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Climate action: con la social intelligence alla ricerca degli ostacoli

Anzitutto i rischi di greenwashing che genera scetticismo e un eccesso di segnali di allarme; dall’altra il report “Social Intelligence for Climate Action” aiuta a individuare e riflettere sulle ragioni che rallentano le azioni sul clima

Pubblicato il 26 Ott 2023

Fonte: Studio "Social Intelligence for Climate Action" realizzato da Dassault Systèmes, Capgemini e Bloom

Climate Action: lo scenario

Dopo l’Accordo di Parigi del 2015 si è vissuto un crescendo di attenzione che ha generato una situazione di grande sensibilità sui temi del cambiamenti climatico che ha preso il “nome” di Climate Action. L’invito a prendere l’iniziativa e ad attuare tutte le forme possibili di contrasto al climate change ha assunto dimensioni planetarie ed è entrato prepotentemente nel dibattito politico e sociale, diventando un punto di riferimento prioritario nelle strategie aziendali. Questa fase, accompagnata peraltro da un grande senso di responsabilità e di fiducia, ha anche aperto le porte a un periodo nel quale si è registrata una vera e propria “inflazione” di messaggi. I temi della sostenibilità in generale e del contrasto ai cambiamenti climatici in particolare hanno trovato posto, spesso in primissimo piano nelle comunicazioni tanto a livello politico sociale, quanto nell’ambito delle imprese. Una sorta di sovraesposizione mediatica che ha raffreddato l’entusiasmo e ha insinuato il seme del dubbio sulla buona fede di tanti messaggi, aprendo spesso e purtroppo anche le porte al sospetto di greenwashing.

L’importanza di capire perché sta cambiando l’atteggiamento verso il Climate action

Oggi più che mai, a maggior ragione nel momento in cui si affrontano tematiche legate agli sviluppi ESG, è importante capire che “aria si respira” intorno al Climate Action, ovvero quali sono i temi e le conversazioni che stanno contribuendo a cambiare l’atteggiamento di consumatori e cittadini. Un tema che è doppiamente importante: prima di tutto per disporre di elementi che consentano di recuperare fiducia e restituire energia alle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici e in secondo luogo, in relazione alla comunicazione aziendale, per evitare non solo ed evidentemente i rischi di greenwashing ma anche di essere in qualche modo assimilati o avvicinati a questa dimensione.

Lo studio Social Intelligence for Climate Action

Per rispondere a questi temi Dassault Systèmes, Capgemini e Bloom hanno scelto di realizzare lo studio “Social Intelligence for Climate Action(vai qui per leggere il rapporto completo n.d.r.) con il quale hanno voluto indagare e analizzare le ragioni che stanno allontanando l’attenzione dell’opinione pubblica dai temi del Climate action.

Il rapporto è nato per analizzare le “conversazioni globali sul clima” sui social network con particolare attenzione alle tematiche che possono essere ricondotte a ostacoli o freni verso l’azione climatica con l’obiettivo di individuare o almeno disporre di elementi per capire cosa sta effettivamente frenando questo impegno. E il rapporto conferma che purtroppo il pericolo o anche solo la “sensazione” di greenwashing sta seminando scetticismo presso i consumatori finali e verso i cittadini mentre le aziende conservano fiducia nella possibilità di creare e realizzare soluzioni.

Social media intelligence al servizio di una ricerca per capire i freni che limitano la Climate Action
Una immagine del cruscotto della piattaforma Bloom sulle conversazioni relative agli ostacoli all’azione per il clima. Dalla ricerca “Social Intelligence for Climate Action” realizzata da Dassault Systèmes, Capgemini e Bloom

Scetticismo climatico: l’effetto delle emergenze

Sul tema dello scetticismo la ricerca invita a una doppia lettura e una doppia valutazione. Lo scetticismo in merito ai cambiamenti climatici resta marginale anche se si fa sentire certamente perché sa “alzare la voce” e perché trova spesso buon gioco nel cavalcare le tante contraddizioni nelle quali si muove l’invito all’azione climatica. In questo senso – purtroppo – la quantità e l’intensità dei rischi e degli eventi metereologici con conseguenze sempre più drammatiche chiaramente riferibili ai cambiamenti climatici e in tante parti del mondo hanno contribuito a rendere meno credibili le ragioni degli scettici e dei negazionisti.

