Textile Management

Tessile e sostenibilità: la soluzione passa attraverso riciclo e riutilizzo di abiti dismessi

Con il ritmo veloce e dinamico imposto dalle mode che impoverisce la qualità degli indumenti immessi sul mercato, anche la filiera che si occupa del riuso e del riciclo della frazione tessile rischia di cadere nel baratro dell’effimero. Occorre una riorganizzazione complessiva del sistema di gestione del fine vita dei prodotti per ridurre il textile waste e un intervento corale da parte di tutti i consumatori da cui dipende il valore di ciò che viene immesso sul mercato

Pubblicato il 03 Mar 2021

shutterstock_1369442597

Verso un tessile più attento alla sostenibilità aziendale

Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), il comparto tessile occupa la poco invidiabile quarta posizione tra i settori che utilizzano più materie prime e acqua a livello globale, dopo l’industria alimentare, l’edilizia abitativa e i trasporti. Ancora peggio, la Ellen MacArthur Foundation (EMF) ha stimato che meno dell’1% di tutti i prodotti tessili nel mondo viene riciclato in nuovi capi di abbigliamento. Anche l’Italia non brilla nelle statistiche considerando che la raccolta della frazione tessile viene condotta su libera iniziativa delle amministrazioni comunali e recupera circa il 65%-68% dei materiali (fonte: Unicircular), di cui solo una parte si trasforma in nuovi prodotti.  

La circolarità è un trend in crescita nel mondo della moda (come dimostrano molte delle case history di circular fashion di cui abbiamo dato evidenza su questo portale), ma la strada verso la sostenibilità è ancora lunga e accidentata. Come funziona la raccolta differenziata della frazione tessile? Quali sono le sfide a cui va incontro la filiera? Si possono creare nuovi indumenti dalla lana rigenerata? E il tessuto scartato dalle grandi case di moda può essere riutilizzato? Sono questi i temi che hanno animato il CircularTalk organizzato da Economiacircolare.com “Green fashion: la moda italiana diventa sostenibile e circolare” che ha visto la partecipazione di Andrea Fluttero, presidente Conau – Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati; Giuseppe Allocca, fondatore Lofoio e Silvia Scaramuzza, dell’Ufficio Relazioni Istituzionali Progetto Quid. 

 

La seconda vita nel tessile: gli indumenti tra riuso e riciclo 

La gestione differente di rifiuto e dono nel tessile

E’ un articolato sistema di attori e di canali quello che si occupa della seconda vita degli abiti usati. Un sistema che in Italia è rappresentato da un lato dalla raccolta differenziata della frazione tessile, identificata dai codici CER (Codice Europeo del Rifiuto) 20.01.10 e 20.01.11, e che in pratica prevede il ritiro negli appositi contenitori: parliamo di rifiuti tessili da abbigliamento usato che, in base al decreto legislativo 152/2006, il cosiddetto Testo unico ambientale, dopo una fase di selezione possono finire nel canale del riuso, riciclo o smaltimento. Tuttavia, è possibile conferire una seconda vita agli indumenti usati anche tramite canali alternativi alla raccolta differenziata: l’art. 14 della legge 166 del 2016 promuove il conferimento presso associazioni a scopo benefico che si occupano di distribuirli a chi ne ha bisogno, abiti che quindi non sono considerati un rifiuto, bensì come dono. In base alla legge, nel caso del “dono” il soggetto che lo riceve presso la propria sede, e non tramite cassonetti su strada, deve adoperarsi per renderlo disponibile ai soggetti bisognosi e certo non farne commercio.

La filiera di raccolta del rifiuto tessile

La titolarità esclusiva della raccolta dei rifiuti urbani è affidata dalla legge ai Comuni, ai Consorzi di Comuni o, su delega di questi, ai soggetti gestori del servizio pubblico, i quali a loro volta affidano la raccolta di questa frazione di rifiuti urbani tramite gara ad evidenza pubblica ad un’impresa dotata delle necessarie autorizzazioni per gestire la raccolta. Tipicamente non pagano questo servizio in denaro, ma tramite la cessione del materiale raccolto che poi finisce in mano ad aziende chiamate selezionatori. Un passaggio del testimone che genera lavoro sia per le cooperative che svolgono la raccolta sia per le aziende che fanno la selezione. Una prima selezione definirà cosa verrà avviato a riuso, quindi a una successiva commercializzazione sul mercato, e cosa invece sarà destinato a attività di riciclo. La frazione scelta per il riuso è sottoposta a una seconda fase di selezione, dove gli operatori separano gli indumenti in base alla loro qualità con l’obiettivo di selezionare la frazione con maggior valore. Prima di finire sul mercato, il prodotto viene igienizzato per raggiungere gli standard definiti per legge. Parallelamente, il flusso di indumenti usati non adatti al riuso ma avviato a riciclo potrà trasformarsi in pezzame a uso industriale o per la produzione di nuovo tessuto o isolante acustico e termico, a seguito della rifilatura, cardatura e sfilacciamento delle fibre di cui è composto. 

