Agroalimentare sostenibile e responsabile grazie all’intervento delle startup

Nel mondo circa 400 startup agri-food con obiettivi di sostenibilità e 605 i milioni di dollari di finanziamenti raccolti. Italia terza al mondo per densità di nuove imprese agri-food sostenibili ma mercato ancora in evoluzione con difficoltà di stabilità economica e scalabilità del business. Le startup propongono nuovi modelli di business per la sostenibilità sociale e ambientale del settore. Tra i principali obiettivi perseguiti anche la creazione di valore dallo spreco alimentare. Grande potenziale dalla collaborazione startup/aziende, ma anche tra aziende e enti non-profit, imprese sociali, settore pubblico

Pubblicato il 07 Mar 2019

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L’agroalimentare, uno dei settori a più elevato impatto sociale e ambientale, gioca un ruolo chiave per lo sviluppo sostenibile dell’intero pianeta. Lo spreco di cibo è una delle sfide più sentite. In Italia si sprecano circa 5,1 milioni di tonnellate di cibo l’anno, mentre 4 milioni e mezzo di persone vivono in condizioni di povertà. Nel mondo, circa 815 milioni di persone soffrono la fame, ma ogni anno vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, un terzo di quello prodotto complessivamente.

Di fronte a questa sfida, il fermento innovativo di 399 startup italiane e internazionali agri-food orientate alla sostenibilità, circa il 20% delle 2.026 startup mondiali attive nell’agroalimentare. Oltre a generare innovazione di prodotti e processi proponendo uso più efficiente delle risorse, introduzione della “filiera corta” o impiego di materiali naturali nella produzione, propongono modelli di business in grado di creare valore economico con impatti positivi su ambiente e società. Alla base, nuove tecnologie e forme di collaborazione in grado di trasformare lo spreco alimentare in un valore condiviso attraverso soluzioni circolari.

L’Italia si attesta tra i paesi con maggiore densità di startup agri-food sostenibili, preceduta solo da Israele e Spagna. Il mercato però è ancora in lenta evoluzione: con una media di 300 mila dollari di finanziamento (contro una media globale di 2,4 milioni di dollari per startup) le nuove imprese fanno fatica a raggiungere stabilità economica e scalabilità del business.

Questo è il quadro dei principali risultati della prima ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano presentata il 19 giugno 2018 al convegno “Innovazione, Collaborazione e Circolarità: i tre ingredienti per la sostenibilità del sistema agroalimentare”.

Gli obiettivi sostenibili delle startup con Israele al primo posto per densità

Le innovazioni sono finalizzate a promuovere l’agricoltura sostenibile (incrementando i redditi dei produttori su piccola scala e fornendo loro accesso alle risorse produttive, aumentando la produttività e la capacità di resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici); ridurre le eccedenze e gli sprechi alimentari lungo la filiera e ottimizzare l’utilizzo delle risorse con investimenti in infrastrutture più efficienti; promuovere e adottare tecnologie “pulite” e processi industriali rispettosi dell’ambiente.

Se si guarda alla distribuzione delle startup agri-food a livello mondiale, gli Stati Uniti prevalgono sugli altri paesi, contando 790 startup, pari al 39% del campione totale di 2.026 startup. Non rimangono però in testa tra i paesi con startup maggiormente attive sui temi della sostenibilità agroalimentare. Israele (28 startup agri-food, di cui il 64% sostenibili), è al primo posto per modelli di business basati su innovazioni tecnologico-ambientali. Seguono Spagna (29 startup, di cui il 38% sostenibili) e Italia (38 startup agrifood,
di cui il 37% sostenibili), con startup più attente a coniugare dimensione ambientale e sociale.

In Italia mancano i finanziamenti e le startup sono Service o Technology Provider

Guardando ai finanziamenti raccolti, in Italia le startup non incontrano un riconoscimento solido da parte degli investitori. Il 62% delle startup a livello globale ha ricevuto almeno un finanziamento, raccogliendo complessivamente 605 milioni di dollari nel periodo analizzato, con una media di 2,4 milioni di dollari ciascuna. Quelle italiane 1,9 milioni di dollari, in media 0,3 milioni ciascuna, lontano dai 296 milioni di dollari, in media 3,4 milioni ciascuna, delle statunitensi. Nonostante casi di successo di imprese del settore che hanno esplorato soluzioni circolari per ridurre lo spreco di cibo, rendendo più efficienti i processi e rafforzando la responsabilità sociale d’impresa, si fatica a passare da azioni “isolate” ad una prospettiva di filiera che attivi collaborazioni dal grande potenziale, tra imprese, startup e anche soggetti di altri settori (no profit, imprese sociali, settore pubblico).

Lungo la filiera, le startup agri-food sostenibili sono principalmente fornitori di servizi e di tecnologia. Nella maggioranza dei casi (47%) si configurano come Service Provider, ad esempio fornitori di software e app per il retail o di servizi di consulenza su tematiche di sostenibilità. Altrimenti sono Technology Supplier (16%), come produttori di tecnologie per l’agricoltura di precisione, o si occupano di
Food Processing (13%) per cibo locale, salutare o a minor impatto ambientale.

“Le giovani imprese nascono come luoghi di sperimentazione delle innovazioni per la sostenibilità, in grado di apportare nuove conoscenze e competenze anche a contesti già strutturati. Tuttavia, occorre ancora dimostrare la solidità economica e la scalabilità di queste soluzioni, che devono essere messe a sistema per generare un impatto significativo nel lungo periodo” dice Paola Garrone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability.

