Il cemento è alla base dello sviluppo urbano e infrastrutturale, ma rappresenta anche una delle industrie più inquinanti e difficili da decarbonizzare. Si dice che se l’industria del cemento fosse un Paese, sarebbe il terzo o il quarto maggiore emettitore di anidride carbonica al mondo: la produzione mondiale di cemento è infatti responsabile di circa l’8% delle emissioni totali di CO₂. Un dato che è destinato ad aumentare con l’urbanizzazione della società umana e la crescita della domanda di infrastrutture. Queste previsioni impongono un cambio di passo radicale, soprattutto in un contesto in cui i criteri ESG sono diventati centrali per investitori, istituzioni e imprese. La decarbonizzazione del cemento non è soltanto una questione ambientale: è un tema strategico per la competitività del settore, per l’attrazione di capitali “green” e per la conformità agli obiettivi del Green Deal europeo. A tal fine, le nuove tecnologie digitali e l’innovazione dei processi produttivi possono giocare un ruolo decisivo.
Cemento e sostenibilità: il paradosso di un materiale indispensabile
Il cemento è alla base di case, ponti, scuole, ospedali e infrastrutture critiche. Ma la sua produzione ha un impatto ambientale enorme, dovuto in parte ai processi chimici di trasformazione del calcare in clinker e in parte all’enorme quantità di energia necessaria per alimentare i forni.
Non sorprende quindi che il settore sia considerato parte degli “hard-to-abate”: ridurre drasticamente le sue emissioni è più complicato rispetto ad altri comparti industriali, e richiede innovazioni radicali.
La pressione ESG e il nuovo contesto di mercato
Investitori, istituzioni e consumatori chiedono oggi molto di più che cemento a basso costo: vogliono trasparenza e un impegno reale verso la sostenibilità. La reputazione ESG è diventata un asset competitivo, e chi saprà posizionarsi come pioniere della transizione verde avrà un vantaggio nel medio e lungo termine. Per i produttori, questo significa non solo ridurre le emissioni, ma anche garantire tracciabilità delle materie prime, uso responsabile delle risorse naturali e comunicazione chiara degli obiettivi di riduzione della CO₂.
La decarbonizzazione del cemento non è solo una sfida ambientale. È un tema che intreccia economia, governance e innovazione digitale, con ricadute dirette sugli investimenti ESG, sulla competitività del settore e sull’attrattività di capitali green. E non riguarda soltanto i produttori: tocca l’intera filiera delle costruzioni, dall’edilizia residenziale alle grandi infrastrutture, fino agli appalti pubblici.
Che cosa significa decarbonizzazione del cemento
Cosa implica la decarbonizzazione
Con decarbonizzazione del cemento si intende l’insieme di strategie e tecnologie pensate per ridurre – fino ad azzerare – le emissioni di CO₂ legate all’intero ciclo di vita di questo materiale. Non si tratta solo di modificare il processo produttivo, ma di ripensare l’intera filiera:
- Estrazione delle materie prime → minimizzare gli impatti legati a cave e trasporto.
- Produzione del clinker → la fase più critica, dove avviene la trasformazione del calcare e si liberano enormi quantità di anidride carbonica.
- Combustione nei forni → sostituire carbone e gas con combustibili alternativi e fonti rinnovabili.
- Trasporto e logistica → riduzione delle emissioni indirette legate alla distribuzione.
- Uso e fine vita → valorizzare il potenziale di assorbimento di CO₂ dei materiali cementizi e promuovere il riciclo.
In questo senso, la decarbonizzazione implica una trasformazione sistemica che chiama in causa i temi della economia circolare, della innovazione digitale e nuove forme di energia.
