Analisi

Sostenibilità aziendale: alcuni punti di riferimento

Strategia, compliance agli standard di rendicontazione, obblighi di disclosure e coerenza con le logiche di business sono alcuni dei temi che pongono le aziende davanti alla necessità di disporre di un orientamento specifico dettato dagli obiettivi di sostenibilità. la prospettiva di Riccardo Giovannini, Partner in charge of Climate change & sustainability services presso EY

Pubblicato il 24 Feb 2023

Riccardo Giovannini, Partner in charge of Climate change & sustainability services presso EY

La sostenibilità per le aziende rappresenta un tema complesso caratterizzato da una regolamentazione in perenne mutamento. Le necessità strategiche e di compliance legate a standard di rendicontazione ed obblighi di disclosure pongono le aziende nella posizione di doversi confrontare con questo tema in alcuni casi con la creazione di unità specializzate interne alle stesse o con il ricorso a consulenze esterne. Con Riccardo Giovannini, Partner in charge of Climate change & sustainability services presso EY, analizziamo gli sviluppi nell’approccio adottato dalle aziende nei confronti della sostenibilità ed il ruolo di una consulenza chiamata a a fornire un orientamento in vista di una sempre più stringente regolamentazione e della crisi climatica in atto.

Il rapporto tra sostenibilità ed aziende

Data la tua esperienza pluriennale nel settore, in base a ciò che hai potuto osservare come si è evoluto nel tempo l’approccio delle aziende verso la sostenibilità?

Inizialmente per le aziende la sostenibilità era vista come una tassa e nel corso del tempo questa concezione si è evoluta grazie ad una sempre maggiore presa di coscienza che ha fatto si che le aziende si approcciassero alla sostenibilità quale elemento da internalizzare per ragioni etiche. In aggiunta a questa ragione etica si è anche riscontrato il fattore strategico della sostenibilità quale opportunità per le aziende. In questo contesto le aziende che rilevavano il valore strategico della sostenibilità sono una minoranza mentre la ragione etica sta spingendo sempre più aziende ad interessarsi della materia.

Per quanto riguarda le aziende che ancora percepiscono la sostenibilità come una tassa da pagare, un elemento che sta portando tali organizzazioni ad approcciarsi alla tematica è la regolamentazione sempre più stringente in tema di reporting e disclosure. In definitiva si può affermare che vi è stata un’evoluzione culturale che tuttora fa sì che sempre più realtà si interessino alla tematica.

Rispetto a quest’evoluzione, da un punto di vista strategico, andando a discernere tra un approccio centrale e proattivo ed un approccio periferico e di compliance, hai riscontrato uno sviluppo che andasse verso una centralizzazione delle tematiche di sostenibilità nella strategia aziendale?

Il discorso strategico è un discorso di sensibilità imprenditoriale nel senso che ogni azienda, in base alle diverse variabili che vanno ad influire sulle proprie decisioni pone in essere azioni dettate dalle necessità proprie dell’impresa e dal volere di chi la gestisce che in molti casi rileva la necessità di ridurre i propri impatti in vista non solo del benessere dell’azienda ma anche in generale del mondo in cui essa opera.

L’impegno nel mettere in essere le azioni previste dal piano trova un ostacolo nel momento in cui sorgono problematiche dal punto di vista operativo che, unite all’incertezza dovuta al mercato ed alla variabile temporale, porta molte aziende a rinunciare a tali investimenti che in tal caso divengono un peso a volte troppo grande da sopportare.

Il vero elemento che segna la differenza è la prospettiva che molte aziende vedono, e quelle che percepiscono il valore strategico di lungo periodo risultano essere marginali rispetto alla maggioranza delle realtà.

L’aspetto normativo anch’esso ha dei pro e dei contro. Si può riscontrare positivamente come questo fenomeno contribuisca a creare un quadro di mercato di riferimento che non può non tener conto della sostenibilità e ciò fa percepire il peso che questo valore avrà nelle decisioni politiche.

L’aspetto negativo invece è l’appiattimento della distinzione tra aziende impegnate sulla tematica e aziende che approcciano l’argomento quale elemento di semplice compliance. Ciò fa percepire l’obbligo di uniformarsi come una costrizione e quindi rinvigorisce la visione della sostenibilità quale tassa.

