Perché è importante analizzare oggi il percorso di innovazione che porta all’impresa del futuro?
Stiamo attraversando un periodo di eccezionali sfide per l’industria nazionale, ma al tempo stesso di non meno rilevanti opportunità di innovazione e sviluppo.
Il convegno “Verso l’impresa del futuro”, organizzato lo scorso 26 Giugno da Partners for Innovation, (P4I), società di advisory del Gruppo Digital 360, è stato predisposto proprio con l’obiettivo di analizzare questa peculiare fase e di confrontare punti di vista, esperienze, progetti, studi e ricerche sulle principali direttrici da prendere. Per affrontare questo tema P4I ha raccolto nella nuova sede del gruppo D360 48 tra imprenditori e top executives, insieme ad accademici ed esperti di molte tematiche chiave quali: supply chain, operations, data strategy, intelligenza artificiale, risk management, economia circolare, et cetera.
I temi di riferimento per comprendere il cambiamento
Molti i temi trattati in dettaglio, tra cui: la gestione del cambiamento, la sfida della sostenibilità, le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, il percorso verso la trasformazione a base digitale dei processi, i dati ed il supporto decisionale data-driven, e la ricerca della business continuity, solo per citare che i più importanti. L’idea alla base dell’iniziativa è che sia sempre possibile vedere il bicchiere mezzo pieno, traducendo i rischi in opportunità e le sfide in successi.
Quali sono i temi chiave per costruire l’impresa del futuro?
Agli esperti presenti in sala è stato posto un questionario articolato in 4 domande, volto a mettere subito a terra le principali direttrici di sviluppo e cambiamento in atto, come base di partenza per le successive discussioni. Ciascuna domanda ammetteva una gamma di risposte chiuse a scelta multipla, con la possibilità di esprimere le proprie preferenze anche per più risposte.
Le principali sfide
Attraverso la domanda 1 abbiamo chiesto ai manager intervenuti quali fossero, a loro avviso, le principali sfide che stanno affrontando le loro aziende. In un quadro di scarsa concentrazione delle risposte, emergono comunque l’incertezza ed instabilità del contesto, la difficoltà a reperire e fidelizzare risorse umane dotate delle necessarie competenze e l’aumento generalizzato dei costi dei fattori della produzione (energia, materiali, lavoro, …).
Le leve di intervento
La domanda 2 ha investigato quali leve di intervento stiano attivando le imprese per affrontare le fide indicate: coerentemente con la risposta alla prima domanda, le leve principali sono lo sviluppo delle competenze, la trasformazione digitale dei processi, la servitizzazione e l’innovazione.
Una valutazione del coinvolgimento aziendale
La domanda 3 è relativa alle aree aziendali che a giudizio dei rispondenti sono più coinvolte in queste trasformazioni e quindi anche più soggette al cambiamento: emergono su tutte l’area ICT e l’area ricerca & sviluppo, mostrando una certa coerenza con le risposte precedenti.
Le aree tecnologiche più problematiche
Infine, abbiamo chiesto di indicare quali aree tecnologiche siano più problematiche nel supportare le trasformazioni indicate: emergono su tutte la generazione e la raccolta di dati; i sistemi di supporto alle decisioni e il rinnovo del panorama applicativo tradizionale con le nuove applicazioni allo stato dell’arte.
Vediamo di seguito la presentazione analitica dei risultati ed una discussione più approfondita dei medesimi.
Domanda 1 – Quali sono le principali sfide che la tua azienda sta affrontando attualmente?
La prima domanda ha interrogato gli intervenuti circa la propria percezione delle sfide più pressanti che la propria azienda stava affrontando: si registrano 150 preferenze valide per 48 rispondenti, con un valore medio pari a poco più di 3 preferenze per persona.
Ripartendo le preferenze ricevute sulle 8 risposte possibili, si ottiene una media di quasi 19 preferenze per risposta. L’effettivo numero di preferenze ricevute varia invece da un minimo di 11 ad un massimo di 26, evidenziando una distribuzione piuttosto omogenea delle preferenze accordate alle diverse risposte. I risultati del sondaggio sono presentati nella figura 1.
Prevale l’incertezza e l’instabilità del contesto
Come ci si poteva attendere, l’incertezza ed instabilità del contesto fa la parte del leone con 24 preferenze, pari al 50% dei rispondenti ed al 16% delle preferenze. Non è facile dissentire da questo risultato, in un periodo in cui i dazi prima imposti, poi rimossi, poi ripresi dal presidente USA più ondivago di sempre sono solo la ciliegina su una torta costituita dai conflitti militari e geopolitici, dalle conseguenti sanzioni economiche, dai fenomeni naturali estremi indotti dal riscaldamento globale (ci crediate oppure no, stanno diventando sempre più frequenti…) e che fino a poco tempo fa ci aveva riservato enormi ed inaudite perturbazioni legate ad una quanto mai inattesa pandemia.
Scordiamoci i decenni stabili della “pax americana”, qualsiasi sia il valore etico che diamo a questa espressione: perché siamo entrati in una fase sempre più incerta che molto probabilmente ci accompagnerà a lungo, molto a lungo: e chi non si attrezzerà, verrà credibilmente spazzato via dal mercato.