Circa la metà di quanto raccolto viene comprato da aziende italiane, localizzate soprattutto in Campania, per la successiva selezione ed avvio al riuso e riciclo, tenendo conto che le stesse aziende si approvvigionano anche acquistando materiale da raccolte di altri Paesi. La restante metà delle raccolte italiane viene acquistata da aziende collocate in Nord Africa, in Est Europa ed in Asia, che le selezionano ed avviano al riuso e riciclo per soddisfare la domanda dei mercati di quelle aree geografiche. Dall’attività delle aziende italiane di selezione e valorizzazione si ottiene mediamente il 40% di prodotti da avviare al mercato dell’abbigliamento usato, circa il 50% di materiale da avviare alla trasformazione in pezzame industriale, imbottiture e materiali fonoassorbenti e circa il 10% di rifiuti veri e propri.

Tessile: i benefici della raccolta differenziata

L’attività di raccolta e valorizzazione della frazione tessile dei rifiuti urbani ha diverse ricadute positive:

  • Ambientale. Prolunga la vita di prodotti e materiali, riducendo il consumo di materie prime ed energia per produrne di nuovi. Riduce lo smaltimento in discarica e il recupero energetico con le conseguenti emissioni.
  • Economiche. I costi della raccolta sono ad oggi sostenuti grazie ai ricavi dell’attività e quindi non gravano sui cittadini; inoltre le pubbliche amministrazioni risparmiano i costi dello smaltimento di circa 130.000 tonnellate anno di rifiuti che ai prezzi attuali si possono stimare in circa 2,5 milioni di euro anno.
  • Sociali. Essendo un’attività, soprattutto per quanto riguarda la raccolta, svolta in gran parte da cooperative sociali che garantiscono l’inserimento di personale delle categorie svantaggiate. Complessivamente si stima che il settore crei in Italia oltre 1.000 posti di lavoro, senza considerare i benefici effetti occupazionali sull’indotto generato in altri Paesi.

Rifiuto tessile urbano: i limiti di filiera in vista delle direttive europee

Oggi, la raccolta differenziata del rifiuto tessile urbano è virtuosa dal punto di vista economico perché si autoalimenta e si autosostieneperò incontra anch’essa delle difficoltà che ne limitano le potenzialità. Come racconta Andrea Fluttero, Presidente CONAU (Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati), attualmente è svolta su libera iniziativa delle singole amministrazioni e genera circa 130.000 tonnellate l’anno: si è strutturata in maniera spontanea perché il materiale raccolto anni addietro aveva un valore significativo nella vendita ai selezionatori, un altro anello della catena dove si valuta cosa verrà avviato a riuso, quindi a una successiva commercializzazione sul mercato, e cosa invece sarà destinato a attività di riciclo. Tuttavia, entro il primo gennaio 2025, in tutta Europa la raccolta diventerà obbligatoria e in Italia in sede di recepimento del pacchetto di Direttive sull’Economia circolare (direttiva Ue 851/2018), questo obbligo scatterà ancora prima, dal primo gennaio 2022 

Avvicinandosi a questa data sono diverse le questioni che si sollevano. Innanzitutto, con l’avvento nell’ultimo decennio del fast fashion, è aumentata la quantità dell’immesso sul mercato (annualmente ogni cittadino europeo acquista quasi 30 kg di prodotti tessili) ma è calata la qualità. Questo significa che è aumentata la quantità di abbigliamento realizzato con fibre sintetiche il che si ripercuote sulla raccolta che si trova a gestire cassonetti impoveriti per quantità e qualità di riusabile. Dunque si fatica a sostenere i costi di personale, carburante per automezzi, cassonetti con quanto si ricava dalle raccolte. Occorrerà investire in ricerca per trovare tecnologie efficaci in grado di recuperare non tanto il filato quanto le materie prime secondarie. Con l’avvento della obbligatorietà aumenteranno molto i quantitativi raccolti in tutta Europa e quindi, per una normale legge di mercato, si assisterà ad un ulteriore crollo dei prezzi spuntati, se non addirittura una difficoltà a collocare le maggiori quantità raccolte sul mercato del riuso.