Mentre fino ad oggi si potevano distinguere le società che si impegnano per volontà e quelle che approcciano in maniera difensiva la tematica. Con la maggiore rigidità normativa si avrà uno scenario in cui molte aziende non faranno altro che tenersi sulla linea di galleggiamento della compliance in modo da non essere penalizzate sul mercato rispetto all’inquadramento nei rating ESG e per la partecipazione in tender e gare pubbliche.

Il ruolo della consulenza e la rappresentanza in azienda dei temi di sostenibilità

Qual è stata l’evoluzione del ruolo della consulenza in ambito di sostenibilità e cosa ci si aspetta dal consulente di domani?

Il ruolo del consulente è passato progressivamente dalla consulenza tecnica con ruoli verticali specifici a una consulenza aziendale a 360 gradi. Ciò comporta un ampliamento del raggio d’azione non più soltanto legato ad aspetti operativi, i quali sono connessi all’evoluzione delle esigenze del cliente o della normativa, ma con attenzione anche ad aspetti strategici. Questa evoluzione ha comportato negli ultimi anni un cambiamento nel rapporto tra consulente e top management. Con questa trasformazione il consulente di sostenibilità sia non è più solo un supporto operativo in grado di offrire servizi variegati e rapidi e di rispondere alle esigenze operative dell’azienda, ma assume un ruolo strategico in grado di muoversi verticalmente sulla catena di comando andando a coadiuvare l’azione del top management.

Come è cambiato l’utilizzo di soluzioni tecnologiche in grado di migliorare l’erogazione dei servizi offerti? Come si muoverà al riguardo EY?

Il fine ultimo del consulente è quello di risolvere problemi attraverso l’offerta di servizi efficaci e che siano al passo con i tempi. EY ha sviluppato tools mirati in particolare a diverse tematiche quali reporting, documentazioni dei sistemi di gestione ambientali ed altre esigenze verticali riguardanti la tematica HSE. 

 

La normativa italiana ed internazionale in ambito di Sostenibilità

Rispetto all’attuale quadro normativo cosa pensi sia necessario implementare per poter ottenere un risultato significativo in termini di riduzione degli impatti aziendali in ambito ambientale e sociale?

L’argomento tocca nozioni afferenti a due livelli di analisi da tenere in considerazione. La prima è di carattere politico ossia quali sono le politiche che si instaureranno rispetto a tali norme e regolamentazioni e la seconda è di natura operativa, data dalla traduzione pratica di tali politiche.

Per quanto riguarda il primo livello di analisi, ossia le politiche, quest’ambito è di difficile analisi data la vastità di informazioni necessarie e la poca influenza che i singoli possono avere nell’indirizzare lo sviluppo di tali politiche. Il discorso è molto complesso poichè lo spettro d’analisi non si esaurisce con le aziende ma va ad indagare anche la sostenibilità generale legata alle attività umane. Una problematica importante che si sta riscontrando ad esempio con la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) è la praticità che tali normative hanno nel momento in cui devono essere applicate.

Nel caso della CSRD se attualmente dovessimo pensare di estendere il perimetro di obbligatorietà a 5000 aziende in Italia che vanno oltre le 200 aziende quotate che sono obbligate ad oggi ad applicare la normativa vigente,  si otterrebbe un effetto disastroso dato dall’impossibilità di strutture diverse di poter far fronte a richieste così dettagliate e approfondite. Personalmente ritengo che a causa della complessità della normativa e dell’incapacità di molte aziende a far fronte a ciò, nel caso di applicazione estesa si avrà quella che può essere definita un’adesione in bianco, ossia la produzione di documentazione insignificante poiché tecnicamente un’azienda non può limitare le proprie attività per concentrarsi sulla ricerca di dati ed indicatori che apportano un vantaggio marginale minimo.

La strada imboccata è corretta ma l’esecuzione attualmente risulta compromessa dall’elevato contenuto accademico di tali documenti che manca di senso pratico e che porterà le aziende a dover affrontare un peso molto importante da sostenere. Occorre procedere verso un obbligo ma occorre farlo in modo intelligente. Il tema non è da risolvere concedendo più tempo, che anzi rischierebbe di aggravare il problema. Si dovrebbe portare la normativa ad essere sempre più stringente tenendo in considerazione le necessità delle aziende ovvero senza soffocarle con una mole di indicatori complessi e non per forza efficaci.

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