Welcome to perturbationland!
Per inciso, il tema delle perturbazioni sistematiche del contesto e di come contrastarle è stato ampiamente discusso in due sessioni tematiche del convegno intitolate, rispettivamente: “I dati parlano – la valutazione data-driven dei fornitori”, dedicata a come anticipare, anziché subire, le perturbazioni ed i rischi connessi alla propria rete di fornitura costruendo un Vendor Rating System (VRS) completo, formalizzato, quantitativo, digitale ed automatico; e “Business continuity ed innovazione – strumenti per un’impresa resiliente”, dedicata alle principali certificazioni che supportano ed aiutano le imprese a rinforzare la propria resilienza, ed a garantire la continuità del processo primario.

Figura 1 _ Distribuzione delle preferenze relative alla domanda 1: “quali sono le principali sfide che la tua azienda sta affrontando attualmente?”
Talenti e competenze: la sfida posta dalle risorse umane
Detto della prevedibile vittoria delle perturbazioni del contesto, va però notato che non si è affatto trattato di un trionfo: con 22 preferenze, pari al 46% dei rispondenti ed al 15% delle preferenze, si posiziona infatti seconda la sfida posta dalle risorse umane e che si concretizza nella crescente difficoltà che le aziende incontrano nel reperire e fidelizzare personale con competenze adeguate.
Vi aspettavate anche voi di trovare questa sfida così in alto nella hit parade? Se non eravate preparati a questo risultato provo a convincervi che questa è già oggi e sempre più diventerà una delle principali emergenze delle nostre imprese. L’inverno demografico sta svuotando le aule delle scuole e delle università: oggi in Italia nascono poco più di 300.000 bambini l’anno, contro quasi 700.000 in Francia, che ha una popolazione simile alla nostra. Purtroppo, la percentuale dei nostri giovani che studiano all’Università non supera, in media, il 25-30%, contro il 40-50% di altri paesi a noi simili. Di questi, solo il 25-30% si iscrive a facoltà STEM: fanno circa 27.000 laureati STEM all’anno. E purtroppo non stanno aumentando: anzi, in diverse province Italiane il tasso di laureati scende anziché salire, e la natalità è in rapido calo in tutto lo stivale. Aggiungiamo che una parte considerevole di questo contingente di cervelli cerca (e trova) lavoro all’estero (e tipicamente ritorna in Italia all’età della pensione). Se volessimo, potremmo proseguire discutendo la difficoltà di inserire in posizioni di responsabilità una generazione (Z) con la passione di lavorare da casa e di cambiare continuamente lavoro e frequentemente allergica alla pressione. Ma tralasciamo questi temi per carità di Patria.
La preoccupazione per l’aumento dei costi dei fattori di produzione
A pari merito con la sida delle risorse umane, con 22 preferenze, si attestano le difficoltà poste dal generalizzato aumento dei costi dei fattori della produzione (materiali d’acquisto, energia, lavoro, macchinari, capitale fisso e circolante) che le imprese si trovano a fronteggiare. E anche questa era una voce che francamente ci attendevamo. Perché, indubbiamente, la discontinuità costituita dalla pandemia, unitamente alle perturbazioni del contesto ed alla competizione per accaparrarsi le migliori risorse umane, ha effettivamente provocato un generalizzato aumento di molte voci di costo, parzialmente, ma non completamente rientrato dopo la pandemia, che ha determinato una complessiva compressione delle marginalità.
Segue a breve distanza (infatti a solo una lunghezza, con 21 voti pari al 44% dei rispondenti) la sfida posta dal mercato, e legata sia alle crescenti richieste dei clienti su tempi, qualità, prezzi ed ampiezza di gamma, sia alla sempre più aggressiva competizione, soprattutto da parte delle imprese dei paesi in via di sviluppo. Cercando di leggere tra le righe, un mercato sempre più competitivo (sia dal lato della domanda, sia dell’offerta) fa rima con globalizzazione che -nonostante il rallentamento imposto dalle diverse problematiche geo-politiche in corso- resterà probabilmente una direttrice forte nell’evoluzione dei mercati.
Dalla globalization alla slowbalization
Molti degli ultimi eventi, ed in particolare i dazi americani, sono destinati a modificare -almeno in parte- alcuni aspetti del commercio internazionale: dopo la fase della “globalization” ruggente siamo passati alla “slowbalization” come qualche buontempone ha chiamato l’attuale fase più matura e meno esplosiva. Stiamo passando dal off-shoring al near-shoring ed al friend-shoring, ma secondo gli analisti più documentati continuerà per i nostri produttori l’esigenza di approvvigionarsi di materiali, componenti e prodotti a basso costo e di trovare sempre nuovi mercati di sbocco per i nostri prodotti. E lo stesso faranno i nostri competitor.
Non sarà sfuggito ai più attenti che la sfida delle perturbazioni del contesto e quella della competitività del mercato sono quasi una l’opposto dell’altra… giacché le perturbazioni, l’incertezza, i contrasti geo-politici e i dazi portano verso il protezionismo e si oppongono al libero mercato ed alla concorrenza: tuttavia, l’attenzione dimostrata dai manager rispondenti per la competizione ed il mercato daranno a chi di voi preferisce ancora il liberismo, come chi scrive, un fremito di speranza.
