Si potrebbe considerare una sporta di effetto greenhushing, ovvero della scelta, in questo caso ponderata, di effettuare azioni e per la precisione investimenti in sostenibilità senza darne troppa visibilità. Un atteggiamento che EcoVadis, nel suo studio “2025 U.S. Business Sustainability Landscape Outlook: Executive Perspectives on Supply Chain Disruption, Resilience and Competitiveness” sull’andamento degli investimenti sostenibili negli Stati Uniti sintetizza significativamente in un dato: l’87% delle aziende statunitensi aumenta silenziosamente gli investimenti in sostenibilità, nonostante i dubbi sull’evoluzione della normativa e l’incertezza generale che caratterizza questi temi in questo periodo.
Investimenti in sostenibilità: un vantaggio strategico nonostante il greehushing
Concretamente le aziende statunitensi stanno silenziosamente raddoppiando il loro impegno verso la sostenibilità. Lo studio di EcoVadis, basato sulle opinioni di 400 dirigenti statunitensi di aziende con ricavi superiori al miliardo di dollari nei settori consumer, industria, tecnologia e servizi, sottolinea che l’incremento degli investimenti in iniziative sostenibili nell’ultimo anno è spesso sottaciuto pubblicamente e per certi aspetti riflette una visione strategica che vede la sostenibilità non come un asset di comunicazione, ma come un motore di competitività e resilienza.
Aumentare gli investimenti ins ostenibilità e ridurre la comunicazione pubblica
Il report di EcoVadis evidenzia un fenomeno di “greenhushing” in crescita: quasi un terzo (31%) dei dirigenti ammette di aumentare gli investimenti in sostenibilità pur riducendo la comunicazione pubblica al riguardo. Un ulteriore 8% ha smesso del tutto di parlare dei propri impegni, pur continuando a investire secondo i piani. Questa discrezione non implica un disinteresse, ma piuttosto una strategia volta a privilegiare l’azione concreta rispetto alla narrativa esterna. Solo una piccola minoranza, il 7%, ha effettivamente ridotto gli sforzi, mentre il 6% si limita alla conformità normativa essenziale.
I vantaggi della sostenibilità lungo la supply chain
La ragione di questo impegno è chiara per i vertici aziendali: il 65% degli intervistati percepisce la sostenibilità della supply chain come un chiaro vantaggio competitivo. Questo si traduce in diversi benefici tangibili, quali la gestione dei rischi, la riduzione dei rischi, una maggiore resilienza operativa, il rafforzamento del brand, migliori performance della catena di fornitura e significativi risparmi sui costi.
Si conferma la convinzione che la sostenibilità aiuta ad attrarre e fidelizzare i clienti
Inoltre, il 62% dei dirigenti concorda sul fatto che la sostenibilità contribuisca in modo cruciale ad attrarre e fidelizzare i clienti. Persino tra i responsabili finanziari, il 52% riconosce la sostenibilità come un vero e proprio motore di crescita. Pierre-François Thaler, co-fondatore e co-CEO di EcoVadis, sottolinea in una nota emessa dall’azienda che “la sostenibilità è ciò che mantiene operative le catene di fornitura e fidelizza i clienti“.
Navigare l’incertezza normativa
Nonostante l’impegno interno, il contesto normativo presenta delle sfide considerando l’evoluzione della normativa ESG e gli scenari del Pacchetto Omnibus UE. Quasi la metà (47%) degli executive C-level teme che un eventuale arretramento delle regolamentazioni ESG possa paradossalmente aumentare le interruzioni della supply chain. C’è inoltre la preoccupazione che tale disimpegno normativo possa compromettere la qualità dei dati ESG (35%), minando la responsabilità aziendale e i risultati in materia di sostenibilità. Un’allarmante percentuale del 59% prevede anche un aumento delle pratiche lavorative scorrette e del maltrattamento dei lavoratori.
Le difficoltà di conformità e il loro impatto sugli investimenti in sostenibilità
Questa incertezza si riflette anche nelle difficoltà di conformità: solo il 13% delle aziende è attualmente in regola con le scadenze di quattro normative chiave come la CSRD e il CBAM dell’UE, la SB-253 della California e il Modern Slavery Act del Canada. Fino al 19% delle aziende coinvolte non ha ancora iniziato a raccogliere i dati ESG necessari dalla propria supply chain, e una percentuale significativa (fino al 15%) adotta un atteggiamento di attesa, sperando in uno slittamento delle scadenze normative. (Da leggere a questo proposito anche gli articoli su Audit sociali e su Corporate Governance e Accountability)
La tecnologia come punto di riferimento nella gestione dei dati ESG
L’altra dimensione di questo atteggiamento arriva dalle aziende che stanno accelerando gli investimenti in tecnologia per colmare i gap nei dati. Un terzo dei dirigenti (33%) ammette di aver in passato riportato consapevolmente dati ESG basati su stime, a volte imprecisi, per ragioni di conformità, marketing o pressione degli investitori. Tuttavia, la maggior parte sta ora investendo attivamente per ottenere dati più accurati e affidabili.
L’importanza delle piattaforma per la mappatura dei rischi
Gli strumenti tecnologici più adottati includono le piattaforme di mappatura dei rischi ESG (57%), le piattaforme di coinvolgimento dei fornitori ESG (49%), gli strumenti di mappatura della base fornitori (34%) e gli audit in loco (32%).
Questa tendenza è destinata a crescere, con l’89% delle aziende che prevede ulteriori investimenti tecnologici nei prossimi 12 mesi. In particolare le aziende leader stanno dando priorità alla trasparenza e alla responsabilità, investendo in strumenti che le aiutano a valutare le performance dei fornitori, gestendo proattivamente i rischi e affrontare le esigenze normative in evoluzione.