Perché il cemento è un settore “hard-to-abate”
L’espressione hard-to-abate (letteralmente “difficile da abbattere”) indica quei settori industriali in cui la riduzione delle emissioni è particolarmente complessa per motivi tecnologici, economici e strutturali. Il cemento è uno degli esempi più emblematici, per tre ragioni principali:
- Emissioni intrinseche e inevitabili (per ora)
La produzione del clinker, il “cuore” del cemento, libera CO₂ direttamente dal processo chimico: la calcinazione del carbonato di calcio (CaCO₃) produce ossido di calcio (CaO) e anidride carbonica. Questa reazione è responsabile di circa il 60% delle emissioni del settore, indipendentemente dalla fonte energetica utilizzata. - Elevato fabbisogno energetico
I forni per produrre cemento lavorano a temperature di circa 1.450 °C. Per raggiungere questi livelli servono grandi quantità di energia, storicamente fornita da combustibili fossili. Elettrificare completamente questi processi non è ancora tecnicamente ed economicamente praticabile su larga scala. - Domanda crescente e infrastrutture esistenti
La domanda globale di cemento continua ad aumentare, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Questo rende difficile bilanciare le emissioni con soluzioni alternative. Inoltre, gli impianti esistenti hanno una vita utile lunga: sostituirli o riconvertirli richiede decenni e investimenti ingenti.
Decarbonizzare il cemento significa intervenire su un settore ad altissima intensità di CO₂ e strutturalmente difficile da trasformare. È una sfida che richiede tempo, capitali e innovazione, ma che può diventare una delle leve più decisive per il raggiungimento degli obiettivi climatici globali.
Le strade verso la decarbonizzazione del cemento
Materiali alternativi e nuove formulazioni
Una delle leve più promettenti è la riduzione del rapporto clinker-cemento, il che significa sostituire parzialmente il clinker con materiali alternativi o supplementary cementitious materials, SCM, come ceneri volanti, scorie o argille calcinata. Il risultato è un cemento “più leggero” in termini di CO₂, ma con la stessa resistenza e durabilità.
L’alternativa è impiegare cementi a basso contenuto di clinker, che mantengono le prestazioni meccaniche ma hanno un impatto ambientale minore.
Combustibili alternativi e recupero energetico
Le cementerie stanno sperimentando l’uso di combustibili alternativi – dalle biomasse ai rifiuti trattati – per sostituire carbone e gas. Allo stesso tempo, cresce il recupero di calore dai processi produttivi e l’adozione di sistemi di efficienza energetica.
CCS, idrogeno e tecnologie emergenti
La vera partita, tuttavia, si giocherà sulle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO₂ (CCS), sui forni alimentati a idrogeno verde e sull’elettrificazione dei processi. Soluzioni che oggi sono costose e in fase sperimentale, ma che possono diventare mainstream entro il 2040 con il giusto supporto normativo e finanziario.
Innovazione digitale: il “gemello invisibile” delle cementerie
Oltre alle innovazioni “hard tech” (come CCS o l’uso di idrogeno), il settore può beneficiare di strumenti digitali:
- Digital twin per simulare e ottimizzare i processi industriali, riducendo sprechi ed emissioni.
- Sistemi IoT per monitorare in tempo reale consumi, performance e impronta di carbonio delle cementerie.
- Analisi predittiva basata sull’intelligenza artificiale per individuare inefficienze e prevedere le esigenze di manutenzione.
L’integrazione della blockchain nella filiera del cemento può garantire trasparenza nella tracciabilità delle materie prime e certificare il contenuto di CO₂ di ogni lotto di prodotto, un dato sempre più rilevante per clienti e appalti pubblici.
Finanza sostenibile e politiche pubbliche: chi paga la transizione?
La decarbonizzazione del cemento richiede miliardi di euro di investimenti. Una cifra che nessun player può affrontare da solo. Qui entrano in gioco la finanza sostenibile e le politiche pubbliche.
Da un lato, sempre più fondi ESG guardano al settore come a un terreno fertile per l’innovazione. Dall’altro, i governi sono chiamati a generare incentivi, schemi di sostegno per il CCS e normative che valorizzino i cementi a ridotto impatto ambientale. In questo modo, le imprese potranno mantenere la competitività anche in un mercato internazionale dove la sostenibilità diventa requisito, non optional.
Una sfida che è anche un’opportunità
La decarbonizzazione del cemento non è un costo da sostenere, ma un investimento sul futuro. È la chiave per ridurre le emissioni globali, migliorare la qualità dell’aria, attrarre capitali internazionali e garantire un’industria più resiliente e innovativa.
