Economia circolare

Sostenibilità ed etica nel settore della moda

La moda sostenibile ha come scopo quello di eliminare le conseguenze negative che impattano sull’ambiente mediante lo sviluppo di pratiche ecologiche per l’industria della moda. Non sempre, però, questo si traduce in comportamento etico

Pubblicato il 24 Feb 2021

moda sostenibile

I concetti di etica e sostenibilità sono sempre più sentiti nel settore della moda. Qual è però il loro significato? Rappresentano due concetti diversi, opposti? Non è facile dare una risposta a tali questioni. L’industria della moda può essere alle volte etica ma non sostenibile, e viceversa. Ad esempio, possiamo tutti condividere che la lotta contro la fame nel mondo ha un fondamento etico ma è anche innegabile che la soluzione a tale problema può comportare un impatto negativo sull’ambiente.

Analogamente, possiamo tutti condividere che la lotta alla povertà in favore della grande maggioranza della popolazione del mondo sviluppato, iniziata alla fine del diciannovesimo secolo, è stata una corretta scelta in termini etici. Tuttavia, essa ha comportato un importante incremento dell’inquinamento, a detrimento sia dell’ambiente sia delle popolazioni che vivono nelle regioni meno sviluppate del mondo.

Moda etica, moda sostenibile

In termini di principio, il concetto di moda etica prende in considerazione i numerosi lavoratori che si trovano dietro le quinte e che rendono l’industria della moda possibile. L’etica prevede cosa è ottimale per l’individuo e per la comunità alla quale l’individuo appartiene: l’etica, applicata all’industria si concentra pertanto prioritariamente sul trattamento delle persone in ogni fase della catena di approvvigionamento e successiva lavorazione. Questioni quali condizioni di lavoro eque e dignitose, orari di lavoro decenti e salari adeguati, rappresentano il significato di moda etica (senza volere considerare il tema degli animali coinvolti nel processo di produzione che è sempre più sentito da varie fasce dei consumatori).

D’altro canto, il concetto di moda sostenibile si riferisce maggiormente alla protezione e alla tutela dell’ambiente e sul possibile compromesso tra la possibilità per le generazioni attuali di soddisfare le proprie esigenze, senza compromettere la stessa possibilità alle generazioni a venire.

L’industria della moda produce il 10 per cento di anidride carbonica complessivamente emessa da tutta l’umanità e rappresenta il secondo consumatore al mondo delle riserve di acqua provocando l’inquinamento degli oceani con elementi tossici e materie sintetiche.

La moda sostenibile ha come scopo quello di eliminare le conseguenze negative che impattano sull’ambiente mediante lo sviluppo di pratiche ecologiche per l’industria della moda.

Vale la pena ricordare inoltre che il concetto di moda sostenibile è spesso accostato ad altre qualificazioni come “moda circolare”, “moda green“, “moda ecologica”, “moda a basso impatto ambientale”, così come l’aggettivo “biologico” è accostato ai vari prodotti di base utilizzati nel processo produttivo (cotone biologico ecc.) che possono tutti fare intendere che gli articoli di moda sono acquistati o prodotti utilizzando attività che non sfruttano troppe risorse, non inquinano, non danneggiano o compromettono l’ambiente ma generano invece benefici ambientali, sociali ed economici attraverso il riciclo, la rivendita o il riutilizzo.

Un nuovo concetto, la blue economy, è stato recentemente utilizzato per riferirsi all’uso sostenibile delle risorse oceaniche e acquatiche in senso ampio per la crescita economica, con il miglioramento dei mezzi di sussistenza e dei posti di lavoro tutelando l’ecosistema acquatico. In Kenya, ad esempio, sono presenti produttori che utilizzano sottoprodotti dell’itticoltura, quali la pelle di pesce per produrre indumenti e accessori, ad es. pochette di tilapia. Tali prodotti sono etichettati come “moda blu”.

Nello stesso tempo altri termini sono accostati alla moda etica, riferendosi alle condizioni di lavoro e ai salari dei lavoratori che producono capi e accessori. Il movimento Fashion Revolution è un movimento globale che mette in evidenza e promuove marchi di moda che offrono un ambiente di lavoro adeguato e salari equi per i lavoratori all’interno della catena della moda. Il concetto di etica è talvolta raggruppato con le etichette “moda del commercio etico”, “moda del commercio equo e solidale”.

moda sostenibile

Moda etica e sostenibilità, le problematiche

Nei paesi occidentali (e non solo) i contrasti e le conseguenze negative che lo sviluppo economico può causare sono sempre più evidenti non solo nel settore della moda, ma in tutti i campi dove è presente uno “sfruttamento economico” delle risorse (dal turismo all’agricoltura, dal settore automobilistico a quello dell’intrattenimento).