Attenzione alla compliance anche come effetto dello “tsunami ESG”
La compliance rispetto ad un quadro regolatorio e normativo sempre più complesso si posiziona nella quinta piazza, a breve distanza dalla sfida del mercato (19 preferenze, pari al 40% dei rispondenti ed al 13% delle preferenze espresse), particolarmente per lo “tsunami ESG” che sta colpendo le imprese, soprattutto a livello Europeo. Vuoi fare affari con il settore pubblico? Vuoi chiedere un mutuo alla banca? Puoi avere una corsia privilegiata se certifichi che conduci il business in maniera integra e trasparente, con occhio attento alla sicurezza dei dati tuoi, dei clienti e dei fornitori, privilegiando la diversity e senza doppi standard tra i generi, occupandoti del benessere e della salute dei dipendenti; senza arrecare danni all’ambiente ed in armonia con le comunità entro cui operi? Semplice, no? Per inciso, proprio in riferimento a questa sfida è stata predisposta la sessione del convegno intitolata: “Verso l’impresa ad impatto zero – misurare, costruire e comunicare la sostenibilità”.
Una visione equilibrata dei principali temi e sfide
Lanciando infine uno sguardo alla distribuzione delle preferenze nel suo complesso, stupiscono in particolare 2 aspetti: in primo luogo, il sostanziale equilibrio di preferenze ottenute da queste prime 5 voci, scelte dal 40-50% dei rispondenti, mostrando un quadro ampio e complesso, senza voci singole capaci di raccogliere più del 15-16% delle preferenze complessive. In secondo luogo, che la rilevanza di queste 5 voci, che hanno raccolto quasi i ¾ delle preferenze, abbia fatto passare decisamente in second’ordine dei grandi classici italiani, come: l’integrazione e la collaborazione tra gli attori della filiera (16 preferenze, pari al 33% del campione); il ciclo economico negativo, con la flessione strutturale della domanda, che è stato scelto da appena 14 rispondenti (29% del totale) ed infine l’alibi degli alibi nazionale, e cioè la famigerata politica con le sue colpe e carenze (12 scelte pari al 25% dei rispondenti).
Domanda 2 – Quali sono le leve che ritenete più utili per affrontare le sfide dell’impresa del futuro?
La seconda domanda è stata posta per identificare cosa le aziende stiano facendo concretamente per affrontare le sfide in atto. Le 202 preferenze valide ottenute implicano che ciascun rispondente abbia indicato in media più di 4,2 preferenze; inoltre, considerando le 10 risposte possibili, si ottengono circa 20 preferenze medie per risposta, con valori effettivi distribuiti tra 14 e 30. I risultati sono presentati in figura 2.

Figura 2 – Distribuzione delle risposte alla domanda 2: “Quali sono le leve che ritenete più utili per affrontare le sfide definite?”
Ampliamento e rafforzamento delle competenze disponibili come fattore chiave
Qui la polarizzazione delle preferenze è un filo superiore a quella vista nella prima domanda, dove in verità avevamo assistito ad una distribuzione piuttosto uniforme delle scelte. Le risposte a questa domanda invece paiono cristallizzarsi in 2 gruppi: le prime 4 risposte raccolgono il 53% delle preferenze totali con un numero che va da 24 a 30 (media 27); mentre le restanti 6 opzioni assommano il 47% delle preferenze, staccate dalle precedenti, con un numero di selezioni che va da 14 a 19 (media 16).
In testa alla graduatoria spicca la leva di ampliamento e rafforzamento delle competenze disponibili, che raccoglie 30 preferenze (63% dei rispondenti e 15% delle preferenze espresse) e si posiziona quindi direttamente in connessione con la sfida legata alle risorse umane, che – come ricorderemo – si era posizionata sul secondo gradino del podio delle sfide affrontate.
Le aziende si stanno muovendo sia attraverso la leva interna della formazione verso i propri dipendenti, sia tramite la ricerca ed assunzione di personale che porti all’interno competenze nuove, ad esempio quelle sempre più ricercate connesse alle nuove tecnologie, quali ad esempio l’intelligenza artificiale. Molte tra le aziende più grandi e più attente a questo tema sviluppano al proprio interno delle vere e proprie corporate academy, ed incaricano manager o consulenti specializzati di sviluppare programmi formativi di ampio respiro per porre in atto quei grandi programmi di cambiamento che sono necessari per affrontare le sfide in atto. Altre si spingono verso il mondo accademico ed offrono agli studenti più promettenti opportunità e percorsi di selezione ed inserimento attraverso contest, hackaton e le tradizionali tesi di laurea in azienda. Ma investire sull’ampliamento e rafforzamento delle competenze presenti in azienda non è solo una leva per attrarre e fidelizzare i talenti: essa è anche uno strumento potente per affrontare molte delle altre sfide emerse con la domanda 1 (Quali sono le principali sfide che la tua azienda sta affrontando attualmente? n.d.r.), ad esempio: per migliorare le capacità predittive e quindi navigare meglio in un contesto di crescente instabilità; per migliorare le gamme prodotto, la qualità dei servizi erogati e l’efficienza dei processi interni e quindi per rafforzare la competitività complessiva dell’azienda verso il mercato.