Preoccupazione ed eco ansia

Al contrario però l’eccesso di allarmi e l’eccesso di soluzioni, spesso associate ad azioni commerciali, hanno alimentato un’altra forma di scetticismo: quella legata a come agire. Di fatto una sorta di freno all’azione che la piattaforma basata sull’Intelligenza Artificiale di Bloom con la quale si è condotta la ricerca, ha riferito anche ad un aumento nelle conversazioni caratterizzate da una situazione di “eco ansia”. Si tratta di un dato correlato alla crescente preoccupazione determinata dai segnali di allarme che accompagnano informazioni legate alla crisi climatica e che va messa in relazione con la sensazione di non disporre di informazioni realmente affidabili che genera un senso di sfiducia.

Social media intelligence e Climate Action

L’analisi delle conversazioni sui social media arriva nello specifico grazie a una raccolta dati che permesso di esaminare in otto mesi qualcosa come 14 milioni di “interazioni“, in forma di post e di commenti su Twitter, Facebook, Instagram, TikTok e YouTube. Lavorando su questo volume di dati la piattaforma di Bloom ha tracciato 480 milioni di azioni riferibili ai temi della Climate action.

La ricerca si è poi avvalsa di modelli di analisi del linguaggio naturale per indagare oltre ai temi anche il tono e il contenuto emotivo a cui è seguita una classificazione dei risultati in relazione alle varie criticità per rappresentare in modo significativo e realistico le opinioni e lo “stato d’animo” delle conversazioni.

Azione climatica e conversazioni: le principali evidenze della ricerca

Il messaggio chiave della ricerca parla di un’azione climatica che sta rallentando con una serie evidenze che permettono di capire quale atteggiamento si sta consolidando e che tipo di prospettive si stanno aprendo.

Nello specifico si segnalano cinque grandi “sensazioni” se così possono essere definite, ovvero cinque motivazioni di un atteggiamento che denota prima di tutto e soprattutto la necessità di tornare a far crescere un senso di fiducia verso le azioni che possiamo (e dobbiamo) esercitare ogni giorno. E le evidenze sono:

  1. Disconnected optimism
  2. Information gap
  3. Fear of downsides
  4. Delegation of authority
  5. Hopelessness

L’ottimismo discontinuo è frutto delle contraddizioni che accompagnano molto forme di confronto e di analisi in merito ai temi climatici e dai dubbi che solleva l’enfasi eccessiva in merito ai risultati di prodotti o progetti. Ma la discontinuità nell’ottimismo di chi crede comunque nella necessità di un’azione climatica è da addebitare anche a certe forme di distorsione nel ruolo dell’innovazione tecnologica. La ricerca denuncia come l’eccesso di fiducia nella tecnologia rischi di trasformarsi in una sorta di delega alle “macchine” e di alibi per non agire direttamente.

Il grande tema dell’asimmetria informativa o di un information gap si configura poi nelle evidenze della ricerca nella forma di mancanza di dati e informazioni affidabili. La ricerca registra in questo senso un aumento del sentiment di sfiducia su questo tema.

L’importanza di contestualizzare l’azione climatica: rispetto alle altre emergenze

C’è poi un tema che attiene al timore delle conseguenze che la ricerca ha sintetizzato nella sensazione Fear of downsides e che invita a riflettere sul peso e sull’impatto dei tanti segnali d’allarme ai quali siamo costantemente sottoposti. Non si può non considerare che accanto ai temi climatici ci sono informazioni su guerre e crisi economiche, problematiche legate ai fenomeni migratori e trasformazioni sociali e industriali. È necessario considerare con maggiore consapevolezza che le sollecitazioni ad adottare misure e comportamenti per agire in favore del clima devono essere contestualizzate anche in merito ai temi della giustizia sociale e di una evoluzione negli stili di vita e nei comportamenti che aumenta il senso di precarietà e vulnerabilità.

Sulla evidenza o sensazione definita come Delegation of authority pesa certamente la necessità di fare di più in termini di formazione a tutti i livelli, dalla scuola al lavoro, alle diverse forme di rappresentanza sociale. Sul tema della delega c’è anche da considerare che, a prescindere dal fatto che ritenere l’azione per il clima come una responsabilità di altri rappresenta un segnale sul quale è evidentemente necessario lavorare, è significativo osservare che questa delega è riservata primariamente all’azione delle imprese considerate più adatte ad agire nel lungo periodo, più di quanto non possano fare i singoli individui e più ancora di quanto sia nelle possibilità dei governi.

L’ultima evidenza è anche la più preoccupante ed è rappresentata dalla sensazione di Hopelessness, una sorta di impotenza e di mancanza non più solo di fiducia, ma addirittura anche di speranza nella possibilità di agire. Una posizione questa che, in relazione ai dati della ricerca, ha visto crescere numericamente post ed engagement nel corso del 2022.

Su ESG Smart Data una selezione e una sintesi delle ricerche e delle analisi sul ruolo e sulle prospettive della sostenibilità per le imprese e per le pubbliche amministrazioni.

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