Non sorprendentemente, quindi, i concetti di etica e sostenibilità nella moda sono sempre più considerati dagli operatori e dai consumatori del settore.

Tradizionalmente, le questioni etiche riguardano le condizioni dei lavoratori, dalla sicurezza sul lavoro al carico di lavoro, oltre che il genere, l’età e la discriminazione razziale. Tali interessi sono considerati sia a livello regionale sia globale, sebbene con diversi gradi di attenzione.

La tragedia di Rana Plaza in Bangladesh, dove hanno perso la vita più di 1.100 lavoratori nel 2013, è ampiamente menzionata nei dibattiti sindacali per garantire migliori condizioni lavorative. In questo periodo, a causa della pandemia da Covid.19, l’opinione pubblica sta esprimendo un rinnovato interesse a livello globale sulla necessità di garantire la sicurezza dei lavoratori. Molti dibattiti hanno un focus sulle possibilità di implementare le tecnologie quali la blockchain al fine di garantire la tracciabilità dei prodotti lungo l’intera filiera, al fine di evitare lo sfruttamento dei lavoratori, con una speciale attenzione a donne e minori e garantire condizioni di lavoro dignitose.

Spostandoci sul concetto di sostenibilità, l’industria della moda è parte di un sistema che richiede sempre maggiori consumi. Questo è un tema specialmente caro alle giovani generazioni.

Concetti quali “share economy” e “slow fashion” sono ben conosciuti dalla maggioranza della popolazione, almeno da chi si interessa nell’analisi economica del fenomeno. “Zero rifiuti” e il riciclo degli stessi sono divenuti concetti dominanti e sono affiancati da quello di slow fashion, laddove le giovani generazioni, specialmente nel Nord Europa, abbracciano un nuovo modello di produzione e un maggior coscienzioso livello di consumi. Tra gli stilisti, un’icona della moda quale Giorgio Armani ha accusato il modello di “fast fashion” come contrario all’etica in una lettera aperta pubblicata da “Women’s Wear Daily”.

Questa crescente consapevolezza è anche supportata da nuove dinamiche, spesso sostenute da misure legislative, verso un sistema di economia circolare e, nel nostro caso, di moda circolare.

Questi nuovi orientamenti sono benvenuti ovviamente, sebbene alcuni dubbi possano essere sollevati rispetto alla genuinità delle intenzioni degli operatori della moda. Infatti, come alcuni concetti quali moda circolare, moda etica e moda sostenibile proliferano, altri termini con connotazioni scettiche come “green washing” vengono introdotti (anche l’Unione Europea ha sollevato dubbi proprio recentemente sulla mancanza di evidenze sulla sostenibilità ecologica affermata da molte aziende – vedi report del 28 gennaio 2021).

A prescindere dalla genuinità delle intenzioni, è comunque chiaro che i concetti di etica e sostenibilità sono spesso usati dagli operatori della moda senza una piena consapevolezza e rappresentazione dei reali principi sottesi ed effettivamente applicati.

I consumatori non sono inoltre posti in condizione di valutare se un prodotto sia qualificabile come etico o sostenibile né di effettuare comparazioni.

Ad esempio, consideriamo un prodotto che coinvolge il lavoro di comunità locali che sono pagate adeguatamente ma che presenta un importante negativo impatto sull’ambiente, causando un forte inquinamento per le attività di packaging (con elevato consumo di plastiche) e trasporto. Può essere considerato come sostenibile tale prodotto?

Se la produzione di un tessuto sottrae un quantitativo smodato di risorse idriche che potrebbe essere usato in agricoltura in modo efficace per contrastare la fame, tale prodotto è ancora etico? E cosa poi dire e pensare dei casi in cui notevoli somme di denaro sono spese, da soggetti pubblici (soprattutto) e privati, per la individuazione di nuovi materiali, i relativi trasporti, le consulenze degli esperti e tali somme sono maggiori dei soldi effettivamente ricevuti dai lavoratori e i produttori delle materie prime o lavorate? Il parziale riciclo di materiale plastico per prodotti che non sono a loro volta riciclabili, è positivo? O invece è da considerarsi negativo per il messaggio errato che offre facendo considerare la plastica sempre riciclabile senza limiti?