Il tema strategico del cambiamento culturale
Il tema del cambiamento culturale ed organizzativo è stato affrontato in una sessione tematica specifica del convegno, intitolata “Panta Rei – non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”
In seconda posizione, staccato di due preferenze dalla prima, troviamo la trasformazione digitale, ottenibile attraverso l’implementazione di nuovi applicativi allo stato dell’arte, che raccoglie 28 preferenze, pari al 58% del campione dei rispondenti ed al 14% delle preferenze espresse a questa domanda. Non era difficile attendersi un posizionamento alto per questa leva, che ormai da molti anni fornisce uno dei principali, e forse il principale contributo alla modernizzazione del panorama aziendale italiano. Che sviluppare un percorso di digitalizzazione dei processi, sia fisici sia organizzativi e decisionali, sia una tra le leve più efficaci per migliorare l’efficienza, l’efficacia e il livello di controllo esercitato è ormai commonplace: quello che invece non è affatto diventato ancora prassi comune è come fare questo percorso.
Più attenzione alla roadmap del percorso di digitalizzazione aziendale
Un primo tema è ad esempio legato alla messa a punto della roadmap del percorso di digitalizzazione: da cosa iniziare? Che investimenti occorre mettere a disposizione? Quali vantaggi attendersi ed in quanto tempo? Fare da soli oppure farsi aiutare da consulenti specializzati?
Una volta deciso come procedere, occorre poi passare alla scelta dell’applicativo e del fornitore più adatti, all’interno di un’offerta di mercato spesso molto ricca, che per i non esperti può essere alquanto confondente. Fatto questo, è necessario accompagnare la transizione al nuovo applicativo con una speculare evoluzione dei processi che contribuisca praticamente a mettere a terra i vantaggi portati dalla nuova tecnologia, come ammonisce il vecchio adagio: “a new technology with an old organization is just a more expensive old organization”.
Ed infine, è necessario supportare il processo di cambiamento attraverso opportune azioni di change management volte a stimolare e favorire l’affermarsi del nuovo modo di lavorare nella prassi quotidiana. Insomma, se è vero che la trasformazione digitale costituisce una delle principali strade per l’innovazione aziendale, l’ottenimento dei risultati sperati da questi progetti è tutt’altro che scontata. Ecco perché all’interno del convegno è stata organizzata una sessione specifica per discutere questo tema, intitolata: “Less is more – come il digitale può trasformare i vostri processi”.
La leva dello sviluppo di nuovi modelli di business
A breve distanza, con 26 preferenze, pari al 54% del campione di rispondenti ed al 13% delle preferenze complessivamente attribuite in questa domanda, ecco la leva dello sviluppo di nuovi modelli di business più orientati al cliente ed al servizio. Qualsiasi executive manager non esita ad affermare che la propria azienda è maniacalmente focalizzata sul cliente. Eppure, ci sono tipicamente 3 momenti in cui le aziende di prodotto incontrano il cliente: la vendita, quando incontrano il cliente soddisfatto; il customer care, quando incontrano il cliente curioso; e l’assistenza tecnica, quando incontrano il cliente arrabbiato. Ebbene, se ci pensate bene, salvo eccezione tutte e tre queste preziose occasioni anziché essere svolte in proprio, sono delegate a terze parti, perché l’azienda OEM è tipicamente troppo impegnata a progettare e produrre il proprio prodotto, a promuoverlo e a distribuirlo: come si vede, quindi, c’è molta strada da fare nel percorso verso la servitizzazione del business.
In “viaggio” verso la servitizzazione del business
Anzitutto, occorre partire dalla definizione e misura sistematica di grandezze fondamentali come la customer satisfaction, la customer intimacy e la customer advocacy. Un secondo passaggio potrebbe essere la messa a punto delle componenti immateriali che si possono offrire oltre al prodotto ed insieme al prodotto per generare delle vere piattaforme prodotto-sevizio.
In molti casi questi servizi sono erogabili a partire da dati la cui raccolta e strutturazione ricade nella leva della trasformazione digitale vista sopra. Le aziende più avanzate hanno condotto una completa riconversione dalla vendita di puro prodotto alla predisposizione di soluzioni complesse basate su piattaforme prodotto-servizio, ad esempio arrivando a non vendere più il prodotto in quanto tale, ma l’output da esso generato. Ma naturalmente per avere successo in questa riconversione occorre anche sviluppare uno speculare percorso di cambiamento culturale ed organizzativo, in cui accanto alle competenze tecnico-ingegneristiche, che sono essenziali per la progettazione e produzione di prodotti world-class, vengano sviluppate e messa a punto le skill più relazionali ed empatiche che sono alla base della vendita di servizi.
Il ruolo chiave degli investimenti in innovazione
Chiude il quartetto di testa, con 24 preferenze, pari al 50% dei rispondenti ed al 12% del numero totale di preferenze attribuite, la leva degli investimenti in innovazione, sia con la formula tradizionale delle attività interne di ricerca e sviluppo, sia con la più innovativa formula dell’open innovation. Una leva certamente coerente con le risposte sulle sfide in atto, visto che l’innovazione è uno degli ingredienti chiave per tenersi sempre un passo avanti ai competitor e per andare incontro alle crescenti richieste dei clienti.