Chi riuscirà a coniugare sostenibilità ambientale, solidità economica e innovazione digitale potrà trasformare un settore tradizionalmente visto come “pesante” in un simbolo della transizione ecologica.
Perché il cemento di domani non sarà soltanto più sostenibile: sarà la base materiale su cui costruire città più vivibili, resilienti e inclusive.
La sfida della decarbonizzazione non riguarda solo l’ambiente:
- Rappresenta un driver di innovazione per tutta la filiera delle costruzioni.
- Può attrarre nuovi investimenti ESG, rafforzando la resilienza delle aziende.
- Genera valore reputazionale: sempre più clienti e istituzioni scelgono partner con strategie climatiche concrete
Decarbonizzazione cemento: quali obiettivi e strategie
Obiettivi nazionali ed europei
La produzione di cemento rientra a pieno titolo negli impegni presi dall’Europa con il Green Deal e con il pacchetto “Fit for 55”, che mira a ridurre del 55% le emissioni entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Per l’Italia, questo si traduce in una roadmap precisa:
- 2030 → taglio consistente delle emissioni grazie a un mix di combustibili alternativi, riduzione del contenuto di clinker e miglioramento dell’efficienza energetica degli impianti.
- 2040 → implementazione su larga scala delle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO₂ (CCS/CCU), elettrificazione dei processi industriali e uso diffuso di idrogeno verde come combustibile.
- 2050 → raggiungimento della neutralità climatica del settore, con la produzione di cementi “net zero” come standard industriale.
A differenza di altri comparti industriali, quello del cemento è considerato strategico: la sua decarbonizzazione è quindi parte integrante della Strategia Italiana di lungo termine per la riduzione delle emissioni e dei piani nazionali di investimento in innovazione e transizione ecologica.
La strategia italiana
Per tradurre gli obiettivi in realtà, l’Italia sta già muovendo i primi passi con una serie di azioni coordinate, sostenute anche dalle associazioni di categoria come Federbeton:
- Riduzione del clinker
- Obiettivo: abbassare progressivamente il rapporto clinker-cemento attraverso l’uso di materiali alternativi (scorie, ceneri volanti, argille calcinata).
- Risultato atteso: meno CO₂ emessa durante la fase chimica del processo.
- Adozione di combustibili alternativi
- Sostituzione del carbone con CSS (combustibili solidi secondari), biomasse e rifiuti trattati.
- In Italia il livello di sostituzione è ancora inferiore alla media UE, ma i progetti in corso puntano a colmare il gap nei prossimi anni.
- Efficienza energetica e digitalizzazione
- Ottimizzazione dei forni e recupero del calore di processo.
- Introduzione di sistemi di monitoraggio digitale e intelligenza artificiale per ridurre consumi ed emissioni.
- CCS e CCU come leve decisive
- Sono in fase di sviluppo diversi progetti pilota, come CLEANKER a Vernasca (Buzzi Unicem) e l’iniziativa di Heidelberg Materials a Rezzato-Mazzano.
- L’Italia mira a diventare uno dei Paesi europei pionieri nella cattura e utilizzo della CO₂ per il settore cemento.
Decarbonizzazione del cemento in Italia
Investimenti e costi della transizione
Secondo Federbeton, la Federazione di Confindustria che rappresenta la filiera del cemento e del calcestruzzo, la decarbonizzazione della filiera richiederà circa 5 miliardi di euro di investimenti entro il 2050, oltre a un aumento dei costi operativi per l’industria di circa 1 miliardo all’anno.
È una cifra imponente che dimostra la necessità di un fortissimo sostegno sia della finanza privata – sempre più orientata a criteri ESG – sia delle politiche pubbliche, attraverso incentivi e strumenti regolatori adeguati. A tal proposito gli esperti sottolineano un punto cruciale: senza un quadro normativo chiaro e senza sostegno agli investimenti, il rischio è che il settore perda competitività e che parte della produzione venga delocalizzata in Paesi con regole meno stringenti.