Inoltre, si andrà incontro alla necessità di definire delle regole a supporto del criterio della responsabilità estesa del produttore (ovvero la norma, sancita dalla direttiva 851/2018, che prevede che il produttore di un bene è responsabile anche alla fase post-consumo, ovvero della sua gestione una volta che il bene diventa un rifiuto). Si prevede che il cliente, per appropriarsi di un bene, oltre al prezzo da pagare che andrà a remunerare la filiera di produzione, pagherà anche un piccolo eco-contributo che verrà utilizzato dai produttori, normalmente in forma di consorzio, nella raccolta o in investimenti, per aumentare la capacità di riciclo che oggi è molto limitata 

Le sfide che l’Europa del tessile dovrà affrontare

Questa possibilità dovrà svilupparsi in parallelo all’ecoprogettazione: all’epoca della nascita dei cenciaioli, si lavoravano capi realizzati in fibre naturali, che oggi, per sostenere la richiesta del mercato, sono state rimpiazzate da fibre sintetiche o miscelate quindi di difficile riciclabilità o di non convenienza nella riciclabilità. L’Europa andrà quindi incontro alla sfida di ridurre il consumo di materie prime, la dispersione di microfibre quando si lava un capo sintetico, e all’impiego di tantissimi materiali chimici. 

Lo sforzo europeo è enorme e ha bisogno di tante singole esperienzema anche di una riorganizzazione complessiva del sistema e una consapevolezza da parte dei consumatori. “Non è possibile che si produca una quantità enorme di abbigliamento e prodotti tessili senza pensare alla gestione del fine vita di questi prodotti. Stiamo parlando di enormi quantità di materiali che non possono non essere governati. Non basterebbero decine e decine di esperienze e iniziative virtuose per risolvere la situazione. Occorre da un lato, una riorganizzazione complessiva del sistema attuabile solo con interventi governativi mirati e dall’altro, una totale trasparenza e chiarezza nei confronti dei cittadini. Che poi sono i consumatori che spingono chi produce e chi immette sul mercato a orientare diversamente i modelli di business” spiega Fluttero.

Inoltre, diversi studi suggeriscono che l’usato supererà il quantitativo del fast fashion. Ed è una previsione positiva perché avere capi di maggiore qualità che durano di più anche se poi si spostano su nuovi mercati è sicuramente meglio di continuare a sfornare prodotti di bassissima qualità, poco durevoli e con componenti chimiche pericolose.

Una lana riciclata è una lana non (più) vergine 

Questo è il motto di RILANA, la linea di accessori di moda invernali (sciarpe, cappelli, guanti) prodotti con lane rigenerate da Lofoio. Giuseppe e Sara Allocca sono i gemelli 27enni di Prato che hanno fondato, anzi, rifondato l’attività di famiglia con un gusto moderno e innovativo. Per ottenere i filati che poi lavora, Lofoio collabora con i cenciaioli, coloro che riciclano scarti tessili e indumenti usati (i “cenci” appunto) per riportarli a nuova vita. Un mestiere nato nel 1850 a Prato, prima ancora che le parole economia e circolare venissero messe insieme. Una tradizione ricca di passaggi precisi e accurati, di persone che con passione compiono il destino della nostra città, e del nostro pianeta. 

Gli accessori di maglieria diventano il frutto di filati interamente riciclati dal 2015. Un processo virtuosoil riciclo di scarti tessili, che non è stato mosso dagli stessi sentimenti che ci muovono oggi, la sostenibilità o l’amore per il nostro pianeta. Nel 1850 del cambiamento climatico non se ne parlava. I cenciaioli di Prato, i pionieri, si sono mossi per una motivazione che accomuna tutti i business, il quattrino. Risparmiare le materie prime era il loro obiettivo. Avevano bisogno di abbassare il prezzo della lana perché non potendo competere con chi ce l’aveva in casa. Difatti la presenza di parti riciclate nei filati veniva nascosta, o quanto meno non raccontata. Per Lofoio invece è un preziosissimo valore aggiunto: una tradizione antica che serve al mondo di oggi. 