Interessante notare l’ampia sinergia reciproca delle leve che costituiscono questo quartetto di testa: la crescita delle competenze è certamente una base su cui costruire e tramite cui abilitare la trasformazione digitale, lo sviluppo di modelli di business innovativi e anche un processo di innovazione world class. Ma al tempo stesso, implementare applicativi allo stato dell’arte e strutturare data lake alimentati con informazioni complete, corrette e tempestive può risultare dirimente per trasmettere e diffondere nuove conoscenze e competenze; per abilitare modelli di business orientati al servizio e più cliente-centrici, oltre che per digitalizzare i prodotti. In maniera analoga, innovare i prodotti, associando ad un tradizionale corpo elettro-meccanico della sensoristica ed un “cervello” digitale è spesso il presupposto per la messa a punto e l’erogazione di servizi al cliente, secondo la logica dello smart & connected product.
Domanda 3 – Quali aree aziendali della tua azienda saranno più impattate dalle sfide segnalate e dovranno cambiare maggiormente?
La logica conseguenza della domanda 2 (Quali sono le leve che ritenete più utili per affrontare le sfide dell’impresa del futuro? n.d.r.) è stata di chiedere ai manager rispondenti quali aree aziendali delle loro aziende siano impattate maggiormente dalle sfide segnalate (ma anche dalle leve impiegate per affrontarle) e quindi debbano evolvere in maniera più rilevante nei mesi ed anni a venire.
A questo quesito abbiamo ricevuto 190 preferenze, pari a quasi esattamente 4 preferenze medie per persona e – considerando le 11 possibili opzioni di risposta, a poco più di 17 preferenze medie per risposta. Il numero di risposte effettivamente acquisite dalle diverse opzioni va da 2 a 27 ed è quindi ancora più concentrato delle risposte alla domanda 2. I risultati sono presentati in figura 3. Si staccano da tutte le altre le prime due risposte, che da sole raccolgono quasi il 30% delle preferenze, con 27 preferenze ciascuna, lasciando alle altre 9 il restante 70%, con 15 preferenze in media.
La centralità del dipartimento ICT
Una delle due aree aziendali che a giudizio dei rispondenti sono più impattate e che quindi più dovranno cambiare è il dipartimento ICT: francamente non una sorpresa, vista anche la posizione di rilevo assunta tra le leve dalla trasformazione digitale, risultata la seconda leva più gettonata. Ma è interessante quindi provare a ragionare su cosa debba cambiare e come rispetto allo status quo.
Voltiamoci un attimo a guardare l’ICT del passato, quello che però è ancora ben vivo nelle aziende meno innovative ed aggiornate: un ICT fatto di specialisti in camice bianco, di grandi server e di altrettanto pesanti applicativi. Un ICT i cui compiti principali sono da un lato di acquisire, mettere in funzione ed esercire la pesante infrastruttura (HW e SW) e dall’altro di abilitare e supportare gli utenti nel suo utilizzo, addestrandoli e formandoli sui principali applicativi a disposizione, attivando e connettendo stampanti, terminali e PC, rispondendo ai ticket ed alle richieste di supporto e risolvendo i bug. Ebbene, questo ICT così centralizzato e ieratico, focalizzato sulle tecnologie più che sul management non è più quello di cui le aziende hanno bisogno oggi.
Tutte le componenti di una trasformazione in atto
Anzitutto, si è ampliata moltissimo la gamma delle funzioni ed attività a cui sopperire: dalla data safety & security, di importanza sempre crescente, alla interconnessione tra gli apparati digitali e fisici, secondo la collaudata logica 4.0, e dalla strutturazione ed esercizio dei grandi data repository all’abilitazione dei mobile device in dotazione agli utenti. In secondo luogo, l’avvento del cloud computing ha rivoluzionato la tecnologia, mettendo a disposizione applicazioni, capacità di calcolo e di data storage in modalità SaaS. Infine, la competenza sui dati, gli applicativi e le tecnologie sta progressivamente diffondendosi, così che ogni manager può definire autonomamente l’assetto digitale dei processi, infrastrutture ed attività su cui ha giurisdizione.
Tutte queste trasformazioni stanno spingendo un progressivo decentramento della funzione IT (shadow IT) verso le diverse aree aziendali, lasciando al dipartimento IT il fondamentale ruolo di orchestratore e coordinatore dei dati, degli applicativi e degli apparati, che dovranno comunque essere integrati tra di loro, coerenti con i fabbisogni informativi, organizzativi e decisionali, compliant con gli standard di sicurezza aziendale e soprattutto allineati ad uno stato dell’arte che evolve a velocità missilistica.

Figura 3 – Distribuzione delle preferenze espresse alle risposte della domanda 3 – “Quali aree aziendali della tua azienda saranno più impattate dalle sfide segnalate e dovranno cambiare maggiormente?”
