Conferenza Onu

Cop26: prima settimana fra annunci, appelli, polemiche e qualche fatto concreto

La prima settimana di lavori alla Conferenza Onu sul clima, in corso a Glasgow, si chiude in pareggio tra ottimismo e pessimismo. Stop alle centrali a carbone all’estero, ma senza Cina, India, che intanto frenano sull’obiettivo zero emissioni al 2050. Accordi contro la deforestazione, il metano e i combustibili fossili, mentre arrivano sul piatto risorse importanti da Gfanz, Eu Cathalyst e i filantropi. Ma Greta è disillusa: “Due settimane di bla bla bla”

Pubblicato il 06 Nov 2021

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Tanti annunci, tanti appelli, tante polemiche. E qualche fatto concreto, seppur in un quadro di impegni non vincolanti. La prima settimana di lavori alla ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, Cop26, in corso a Glasgow, si chiude in pareggio tra ottimismo e pessimismo. E mentre la speranza verso un vero “dopo Parigi” resta per molti concreta, i segnali arrivati dai Big della partita non sono totalmente confortanti.

Resta spazio per una prospettiva di vero impegno a mantenere il riscaldamento sotto il limite di 1,5 gradi? Al World Leaders Summit, cerimonia di apertura della seconda giornata della Cop 26, il primo ministro britannico Boris Johnson ha ricordato la sua presenza a Parigi “quando convenimmo sulle emissioni zero”, spiegando che le promesse di allora rischiano di essere un ‘bla bla bla’: “La collera del mondo sarebbe incontenibile”, ha puntualizzato.  Restare sotto 1,5° C di riscaldamento rimane un obiettivo concreto ma, ha precisato il premier francese Emmanuel Macron, va reso anche “credibile”.

“L’umanità è di fronte a delle scelte difficili ma chiare – ha aggiunto Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che organizza la Cop26 –. Possiamo riconoscere che continuare come fatto finora non è ragionevole, visto il prezzo devastante che dovremo pagare, e perciò decidere di attuare la transizione necessaria. Oppure possiamo accettare di essere complici della nostra estinzione”.

Toccante  l’intervento del naturalista britannico, nonché ambasciatore della Cop26, David Attenborough, che ha chiesto a gran voce ai leader mondiali di “riscrivere la storia”. “Le generazioni future non ci perdoneranno se falliremo”, ha affermato Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito. 

Il freno di India e Cina alle ambizioni per il 2050

Possibile riuscirci? Di certo la prima settimana di Glasgow dimostra che non sarà per nulla facile mettere tutti d’accordo, visto che non è stato neppure raggiunta un’intesa tra i Paesi del G20 sulle zero emissioni nette al 2050 e se alla Cop 26, Narendra Modi, primo ministro dell’India, alla fine dichiara di puntare a quel target per il 2070: un annuncio davanti al quale Draghi fa notare che “si parla di Paesi in una differente fase della loro storia economica”.

Nessun nuovo impegno di rilievo, invece, per il presidente cinese Xi Jinping, assente al vertice: Pechino resta al 2060, come Indonesia, Russia e Arabia Saudita, ma invita tutti gli Stati a “mantenere le loro promesse, formulare visioni e obiettivi realistici e fare del loro meglio per promuovere l’attuazione di misure contro il cambiamento climatico in linea con quelle che sono le condizioni di ciascuna nazione”.

“È il momento di dire che ne abbiamo abbastanza – ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, –. Abbastanza di vandalizzare la biodiversità, abbastanza di uccidere noi stessi con la CO2, abbastanza di trattare la natura come una latrina, abbastanza di bruciare le nostre foreste e continuare ad estrarre sempre più in profondità”. Anziché sfruttare ancora il Pianeta, secondo Guterres, occorre “scegliere di salvaguardare il nostro avvenire”. Il diplomatico portoghese ha ricordato infatti che “ci siamo spinti sull’orlo del baratro a causa della nostra dipendenza dalle fonti fossili”.

Di fatto, nel suo intervento, il presidente Joe Biden ha chiesto scusa per la decisione del suo predecessore, Donald Trump, di uscire dall’Accordo di Parigi: “Gli Usa non sono solo tornati al tavolo, ma guidano con l’esempio. Dobbiamo investire nell’energia pulita ed è quello che faremo, riducendo le emissioni entro il 2030”. Il primo ministro Boris Johnson ha aggiunto: “Abbiamo le tecnologie, le idee” e anche i finanziamenti ci sono “decine di trilioni, per disinnescare la bomba”.

Stop alle centrali a carbone: sì, ma…

Si può, per esempio, dire basta alle centrali a carbone: “Entro il 2030 per i paesi ricchi, entro il 2040 per gli altri. Se aspettiamo sarà più costoso”. Per ora il G20 si è impegnato a interrompere entro la fine di quest’anno il finanziamento di nuove centrali a carbone all’estero, decisione che per diversi Paesi (Cina compresa) era già stata annunciata, ma manca un analogo impegno sul versante interno e per l’eliminazione graduale di altri combustibili fossili.