“Il filato di cui siamo più orgogliosi è un cashmere totalmente riciclato. La composizione è al 98% cashmere e 2% altro. A volte plastica, a volte stima di un punto di domanda per cui non si sa veramente cosa ci va a finire dentro, oppure i cenciaioli partono da indumenti etichettati 100% cashmere e non è detto che lo siano” racconta Giuseppe Allocca.

Tessile e recupero: le rimanenze delle grandi case di moda per nuove collezioni etiche e sostenibili 

Un’altra realtà che crea valore dal riutilizzo di “scarti di tessuto” è Quid, un’impresa sociale veronese nata nel 2013 per favorire l‘inclusione lavorativa di categorie con trascorsi di fragilità, persone vulnerabili e soprattutto donne che hanno combattuto e superato situazioni difficili a livello personale o sociale. E come lo fa? Attraverso un sistema che spesso non sposa la sostenibilità e neanche l’etica, un’industria molto viva nel veronese, la moda. Ma la particolarità di questo progetto con l’etichetta “Progetto Quid” riguarda una filosofia che parte dai limiti del sistema moda, nello specifico dalle eccedenze di tessuti messe a disposizione dalle più prestigiose aziende di moda e del settore tessile per creare bellezza, capsule collection in cobranding e accessori.

Ogni anno Quid recupera tra i 200 e 300 km di tessuto per le sue collezioni di moda. Progetto Quid propone due linee: una linea più giovanile, fresca, originale, caratterizzata da capi femminili e da giocose stampe, e una linea più lineare, pulita, di facile abbinamento chiamata Essenza. Entrambe le linee vengono proposte in due collezioni principali, una per la stagione autunno/inverno e una per la primavera/estate, e arricchite da capsule natalizie o nate da collaborazioni con altri brand. 

Quid si rivolge a 24 distributori del Nord d’Italia che rappresentano il mondo della moda per dare valore a tutto quel tessuto rimasto inutilizzato, sulla base del quale si costruiscono poi collezioni moda nell’ottica di offrire un tessuto di buona qualità e durabilità. In questo modo, inverte il ciclo classico della moda che vede un designer ipotizzare e disegnare dei vestiti, decidere il tessuto migliore e avviare la produzione. “Siccome non abbiamo enormi quantità di tessuto da usare, lavoriamo sulle varianti. Ci manteniamo sulle 2 collezioni annue per far durare il prodotto e giochiamo sul gusto, mentre il modello rimane lo stesso. Questa è la nostra tecnica di recupero. Giocare con il gusto estetico e non con i modelli” spiega Silvia Scaramuzza, dell’Ufficio Relazioni Istituzionali Progetto Quid-

Una mascherina anti-Covid che rispetta l’ambiente 

Il Covid-19 non ha risparmiato il settore tessile e tantomeno il Quid. Nelle due settimane di lockdown, c’è stato un movimento intenso di pensiero e comunicazione. Essere a casa significava non garantire un’entrata sicura alle 142 persone da 16 paesi (85% sono donne) che lavorano in Quid magari con situazioni di disagio. E quindi anche per consentire continuità lavorativa ai propri dipendenti, l’impresa ha riconvertito parte della propria produzione per realizzare delle mascherine chirurgiche (chiamate Cover-up) in tessuto, e quindi lavabili, fino ad arrivare a un modello autorizzato dall’Istituto Superiore di Sanità. Un prodotto sicuro in un contesto in cui l’insicurezza regnava. Scaramuzza precisa “Tutto questo, l’abbiamo fatto mantenendo fede al nostro principio fondamentale di sostenibilità. Cover è lavabile fino a 15 volte e quindi riduce l’impatto ambientale in maniera significativa. E’ stata una piccola vittoria che ci ha permesso di ritornare gradualmente attivi. Abbiamo sospeso tutto il resto della produzione mantenendoci in vita in quel periodo. Certo, non l’abbiamo fatto soli, anche se siamo una media impresa. Abbiamo costituito una rete per far fronte ad una richiesta di produzione eccessiva con 10 e più cooperative sociali del Nord Italia abbiamo dato lavoro a persone oltre Quid stessa. Siamo poi tornati in produzione con le nostre collezioni”.

Immagine fornita da Shutterstock.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 5