La trasformazione dell’area Ricerca e Sviluppo
A pari merito con l’ICT quale area aziendale più impattata ed in trasformazione si posiziona la ricerca e sviluppo, comprendente tutti gli uffici tecnici dedicati alla progettazione ed all’ingegneria di prodotto e di processo, che raccoglie sempre 27 preferenze, ponendosi in diretta connessione con gli investimenti in innovazione, che -come si ricorderà – sono emersi come una delle principali leve a disposizione delle imprese per contrastare le sfide in corso. Ma quali linee evolutive sta prendendo la ricerca e sviluppo?
Anzitutto, anche tale funzione sta progressivamente fuoriuscendo dal paradigma tradizionale fondato sulla forte centralizzazione e segretezza del know-how sviluppato, per abbracciare la logica dell’open innovation, in forza alla quale il processo innovativo si sviluppa in maniera molto meno centralizzata e riservata, e molto più collaborativa e condivisa, sia internamente all’azienda (ad esempio, coinvolgendo e collaborando con il marketing, gli acquisti, la produzione ed altre funzioni chiave) sia esternamente ad essa, attivando continui scambi con università e centri di ricerca, fornitori, startup innovative, etc. Parallelamente alla summenzionata trasformazione dei processi innovativi, cambiano anche gli obiettivi ed i contenuti dei programmi di innovazione, che dopo essere stati concentrati per decenni quasi solo sui prodotti e sui processi secondo una stringente logica tecnico-ingegneristica, si aprono progressivamente anche ad altri ambiti, come per esempio l’innovazione di servizio, la decarbonizzazione o la digitalizzazione. Ed evolvono parallelamente anche le modalità operative adottate per pilotare ed organizzare l’innovazione, passando dallo schema della rigida sequenzialità proposto dal project management tradizionale ad approcci più snelli come i processi agile, o la parallelizzazione delle fasi di progetto suggerita dal paradigma concurrent.
Un secondo blocco di 3 aree si posiziona alle spalle del ICT e della ricerca & sviluppo, con un numero medio di 22 scelte, pari al 11% del campione di rispondenti. Esso comprende: il procurement, inclusivo di tutti i processi connessi alla fornitura ed agli acquisti / approvvigionamenti, essenziale soprattutto per controllare i costi e per filtrare e prevenire le perturbazioni provenienti da monte verso valle, un’area che è in piena transizione dal tradizionale ruolo di “ordinificio”, a quello di equilibratore della supply chain a monte, considerando anche che nell’industria i materiali diretti corrispondono mediamente al 50-70% del fatturato. Immediatamente dietro al procurement si posiziona l’area delle risorse umane, centrale sia nel contrastare la sfida posta dalla carenza di competenze, sia nel progetto e nella messa a terra dei programmi di change management essenziali per il rafforzamento e lo sviluppo delle nuove competenze. Un’area quindi che sta evolvendo dai tradizionali compiti di amministrazione del personale, tra cui l’assunzione e contrattualizzazione dei collaboratori e la contrattazione, fissazione ed erogazione dei compensi verso una visione più ampia volta all’empowerment delle persone, alla progettazione dei piani di sviluppo delle carriere e di formazione delle persone, alla valutazione dei risultati ed al progetto ed attivazione di un adeguato sistema premiante.
Ed infine, a pari merito con l’area delle risorse umane, si posiziona l’area della front line, comprendente tutte quelle funzioni aziendali che vengono a diretto contatto con il cliente, come ad esempio il marketing, le vendite, il customer care ed il post-vendita, funzioni evidentemente fondamentali per gestire le variabili competitive e per attivare modelli di business più cliente-centrici: ed è proprio la transizione dalla vendita di puro prodotto verso la vendita di soluzioni complete abilitate da piattaforme prodotto-servizio, spesso a base tecnologica, la più forte trasformazione in atto in quest’area.
Domanda 4 – Su quale di queste famiglie di tecnologie a supporto delle azioni indicate la tua azienda sta incontrando più difficoltà?
Siamo in questo caso in presenza di una domanda in un certo senso doppia: viene infatti chiesto di filtrare, tra le tecnologie adottate a supporto delle azioni indicate nella domanda 2 (Quali sono le leve che ritenete più utili per affrontare le sfide dell’impresa del futuro? n.d.r.), quelle sulle quali l’azienda sta incontrando maggiori difficoltà, implicitamente per la mancanza di competenze specialistiche sul tema. Le 137 risposte raccolte disegnano un quadro di quasi 3 scelte medie per rispondente e più di 15 risposte medie per opzione: il numero effettivo di preferenze va invece da un minimo di 6 ad un massimo di 25. I risultati sono presentati in figura 4.
Nuovamente, si staccano dalle altre le 3 risposte più gradite, che totalizzano il 53% delle preferenze con 24-25 preferenze; c’è poi una coppia di risposte con 17-18 preferenze, ed infine ne restano altre 4 che assommano appena il 21% delle preferenze, acquisendone 7 in media. Non è difficile considerare le preferenze attribuite alle diverse risposte disponibili per questa domanda come un approfondimento di dettaglio rispetto alle risposte acquisite per le precedenti domande e commentate in precedenza: in particolare la trasformazione digitale, vista dai rispondenti come la seconda più importante leva per affrontare le trasformazioni in atto, e l’ICT vista a pari merito con la ricerca & sviluppo quale area aziendale maggiormente impattata ed in cambiamento.