“Ciò significa – sottolinea l’Oxfam – che dannose centrali a carbone possono essere costruite per altri dieci anni”. Draghi spiega che è necessario puntare sulle rinnovabili, sviluppando “alternative praticabili” e, nel frattempo, “dobbiamo investire in tecnologie innovative per la cattura del carbonio”. Globalmente “il denaro può non essere più un vincolo se portiamo dalla nostra parte il settore privato – ha detto – vorrei davvero invitare tutte le banche multilaterali di sviluppo e la Banca Mondiale, che oggi fa molto poco sul clima, ad impegnarsi seriamente nella condivisione dei rischi con il settore privato”.

In realtà l’accordo non specifica i dettagli sul modo in cui raggiunge l’obiettivo e la mancanza di Cina, India e Australia resta molto emblematica. La Cina consuma il 50% del carbone mondiale e, anche se ha già annunciato un piano per ridurre le emissioni di gas serra, non sono presenti impegni vincolanti riguardo la chiusura delle centrali a carbone. Finché questo non accadrà, qualsiasi altro impegno preso da Pechino risulterà secondario.  Il punto chiave, intanto, è finanziare lo sviluppo delle energie rinnovabili nei Paesi emergenti e fornire loro la tecnologia per farlo.

Cento Stati contro la deforestazione

In un evento costellato di assenze (in primis Xi Jinping, presidente della Cina, il paese che produce più emissioni al mondo in valore assoluto, ma anche  Vladimir Putin, il presidente turco Erdoğan e il brasiliano Jair Bolsonaro), almeno 100 Stati si sono impegnati ad interrompere i processi di deforestazione e di degrado del suolo di qui al 2030. Tra di essi Stati Uniti, Cina, Russia, Germania, Francia, Regno Unito, Brasile, che ospita buona parte della foresta amazzonica, Canada (foresta boreale) e la Repubblica Democratica del Congo (foresta tropicale). Complessivamente gli stati in questione rappresentano più dell’85 per cento delle foreste del Pianeta. Un annuncio comunque non piaciuto a Greenpeace, secondo la quale la scadenza al 2030 è “decisamente troppo lontana nel tempo” e concede di fatto il via libera “per un altro decennio” alla deforestazione. 

Cento nazioni nel Global methane pledge

Su altro fronte, sempre 100 nazioni hanno sottoscritto il Global methane pledge, un patto volto a ridurre del 30 per cento le emissioni di metano entro il 2030. Tra i firmatari figurano anche in questo caso gli Stati Uniti, il Brasile, la Germania e anche l’Italia, ma mancano alcuni tra i principali responsabili della dispersione di gas ad effetto serra del Pianeta: Australia, Iran, India, Cina e Russia.

Secondo gli analisti si tratta di un accordo significativo, ma è un peccato che né la Cina né la Russia ne facciano parte, poiché quest’ultima, una dei maggiori produttori di gas naturale, è anche una dei principali responsabili di emissioni di metano.

Venti Paesi contro gli investimenti nei fossili

Venti nazioni si sono invece impegnate a porre fine agli investimenti all’estero nei combustibili fossili, a partire dal 2022: del gruppo fanno parte anche nazioni come Stati Uniti e Canada, oltre all’Italia (anche se,  secondo quanto rivelato dalla stampa internazionale, la posizione del nostro governo è stata fino all’ultimo titubante). I firmatari dell’intesa hanno riconosciuto che tali finanziamenti “comportano crescenti rischi sociali ed economici”. “Dobbiamo porre i finanziamenti pubblici dalla parte giusta della storia”, ha commentato il segretario di stato britannico alle Imprese, Greg Hands.

Quattro Paesi e un’area marina protetta

Fra gli annunci della prima settimana, questa volta ad opera dei governi di Panama, Ecuador, Colombia e Costa Rica, anche l’idea di creare un’immensa area marina protetta, su una superficie di 500mila chilometri quadrati: sarà il Corridoio marino del Pacifico tropicale orientale (Eastern tropical pacific marine corridor). All’interno, sarà vietata la pesca, in corrispondenza della rotta migratoria di tartarughe marine, balene, squali e razze.

Zero emissioni alla City di Londra

In ambito finanziario,  il Regno Unito ha promesso invece di imporre nuove regole agli istituti finanziari e alle società quotate in Borsa alla City di Londra. Ciò con l’obiettivo di azzerare le loro emissioni nette di CO2 entro il 2050. Decisa anche l’istituzione di un tavolo di lavoro – composto da manager, docenti universitari, responsabili di organismi di controllo e rappresentanti della società civile – che dovrà indicare una metodologia di monitoraggio dei reali comportamenti di banche, fondi e imprese, al fine di smascherare le pratiche di greenwashing.

