La quarta edizione della Zero Carbon Policy Agenda, realizzata da Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, fotografa un’Italia che procede verso la neutralità climatica a passo troppo lento e con forti disomogeneità settoriali, con il rischio concreto di perdere benefici economici, industriali e sociali connessi alla transizione. Non basta, secondo l’analisi, far leva su dinamiche congiunturali: la riduzione dell’intensità emissiva deve derivare da cambiamenti strutturali in efficienza e sostituzione tecnologica, non solo dal rallentamento della domanda.
Riforme e obiettivi: il gap da colmare entro il 2030
Il documento sottolinea che occorre agire ora: la riduzione dei gas serra accumulata fin qui non basta a garantire il rispetto delle tappe al 2030. Rimandare, spiega, significa trasferire sul 2040-2050 una pressione ancora maggiore, con costi sociali ed economici più alti e minori chance di apprendimento e scalabilità industriale.
“In base alle proiezioni, i target fissati a fine decennio non sono raggiungibili, ma il gap si può ancora ridurre significativamente – spiega Vittorio Chiesa, direttore dell’E&S (nella foto in basso) – permettendo al Paese di rimanere agganciato alla traiettoria europea e non perdere terreno in termini di sviluppo industriale, sicurezza energetica e competitività internazionale. Il Report intende proprio fornire strumenti concreti e operativi per correggere la rotta”.
Questa cornice strategica chiarisce la funzione della Policy Agenda: passare dall’enunciazione degli obiettivi alla messa a terra, con parametri misurabili e tempi compatibili con la decade in corso.
Pnrr: molte risorse, attuazione lenta
Il Pnrr ha impresso una prima spinta, ma oggi si vedono segni di esaurimento e difficoltà di implementazione. Secondo il report la distanza tra fondi programmati, quote erogate e stato di avanzamento dei progetti comprime l’impatto climatico e industriale, rendendo meno efficace ogni euro speso.
“Cento miliardi di euro sono un impegno finanziario enorme – aggiunge Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e responsabile del Report – tuttavia è evidente il rallentamento soprattutto in settori chiave come l’economia circolare e la mobilità elettrica, e il Pnrr, che aveva alimentato una prima fase di crescita, mostra segni di esaurimento, anche per le difficoltà di implementazione: l’Italia ha destina to 79,6 miliardi di euro a interventi di decarbonizzazione su sette pilastri, tra cui rinnovabili, efficienza energetica, infrastrutture di rete e mobilità sostenibile, ma solo il 34% (27 miliardi) risulta effettivamente erogato. La media di avanzamento per pilastro è del 21%, appena in linea con il dato medio complessivo del Pnrr”.
Il messaggio è inequivocabile: il collo di bottiglia non sta nella disponibilità di risorse, ma nella capacità di esecuzione. Snellire gli iter, migliorare la qualità progettuale e la governance degli interventi è decisivo per trasformare i fondi in tonnellate reali di CO₂ evitate e in vantaggi competitivi per le imprese italiane.

Rischi e trade-off: perché agire ora conviene
L’Italia rischia di perdere capitale industriale, occupazione qualificata e sicurezza energetica se la transizione procede a strappi. Il ritardo, secondo il report, non si traduce solo in sanzioni o mancati obiettivi, ma in opportunità mancate lungo la catena del valore, a partire dalle filiere legate a rinnovabili, efficienza, reti e tecnologie abilitanti.
“Non va però dimenticato – aggiunge Chiaroni – che il mancato rispetto dei target europei comporta conseguenze rilevanti: l’Italia rischia non solo di sostenere un costo diretto, ma anche di rinunciare a opportunità strategiche come lo sviluppo di filiere industriali locali, nuova occupazione qualificata, maggiore sicurezza energetica. Paradossalmente, finanzieremmo la transizione energetica altrui senza godere appieno della nostra”.
Il punto, qui, è politico e industriale: anticipare gli investimenti più efficaci innesca apprendimento, riduce il rischio Paese e attira capitali. Ritardare in questo percorso causerebbe uno spostamento degli investimenti.
Rinnovabili e generazione: semplificare, pianificare, distribuire meglio
Tra le leve prioritarie, secondo lo studio, la generazione rinnovabile richiede procedure più snelle, certezza regolatoria e una pianificazione territoriale capace di bilanciare obiettivi ambientali, paesaggistici e accettabilità sociale. La traduzione operativa passa da strumenti che diano prevedibilità a investitori e comunità locali, con meccanismi di lungo periodo per accelerare i cantieri e avvicinare la produzione ai consumi.
Un’indicazione specifica del rapporto riguarda la necessità di approfondimenti sistematici sull’idoneità del patrimonio edilizio a ospitare produzione distribuita, all’insegna della “renewable readiness”. Questa parola-chiave guida la verifica preventiva di contesti e fabbricati per valutare a priori la fattibilità tecnica ed economica di impianti diffusi, favorendo una programmazione credibile e l’utilizzo efficiente delle reti.
Comunità energetiche: partecipazione e coesione territoriale
Le Comunità Energetiche Rinnovabili sono indicate come pilastro strategico per accelerare la decarbonizzazione nella periferia del sistema: piccoli comuni, aree rurali, distretti artigiani e PMI. Ampliare la cittadinanza energetica, rendere semplice e conveniente l’adesione, e collegare la partecipazione a benefici economici tangibili riduce la povertà energetica e distribuisce gli investimenti sul territorio, rafforzando il consenso sociale.
Reti e opzioni di medio periodo: capacità abilitante e informazione
Le reti sono l’infrastruttura che abilita tutto il resto. Investimenti mirati in digitalizzazione, resilienza, interconnessioni e tempi autorizzativi certi sono indispensabili per assorbire nuova capacità rinnovabile, abilitare flessibilità e garantire qualità del servizio. Sul fronte delle opzioni tecnologiche di medio-lungo periodo, il rapporto richiama la necessità di rafforzare la ricerca e di fondare il dibattito pubblico su informazione corretta, con comparazioni trasparenti costi/benefici e orizzonti temporali realistici.
Efficienza: dal sussidio alla misurabilità dell’impatto
L’efficienza energetica torna al centro con un approccio che sposta l’attenzione dall’incentivo al risultato misurabile. Legare gli strumenti di sostegno alla CO₂ evitata per euro investito, favorire accesso al credito e rafforzare la capacità tecnica nella PA consente di stabilizzare la domanda di interventi e di massimizzare l’impatto climatico al minor costo possibile.
Mercati del carbonio, CCUS ed economia circolare: colmare i tasselli mancanti
Per i mercati del carbonio conta definire regole chiare e metriche oggettive che premino l’efficacia climatica, evitando arbitraggi e greenwashing. Nel CCUS (cattura, utilizzo e stoccaggio della CO₂) occorrono incentivi allineati alla resa ambientale, infrastrutture adeguate e schemi contrattuali calibrati sui settori hard-to-abate. Sul fronte dell’economia circolare, la crescita rapida di fotovoltaico e batterie richiede un impianto normativo per il fine vita, con tracciabilità dei materiali critici, standard per riuso e seconde vite, e filiere di riciclo competitive.

Tre direttrici per cambiare passo
Nel complesso, la Policy Agenda delinea un percorso eterogeneo ma coerente, attraversato da tre direttrici comuni: più trasparenza e semplificazione, parametri chiari e misurabili di efficacia, coinvolgimento esteso di cittadini, imprese e territori. È il passaggio dalla stagione degli obiettivi programmatici a quella delle esecuzioni verificabili. Solo così gli investimenti potranno tradursi in tagli reali di CO₂ e in competitività industriale.