La criticità di generare e raccogliere dati di qualità
La prima delle famiglie tecnologiche indicate dai rispondenti, con 25 preferenze, pari al 52% dei rispondenti ed al 18% delle preferenze espresse per questa domanda, è la generazione e raccolta dei dati tramite Industrial Internet of Things e prodotti intelligenti ed interconnessi. Evidentemente, il primo ingrediente per supportare l’evoluzione a base digitale, ad esempio sostituendo decisioni data-driven alle tradizionali decisioni basate sull’esperienza, è considerata l’ingestione di moli crescenti di dati, che possono essere raccolti all’interno (ad esempio strumentando gli impianti ed i macchinari con opportuna sensoristica) oppure all’esterno dell’azienda, dotando i prodotti di una adeguata capacità di interazione con l’ambiente e di interconnessione. Questi dati potranno poi essere impiegati sia per supportare decisioni migliori (più informate e tempestive), sia per dare maggiore trasparenza e controllo ai processi, sia infine anche per abilitare nuovi servizi a valore aggiunto verso i clienti.

La grande famiglia dei sistemi di supporto alle decisioni
Ed infatti, non a caso la famiglia di tecnologie che si posiziona al secondo posto (con 24 preferenze, pari al 50% esatto dei rispondenti e al 18% delle preferenze totali di questa domanda) sono i sistemi di supporto alle decisioni, che includono digital twin e modelli di simulazione; gli analytics; e soprattutto le tecnologie di machine learning (ML) ed intelligenza artificiale generativa (GenAI).
Visto il poderoso hype che sta vivendo, in effetti era difficile pensare che l’intelligenza artificiale non si posizionasse molto in alto in questa speciale classifica tra famiglie di tecnologie. Investire in sistemi di supporto alle decisioni basati sulle tecnologie menzionate non è solo la scelta più logica per valorizzare le moli crescenti di dati che vengono raccolte: essa è anche una direttrice completamente coerente con la linea di evoluzione e cambiamento che è stata descritta per l’area ICT, in cui accanto alle tradizionali grandi applicazioni transazionali vengono progressivamente adottati applicativi di minore peso e dimensione, verticalmente specializzati su specifici task. Esempi in questo senso riguardano la caoacità di prevedere la domanda commerciale futura oppure stimare la vita utile residue di un impianto di produzione capital intensive, e sono scelti non dal CIO ma direttamente dai singoli manager che dirigono le aree impattate.
L’ERP come infrastruttura per evolvere verso le tecnologie più innovative
Va però anche sottolineato, in parziale contrapposizione a quanto detto sopra, che esattamente a pari merito con la famiglia tecnologica costituita da queste innovative e specializzate app basate su molti dati e nuove tecnologie quali intelligenza artificiale o machine learning, si posiziona la famiglia costituita dallo sviluppo del panorama applicativo più tradizionale, costituito dagli Enterprise Resource Planning (ERP), Customer Relationship Management (CRM), Supplier Relationship Management (SRM), Product Lifecycle Management (PLM), Advanced Planning Systems (APS), Warehouse Management Systems (WMS), Manufacturing Execution Systems (MES), etc.
Questo posizionamento a pari merito con l’investimento nelle tecnologie più innovative può essere interpretato in vari modi: anzitutto, da giustizia al fatto che, senza una buona infrastruttura di centralizzazione dei dati e dei principali processi di business (solitamente fornita dai sistemi ERP), non è facile evolvere verso le tecnologie più innovative come ad esempio un gemello digitale. E, in secondo luogo, occorre anche considerare che – come confermano numerose ricerche empiriche – accanto ad aziende più grandi, evolute ed attrezzate, che hanno già realizzato gli investimenti per dotarsi di sistemi tradizionali allo stato dell’arte, esistono ancora numerose imprese tendenzialmente (ma non sempre!) medio-piccole, che sono dotate di una infrastruttura informativa antiquata e incompleta ed hanno quindi l’esigenza di adeguare il proprio landscape informativo allo stato dell’arte prima di spingersi verso l’utilizzo di tecnologie più innovative.
Gestione e accesso ai dati e virtualizzazione dei processi
Due ulteriori famiglie tecnologiche occupano il livello intermedio in questa domanda, con 17-18 preferenze, pari al 35-38% dei rispondenti ed al 12-13% delle preferenze complessive. La prima delle due è la gestione e l’accesso ai dati, comprendente tutte quelle tecnologie necessarie per strutturare data repository ordinate, complete e corrette senza perdere un facile accesso ed impiego dei dati ed al tempo stesso proteggendone l’integrità e la sicurezza, quali: big data; blockchain; data lake; business intelligence; data repository, etc. Questa famiglia tecnologica evidentemente fa il paio con la prima menzionata, quella che provvede alla generazione dei dati. Evidentemente generare enormi quantitativi di dati senza avere predisposto come immagazzinarli, conservarli, elaborarli e proteggerli rischia di essere un esercizio sterile, se non addirittura controproducente, e la famiglia di tecnologie in parola serve esattamente a questo.