I modelli di business sostenibili e l’importanza della collaborazione

Il modello più perseguito riguarda soluzioni innovative per massimizzare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse (38% del campione), seguito dai cambiamenti strutturali della supply chain per modelli di filiera corta (27,5% delle startup però al quinto posto per finanziamenti ricevuti) e dall’utilizzo di processi e materiali naturali e/o rinnovabili per la produzione. Altre soluzioni riguardano la tutela a monte della filiera (finanziamento medio di circa 2,7 milioni di dollari) e la riduzione dello spreco alimentare, che interessa gli imprenditori ma deve ancora guadagnarsi il riconoscimento del mercato (finanziamento medio di circa 660 mila dollari).

“La collaborazione gioca un ruolo fondamentale per la riduzione dello spreco alimentare e per la sostenibilità della filiera nel suo complesso” afferma Raffaella Cagliano Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability.
Può stabilirsi con partner di filiera, con soggetti della filiera “estesa” (fornitori di tecnologia e di servizi), ma anche con soggetti non tradizionali come enti no profit, imprese sociali, settore pubblico (collaborazioni cross-settoriali). La collaborazione tra startup e grande azienda può portare a un modello di collaborazione “simbiotico”, se permettere di implementare un modello di business per la creazione di valore sostenibile, oppure “aumentato”, quando permette alle startup che mettono in gioco know-how e tecnologie di avere accesso ad un più ampio mercato e di generare maggiori volumi. Le collaborazioni cross-settoriali portano le aziende orientate al profitto ad una mission sociale e ad entrare in contatto con soggetti svantaggiati con cui le aziende del Terzo Settore operano.
“Le collaborazioni verticali di filiera, sebbene più ‘fisiologiche’, presentano maggiori vincoli di attuazione, mentre quelle tra startup e grande azienda o cross-settoriali hanno un grande potenziale ancora inespresso per la limitata conoscenza da parte delle imprese delle opportunità delle partnership” continua Raffaella Cagliano.

La gestione delle eccedenze

Per combattere lo spreco alimentare, molte imprese agri-food si stanno muovendo in una prospettiva di economia circolare per rendere più efficienti i processi e rafforzare la responsabilità sociale d’impresa.

Negli scorsi anni in Italia l’intensità con cui le eccedenze sono recuperate è cresciuta dal 7,5% del 2011 al 9% nel 2015, grazie ad una maggiore consapevolezza sociale e al diffondersi di nuovi materiali di imballaggio per estendere la durata di vita dei prodotti, nuove tecnologie digitali per ottimizzare i processi aziendali e migliorare la gestione delle scorte alimentari, donazioni di alimenti in eccedenza da parte degli attori della filiera a favore delle organizzazioni del Terzo Settore.

La gerarchia di utilizzo delle eccedenze (Food Waste Hierarchy – FWH) permette di mettere in pratica il paradigma della circolarità del cibo, con priorità d’intervento per la destinazione d’uso: prima di tutto recupero e ridistribuzione dei prodotti alimentari in prossimità di scadenza a persone in stato di bisogno, poi recupero per consumo animale, riciclo per uso industriale, produzione di fertilizzanti e concimi, recupero energetico e, solo come ultima opzione, lo smaltimento in discarica.

Partendo da questo modello, l’Osservatorio ha individuato le pratiche di prevenzione e gestione circolare delle eccedenze nei diversi stadi della filiera agroalimentare più diffuse e quelle meno consolidate perché di più difficile attuazione.

  • Tra i produttori agricoli, in particolare per l’ortofrutta: tecnologie di agricoltura di precisione per monitorare la salute delle coltivazioni ed elaborare interventi mirati in campo, prevendendo il generarsi di sprechi e poi pratiche di riutilizzo e ridistribuzione a fini sociali delle eccedenze generate. Innovativo ma ancora poco diffuso, l’inserimento di tecnologie di selezione dell’ortofrutta nei processi produttivi, che permette di ridurre gli scarti, sia in campo che nei centri di raccolta, e di rispondere alle esigenze del mercato.
  • Tra le aziende di trasformazione: best practice in riutilizzo e ridistribuzione dei prodotti finiti in eccedenza per l’alimentazione umana, prevenzione delle eccedenze con sales and operations planning, tecnologie digitali per tracciare data di scadenza e stato di conservazione degli alimenti, materiali di imballaggio che estendono la shelf life dei prodotti. Sono ancora poco diffuse azioni di riutilizzo delle eccedenze generate negli stabilimenti (come gli sfridi della produzione), altamente deperibili e quindi difficilmente recuperabili, che necessitano di nuovi meccanismi di collaborazione, sia di filiera che cross-settoriali.
  • Tra distributori e i ristoratori proliferano startup innovative che ottimizzano la gestione delle eccedenze a valle della filiera,
    ma rimane incerta la scalabilità di queste soluzioni e resta da lavorare sulla gestione dei resi per invenduto nei punti vendita della GDO, che richiede nuove forme di collaborazione tra trasformatori e distributori.

“La vera sfida è passare da azioni di recupero eccellenti ma isolate e difficilmente scalabili ad una vera e propria ‘filiera del recupero’ dove si coniughino soluzioni tecnologiche, sforzi di collaborazione e razionalizzazioni dei processi e dei modelli di business, coinvolgendo attori della filiera e partner intersettoriali in un’ottica di sistema” dichiara Marco Melacini, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability

Immagine fornita da Shutterstock

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