Alcune volte la percezione è che etica e sostenibilità siano soltanto una sorta di nuovi pretesti per comportarsi in modo gattopardiano. Questa affermazione non si applica, ovviamente, a tutte le circostanze, ma di sicuro dovrebbero essere fornite spiegazioni chiare per consentire ai consumatori di avere un’idea più chiara e operare scelte coscienti. Lo stesso accade nell’industria alimentare dove, alle volte, l’etichetta del prodotto indica ciò che non è stato utilizzato nella sua produzione (“non contiene”) ma non indica ciò che il prodotto contiene realmente.

In altre parole, considerando l’ampio significato che può avere la moda etica e sostenibile, i produttori dovrebbero spiegare ciò che hanno considerato come prioritario nella produzione e ciò che non hanno preso in considerazione, in modo che i consumatori possano giudicare autonomamente se un prodotto dall’industria della moda sia etico o sostenibile.

Conclusioni

Si va quindi verso la necessità di creare scale di priorità e di sensibilizzare i consumatori sul tipo di scelte che ogni marchio ha applicato nell’implementazione dei principi di moda etica e sostenibile.

I consumatori stanno diventando sempre più consapevoli della loro influenza mediante il proprio potere d’acquisto. Le abitudini di spesa sono ora guidate da elevati standard di tutela della salute e dell’ambiente, nonché dalla considerazione per il benessere altrui. Ciò ha portato alla cultura della consapevolezza e del cambiamento nella moda prevedendo misure etiche e sostenibili. La scelta di quale politica sia prioritaria dipenderà in larga misura dalla posizione occupata dall’azienda nella catena del valore della moda.

Ad esempio: i produttori di tessuti potranno concentrarsi sull’uso di tessuti sostenibili acquistando fibre biologiche o naturali, quali cotone, seta, lana, canapa, bambù, lino anziché fibre sintetiche a base di petrolio come amianto, rayon, poliestere, spandex e nylon. L’uso di coloranti naturali o tecniche di tintura a secco o processi di concia vegetale, che non prevedono l’uso di sostanze chimiche aggressive quali il cromo, alla fine consentirà alla stessa pelle usata per il prodotto di diventare biodegradabile, così come l’uso di tecniche di biomimetica come la creazione di prodotti simili alla pelle attraverso l’utilizzo dei rifiuti della raccolta della soia, funghi, ananas e foglie.

Altre considerazioni riguardano invece la fase di ideazione e produzione degli indumenti, i produttori di abbigliamento potrebbero eliminare gli scarti progettando modelli a zero rifiuti o utilizzando poi anche gli scarti di tessuti. I designer potrebbero anche creare capi di alta qualità più classici, che non siano stagionali o che non dipendano dalle tendenze del momento e che quindi siano “senza tempo”; sia i designer sia i produttori di abbigliamento potrebbero implementare un modello di produzione snella e realizzare capi su espressa ordinazione, quindi venderli direttamente al consumatore al fine di ridurre la possibilità di giacenze morte o magazzino non utilizzato. Si potrebbe anche istituire un programma di post-vendita per la cura e la riparazione dei capi per incoraggiarne un uso prolungato.

Sull’altro fronte, anche i consumatori possono contribuire alla sostenibilità e alla moda circolare, riciclando vecchi capi di abbigliamento per produrre nuovi articoli. Possono anche creare “armadi capsula” che sono collezioni di abbigliamento essenziali, che possano essere utilizzate in diverse stagioni al fine di evitare le tendenze della fast fashion.

Queste sono soltanto alcune delle idee applicabili al settore.

Una nuova consapevolezza delle questioni ambientali ed etiche relative all’industria della moda e all’impatto che essa ha sulle comunità e sull’ambiente, contribuirà sicuramente a individuare soluzioni giuste e appropriate, spiegando come ogni problema è stato affrontato e risolto in modo che i concetti di etica e sostenibilità possano essere maggiormente concreti e fondati su efficacia e trasparenza.

Considerando inoltre che a volte i vari principi di sostenibilità possono applicarsi in modo diverso e con priorità diverse, in base alla diversa sensibilità dei produttori e dei consumatori, potremmo ben avere diversi modelli di moda etica e diversi modelli di moda sostenibile, ognuno incentrato sui propri obiettivi specifici. Per motivi di trasparenza e di best practice, si dovrebbe raccomandare a coloro che si autodefiniscono etici o sostenibili di fornire informazioni complete su come inquinano, impiegano e proteggono i propri dipendenti o subappaltatori, garantiscono l’uguaglianza di genere e l’inclusione delle comunità locali.

(traduzione e sunto dall’originale in inglese)

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Mario Di Giulio
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Sarah Ochwada

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