Il nodo della competitività dell’industria
«Il cemento è un materiale strategico per l’Italia, essenziale per lo sviluppo del Paese, per la realizzazione di infrastrutture sicure, edifici sostenibili e strutture alla transizione energetica, come impianti eolici e fotovoltaici. Tuttavia, gli interventi che stiamo attuando per abbattere le emissioni di CO2 e combattere il cambiamento climatico non devono impattare sulla competitività dell’industria italiana, oggi messa a rischio dalla concorrenza delle produzioni extra-UE, che non condividono le stesse ambizioni ambientali e i relativi investimenti. Con la nuova strategia di decarbonizzazione confermiamo la volontà di investire in innovazione e sostenibilità, ma chiediamo che alle imprese italiane sia garantito un quadro normativo chiaro e stabile, affinché il settore possa competere ad armi pari con i produttori internazionali e continuare a generare valore per il Paese» dichiara Stefano Gallini, Presidente di Federbeton.
L’Italia si trova davanti a una sfida complessa: conciliare il bisogno di infrastrutture e crescita con gli impegni ambientali. Ma proprio questa difficoltà può trasformarsi in opportunità: innovare il settore cemento significa non solo ridurre le emissioni, ma anche attrarre investimenti green, rafforzare la filiera industriale e posizionare il Paese tra i leader europei della transizione.
Tecnologie e leve strategiche
Secondo Federbeton la cattura e stoccaggio della CO₂ rappresenta la leva più immediata per ridurre le emissioni, affiancata da interventi di autoproduzione energetica da fonti rinnovabili e digitalizzazione degli impianti.
Un impegno, quello assunto dall’industria del cemento, che però deve andare di pari passo con la definizione di un contesto normativo, economico e culturale favorevole che consenta alle imprese di attuare queste misure. Federbeton prosegue il confronto con le istituzioni per definire il percorso verso il 2050, una sfida non solo tecnologica ma anche sociale ed economica, che può diventare un volano di sostenibilità e competitività per il comparto delle costruzioni italiane.
«Sul cemento si basa l’industria delle costruzioni e delle infrastrutture, settori trainanti per l’economia nazionale. Per questo la semplificazione dell’utilizzo del CSS (combustibile secondario prodotto dai rifiuti raccolti e non convogliabili in altre filiere di riciclo e/o valorizzazione) nel processo produttivo del cemento è un obiettivo importante che il governo sta perseguendo» ha aggiunto l’On. Massimo Milani.
Ruolo delle istituzioni e quadro normativo
L’industria chiede di evitare ritardi nell’applicazione del CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), che deve includere al 100% anche le emissioni indirette, e di introdurre controlli doganali efficaci come già avviene in altri Paesi europei. Centrale anche la richiesta di premialità nei bandi pubblici per favorire materiali a basse emissioni, in linea con i criteri della tassonomia europea, e di valorizzare la provenienza europea fino alla piena applicazione del CBAM.
Dal punto di vista regolatorio, Federbeton sollecita un quadro chiaro e semplificato, con iter autorizzativi omogenei a livello nazionale per l’uso di combustibili alternativi, indicazioni chiare per l’applicazione del DL Semplificazioni 77/2021 e tempi di autorizzazione più rapidi per l’autoconsumo di energia rinnovabile.
Quali benefici dalla decarbonizzazione del cemento
La decarbonizzazione del cemento non è soltanto una risposta alle esigenze climatiche globali, ma rappresenta un fattore di innovazione, competitività e sviluppo sostenibile. I benefici si distribuiscono su più piani.
1. Benefici ambientali
- Riduzione delle emissioni di CO₂ → ogni tonnellata di clinker sostituita o ogni sistema CCS attivo contribuisce a tagliare emissioni oggi inevitabili.
- Qualità dell’aria e salute pubblica → meno combustibili fossili significa anche riduzione di polveri sottili e inquinanti locali, con impatti positivi sulla salute delle comunità vicine agli impianti.
- Economia circolare → l’uso di materiali riciclati e sottoprodotti industriali riduce il fabbisogno di nuove cave, tutelando suolo e biodiversità.