Sempre in campo finanziario, la nuova Glasgow Financial Alliance for Net Zero  (GFANZ) ha mobilitato la cifra record di 100mila miliardi di dollari per favorire la transizione energetica. La cifra dichiarata dalla coalizione della finanza mondiale, anche se benvenuta, è considerata in realtà da alcuni esperti “troppo elevata per essere credibile”. Una banca d’investimento, infatti, può teoricamente firmare questo impegno mentre continua ad avere un certo numero di investimenti che finanziano petrolio, gas e carbone, le principali fonti di emissioni di CO2.

Aiuti ai Paesi in via di sviluppo

I Programmi delle Nazioni Unite per lo Sviluppo e per l’Ambiente (Undp e Unep) e l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) hanno intanto deciso di aiutare i Paesi in via di sviluppo, particolarmente vulnerabili e spesso poco attrezzati di fronte agli impatti dei cambiamenti climatici, ad avvalersi di finanziamenti per creare sistemi di previsione e allerta meteo. Secondo l’Unep ciò “garantirà benefici tangibili in termini di vite salvate, di miglioramento della gestione delle catastrofi, di salvaguardia dei mezzi di sussistenza, di tutela della biodiversità, di accesso all’acqua e di crescita economica”.

Eu Cathalyst Partnership

Lanciato infine il progetto Eu Catalyst Partnership, da un miliardo di dollari, il cui obiettivo è di incoraggiare investimenti in tecnologie utili per la lotta ai cambiamenti climatici. Il piano si fonda sull’impegno del fondatore di Microsoft Bill Gates e della Banca europea degli investimenti. La presidente della Commissione di Bruxelles, Ursula von der Leyen, ha spiegato in tal senso che “è l’innovazione che traccia la strada, è ciò che vogliono i nostri cittadini e non li deluderemo”.

Due miliardi da Jeff Bezos

Durante i primi sette giorni della Cop26 di Glasgow, infine, si sono distinti gli impegni di alcuni filantropiJeff Bezos, fondatore del colosso Amazon, ha  promesso una donazione da 2 miliardi destinata alla bonifica di territori degradati in Africa. Ma intanto il suo jet atterrato a Glasgow in testa a una “flotta” di centinaia di aerei privati ha acceso l’ennesimo motivo di scontento da parte della società civile, che dalla Conferenza continua ad attendersi – quantomeno – gesti di basilare coerenza. 

La polemica: società civile fuori dalle porte

Tutte le decisioni sono state prese a porte chiuse, e qui si è giocata una delle più pesanti polemiche che hanno investito l’evento. Le regole dell’Unfccc, infatti, prevedono che gli osservatori della società civile possano assistere alle riunioni tra le parti, per monitorare i negoziati, agevolare il dialogo e porre i governi di fronte alle loro responsabilità. Alla Cop26 di Glasgow, invece, migliaia di esperti di associazioni e organizzazioni non governative hanno denunciato di essere stati lasciati letteralmente fuori dalle porte. La scelta sarebbe in totale contrasto con l’annuncio di Alok Sharma, che si era impegnato a rendere “inclusiva” la Cop26. Al contrario, Greta Thunberg ha parlato della “conferenza più esclusiva di sempre”. Secondo Teresa Anderson, di ActionAid,  “impedire alla società di civile di partecipare è qualcosa che rischia di comportare conseguenze gravi per le popolazioni che sono in prima linea di fronte agli impatti della crisi climatica”.

“Non c’è da meravigliarsi che oggi a Glasgow i bambini e i giovani stiano scioperando e manifestando per far sentire la loro voce dal momento che in molti pensano che le loro voci non siano state ascoltate. Se da un lato gli organizzatori della COP26 hanno riconosciuto rilevanza ai giovani con un’apposita giornata dedicata, è triste dover constatare che hanno predicato bene e razzolato male”, ha dichiarato Yolande Wright, Responsabile Povertà Minorile e Clima per Save the Children. “Per decenni i bambini sono stati esclusi e trascurati nel processo decisionale sulla crisi climatica. Nonostante le promesse che questa COP sarebbe stata la più inclusiva di sempre, secondo i giovani attivisti è stato l’esatto opposto. Quello che abbiamo visto questa settimana è che la COP26 è tutt’altro che un ambiente a misura di bambino.

La disillusione di Greta

“Due settimane di bla, bla, bla in cui si celebra il ‘business as usual'”: così la giovane attivista per il clima Greta Thunberg ha definito la Cop26 di Glasgow, al termine della marcia di protesta contro il verticle sul clima.

“Non possiamo risolvere la crisi con gli stessi metodi che ci hanno portato alla situazione attuale”, ha aggiunto Greta. “Cosa serve ai governanti per svegliarsi?I leader non stanno facendo nulla“, ha detto Greta rivolgendosi alla folla. “Sembra che il loro obiettivo principale sia continuare a lottare per lo status quo”, ha concluso Greta. “Ci siamo stancati del loro bla bla bla. I nostri leader non hanno leadership”. Al termine Greta ha ringraziato quanti hanno partecipato alla manifestazione e ha dato appuntamento a tutti, di nuovo, per domani.

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