La seconda di queste due famiglie intermedie è invece la virtualizzazione dei processi, che comprende quelle tecnologie atte a favorire il trasferimento nell’ambito digitale dei dati riferiti a processi organizzativi e decisionali, quali: process mining, process management e document management. Evidentemente l’impiego di queste tecnologie consente la raccolta di ulteriori dati relativi ai processi non fisici, parallelamente a quanto avviene nei processi manifatturieri attraverso le tecnologie IIoT e MES, ponendosi in evidente sinergia con tutte le famiglie tecnologiche viste sopra.
Conclusioni
Non è facile trarre le conclusioni dopo una discussione così ricca di temi e spunti, ampia ed articolata dei risultati della nostra survey, eppure ci proviamo.
Il primo elemento che emerge molto chiaramente è che viviamo un periodo estremamente perturbato ed incerto e che con ogni probabilità questo non è solo una fase relativamente breve di passaggio da una situazione di equilibrio ad un’altra: viceversa le perturbazioni credibilmente ci accompagneranno per molto tempo e probabilmente cresceranno e le aziende sono obbligate ad accettare, comprendere e adeguarsi a questo dato di fatto, per non rischiare di essere spazzate via dal mercato.
Alla ricerca di talenti
Questa però non è affatto l’unica sfida rispetto alla quale le aziende si dovranno guardare, perché è inevitabile la sfida per accaparrarsi le risorse umane ed il talento, legata all’inverno demografico, alla bassa propensione dei giovani italiani verso l’acquisizione di una laurea, ed all’ancora minore attenzione dedicata alle materie STEM. Non c’è dubbio che già oggi questo problema sta costando al paese nel suo complesso dei punti percentuali di PIL, ed inevitabilmente lo farà ancora di più nel futuro se non interverranno dei correttivi di sistema. E la terza sfida alla sopravvivenza delle nostre imprese è posta dalla progressiva chiusura della forbice costi-ricavi, legata da una parte all’aumento del costo dei fattori della produzione e dall’altra alla crescente competitività dei mercati. Insomma, un panorama decisamente in chiaroscuro nel quale non mancano sfide estremamente serie.
Idee chiare sulle sfide e sulle soluzioni
Fino a qui la parte negativa: ci sono però diversi spunti fortemente positivi che emergono dal sondaggio. Il primo è che, finalmente, la passione italiana per il piagnisteo e gli alibi pare messa da parte: infatti, vediamo che due alibi frequentemente agitati in maniera strumentale dalle imprese quando occorre motivare risultati al di sotto delle aspettative, e cioè il ciclo negativo del mercato e le colpe della politica, sono relegate agli ultimi due posti della graduatoria delle sfide, raccogliendo la preferenza di meno del 30% dei rispondenti. Un’altra bella notizia è che le preferenze espresse alle risposte della seconda domanda mostrano manager ed imprese che hanno le idee chiare su quali leve porre in atto per fronteggiare tali sfide: dallo sviluppo in ampiezza e profondità delle competenze disponibili, alla trasformazione digitale dei propri business, e dalla messa a punto di nuovi modelli di business capaci di porre più al centro il cliente e la sua soddisfazione agli investimenti in innovazione.
Le aspettative verso le aree ICT e Ricerca & Sviluppo
I manager rispondenti paiono avere le idee chiare anche su quali siano le aree aziendali che dovranno evolvere in maniera più significativa, indicando soprattutto l’area ICT e quella della Ricerca & Sviluppo, ed a seguire l’area del procurement, quella delle risorse umane e la front line. Si tratta di indicazioni complessivamente coerenti con le sfide in atto e con le leve che le imprese considerano di adottare.
Infine, anche il mix di tecnologie che i rispondenti hanno indicato pare allineato alle sfide in atto, alle leve adottate ed alle diverse aree aziendali che dovranno cambiare. Esse prevedono da un lato il potenziamento e l’adeguamento degli applicativi tradizionali (per le aziende più piccole e meno innovative, che non hanno ancora fatto questo passo) e dall’altro un ampio programma che comprende la raccolta e la gestione di moli crescenti di dati e la loro valorizzazione attraverso tecnologie innovative come l’intelligenza artificiale.
Ad un contesto estremamente sfidante e richiestivo le imprese rispondono quindi con idee chiare e coerenti su cosa fare e come farlo. Sarebbe bello sapere se si tratta solo di parole, per quanto ragionevoli, oppure se esse si traducono anche nei fatti che, giorno dopo giorno, possono garantire alle nostre imprese di vincere le sfide e di affermarsi. Ciò che è certo è che P4I ed il Gruppo Digital360 sono e saranno pronti a supportare le imprese (partecipanti al convegno e non) nell’affrontare le sfide in atto con le leve indicate; nella trasformazione delle diverse aree e funzioni aziendali al centro di questi processi evolutivi; nella scelta ed adozione delle tecnologie più adatte a supportare queste trasformazioni epocali; e nella crescita professionale del personale che vi partecipa.
Relativamente all’evento Verso l’impresa del futuro”, organizzato da Partners for Innovation sono disponibili anche i servizi:
Sfide e leve per costruire l’impresa del futuro
Competenze, competizione e trasformazione: come evolve l’impresa del futuro