ministri e capi delegazione, che dovranno trovare compromessi su questioni complesse, come la mobilitazione dei 1,3 trilioni di dollari annui della Baku to Belém Roadmap, l’implementazione delle solidarity levies, il rafforzamento delle piattaforme nazionali del Green Climate Fund e le regole dei mercati del carbonio. Il successo di queste negoziazioni determinerà non solo la capacità della COP30 di trasformare le ambizioni in azione concreta, ma anche la credibilità della comunità internazionale nella gestione della crisi climatica.
Accanto alle discussioni formali, continua il dialogo tra governi, settore privato e società civile, con sessioni parallele dedicate alla collaborazione su soluzioni pratiche, innovazioni tecnologiche e piani d’azione immediati. Questo approccio integrato punta a tradurre le strategie scientifiche e finanziarie sviluppate nella prima settimana in misure operative, pronte per essere implementate a livello nazionale e globale.
Entrare nella seconda settimana significa quindi alzare il livello di responsabilità politica, accelerare il processo decisionale e testare la volontà dei Paesi di tradurre impegni e piani d’azione in risultati concreti, sotto la crescente pressione di scadenze climatiche sempre più urgenti e di una società civile mobilitata e attenta.



































