2. Benefici economici e industriali
- Maggior efficienza → gli impianti digitalizzati e ottimizzati consumano meno energia e riducono i costi di produzione sul lungo periodo.
- Nuovi mercati e opportunità → il cemento “low carbon” o “net zero” diventa un prodotto competitivo per le costruzioni sostenibili, richiesto da architetti, imprese e committenti pubblici.
- Accesso a capitali verdi → le imprese impegnate nella transizione attraggono investimenti ESG e possono accedere a fondi europei e strumenti finanziari dedicati alla sostenibilità.
- Resilienza normativa → anticipare i target climatici riduce il rischio di sanzioni o costi futuri legati a tasse sul carbonio.
3. Benefici sociali e reputazionali
- Nuovi posti di lavoro qualificati → ingegneri, tecnici specializzati in CCS, esperti digitali: la transizione crea occupazione ad alto valore aggiunto.
- Accettazione sociale e “licenza di operare” → un settore percepito come sostenibile guadagna consenso nelle comunità locali e legittimità istituzionale.
- Reputazione internazionale → l’Italia può posizionarsi come leader europeo nella decarbonizzazione del cemento, rafforzando la competitività della sua filiera.
La decarbonizzazione del cemento non è solo un costo, ma un investimento che genera ritorni ambientali, economici e sociali. È la chiave per trasformare un settore “hard-to-abate” in un modello di innovazione sostenibile.
Decarbonizzazione del cemento: sfide, costi e ostacoli
La decarbonizzazione del cemento è una trasformazione che si scontra con barriere tecnologiche, economiche, normative e sociali. Vediamo nel dettaglio le principali criticità.
1. Costi economici e finanziari
- Investimenti iniziali enormi → modificare i forni, implementare sistemi CCS, elettrificare i processi e introdurre nuove materie prime richiede miliardi di euro. Federbeton stima oltre 5 miliardi entro il 2050 solo per l’Italia.
- Aumento dei costi operativi → combustibili alternativi, manutenzione di impianti avanzati e gestione della CO₂ catturata comportano spese aggiuntive, almeno nelle fasi iniziali.
- Accesso ai capitali → senza strumenti finanziari adeguati, il rischio è che le PMI della filiera restino escluse dalla transizione, con conseguenze sulla competitività complessiva.
2. Sfide tecnologiche
- Tecnologie immature → CCS e idrogeno sono promettenti, ma ancora costosi e non pienamente scalabili. Gli impianti pilota devono diventare standard industriali.
- Infrastrutture mancanti → la cattura della CO₂ richiede reti di trasporto e siti di stoccaggio sicuri, oggi poco sviluppati in Italia.
- Disponibilità di materie prime alternative → scorie, ceneri e altre SCM non sono illimitate; servono nuove fonti sostenibili e un sistema efficiente di riciclo.
3. Normative e quadro regolatorio
- Incertezza legislativa → senza regole chiare e stabili, le imprese rischiano di frenare gli investimenti.
- Competitività internazionale → se l’Europa impone standard più stringenti ma altri Paesi no, il rischio è di “carbon leakage”: cioè delocalizzare la produzione in aree meno regolamentate.
- Necessità di incentivi → sgravi fiscali, crediti di carbonio, fondi europei: strumenti essenziali per sostenere le imprese nei costi della transizione.
4. Sfide sociali e culturali
- Accettazione pubblica → l’uso di rifiuti come combustibili alternativi spesso incontra opposizione locale, nonostante i controlli ambientali.
- Competenze e formazione → il settore richiede nuove professionalità in ingegneria chimica, digitale e gestione ambientale. La carenza di competenze può rallentare la trasformazione.
- Percezione del prodotto → bisogna convincere progettisti, imprese edili e committenti che il “cemento verde” è affidabile quanto quello tradizionale, garantendo resistenza e durabilità.
La decarbonizzazione del cemento impone un equilibrio delicato tra innovazione, sostenibilità e realismo economico. Non basta avere la tecnologia: servono finanziamenti, regole chiare, consenso sociale e collaborazione lungo tutta la filiera.