Sustainable Innovation

L’impresa del futuro: dalla crisi della pandemia alla costruzione di un nuovo modello economico, più produttivo, sociale e sostenibile

Contenuti, stimoli, idee, prospettive e casi concreti nell’evento organizzato da Vendor sui temi della trasformazione digitale, della sostenibilità dell’inclusione e dello sviluppo di nuove forme di generazione di valore

Pubblicato il 17 Giu 2021

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La digitalizzazione e l’innovazione dei processi produttivi, coniugata ad una sempre maggiore attenzione ai temi della sostenibilità e dell’inclusione aprono nuove sfide (ma anche nuove opportunità) per le imprese. Cambiamenti che sono stati accelerati dalla pandemia, che ha provocato uno shock improvviso al sistema, ma che apre anche nuove possibilità di risoluzione dei problemi strutturali delle nostre società, grazie alle ingenti somme messe a disposizione a livello nazionale ed europeo per favorire la ripartenza.

Sono questi i temi affrontati nel corso dell’evento “L’impresa del futuro: dal PNRR ai nuovi modelli di business. Un viaggio tra innovazione, sostenibilità ed inclusione” organizzato da Vendor, con la collaborazione di Innovation Post e Industry4Business, testate del gruppo Digital360, in collaborazione con il Festival Nazionale dell’Economia Civile e la Scuola dell’Economia Civile. Un evento fortemente voluto da Vendor, società di consulenza (ma che si propone di andare ben oltre i tradizionali servizi di advisory) e che si pone come partner delle imprese per guidarle in un percorso di efficientamento finanziario energetico e operativo. Un percorso che le imprese devono intraprendere per restare competitive in un mercato sempre più digitalizzato, dove è la domanda di sostenibilità (nella sua accezione più ampia) a guidare le scelte dei consumatori.

A questi trend si uniscono cambiamenti profondi nel concetto di economia, di fare impresa e di valore, in un’ottica di una sempre maggiore attenzione al ruolo dell’uomo nei processi produttivi e al suo rapporto con il territorio.

La rottura dei paradigmi del passato: verso l’economia civile

Si parla quindi di “economia civile” ̶   così la definisce Leonardo Becchetti, Direttore del Festival Nazionale dell’Economia Civile  ̶   che rompe i paradigmi del cosiddetto modello shareholder, ovvero quello dove l’impresa persegue il profitto per se stessa e per i suoi soci, a favore di un modello stakeholder, dove i benefici devono essere estesi a tutti i portatori di interesse. Sono proprio questi portatori di interesse (cittadini, imprese e Stato) ad assumere un ruolo più attivo in questo nuovo modello economico, incentrato sui temi di sostenibilità e inclusione.

Sostenibilità che è intesa nella sua accezione più ampia, a partire dal cambiamento dei meccanismi di produzione e consumo in un’ottica di riduzione dell’impatto ambientale, componente necessaria per conseguire gli ambiziosi obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici (come l’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica entro il 2050).

Per il raggiungimento di questi obiettivi è importante trovare nuove forme per premiare le aziende più virtuose. Un compito che coinvolge tutti i portatori di interesse: a partire dai cittadini che oggi hanno a disposizione una quantità di informazioni sempre maggiore per fare scelte di consumo informate e premiare le aziende più sostenibili.

Ma tanto deve fare anche lo Stato, che deve trovare il giusto equilibrio in quello che non può e non deve essere un sistema che guarda al passato, ma che deve essere capace di costruire nuove partnership pubblico-private per stimolare gli investimenti. Un sistema che semplifica le procedure – grazie anche alle riforme individuate nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – riduce i tempi e premia le aziende che sono davvero sostenibili.

“Creare valore aggiunto significa anche stimolare i privati a investire sulla sostenibilità. Questo si può fare, ad esempio, passando agli “appalti impact” come ci chiede da tempo l’Europa, ovvero quegli appalti che premiano i progetti presentati da imprese che promuovono sostenibilità”, sottolinea Becchetti.

Meccanismi che spingeranno le aziende a richiedere un maggiore sforzo nell’ambito della sostenibilità anche alle altre aziende della filiera con cui interagiscono. Questo è un tema chiave soprattutto per mobilitare le piccole e medie imprese, precisa Becchetti, che ancora oggi non hanno abbracciato queste rivoluzioni in corso.

I fattori che abilitano il cambiamento verso strategie orientate alla sostenibilità

Cambiamenti che tuttavia saranno necessari alla sopravvivenza di queste aziende che, se colte impreparate, rischiano di venir lasciate fuori dal mercato, perché presto la sostenibilità agirà come elemento di selezione tra le aziende che prospereranno e quelle che saranno destinate a chiudere.

Alla luce di questo, tuttavia, dovranno essere rivisti anche i meccanismi di rendicontazione e certificazione della sostenibilità delle imprese, snellendo le procedure e ridimensionando i costi, per facilitare la partecipazione anche delle PMI.

A fronte di quello che c’è ancora da fare, molto si sta già facendo, soprattutto nelle grandi imprese che si sono mosse per prime, anche seguendo logiche di marketing. Ma sono tante le aziende che svolgono attività in linea con gli ESG Environmental, Social, Governance, termine che fa riferimento proprio alle azioni legate al raggiungimento della sostenibilità nella sua accezione più ampia, che non vengono ad oggi registrate come tali.

“Molte aziende già adottano pratiche sostenibili, che tuttavia non vengono registrate come tali perché spesso il concetto di sostenibilità è legato soltanto alla riduzione dell’impatto ambientale”, spiega Lorenzo Maternini, Co-Founder e Vice President di Talent Garden.

Si deve partire, quindi, dalla valorizzazione di quello che già si sta facendo  ̶  a cominciare dai percorsi di formazione, che restituiscono anch’essi un valore aggiunto alla comunità e promuovono la sostenibilità sociale  ̶   delineando nuovi obiettivi aziendali e strategie mirate alla promozione della sostenibilità a 360 gradi, in una visione di lungo termine (5-8 anni almeno).

Un nuovo concetto di lavoro che spinge a ridisegnare le relazioni all’interno dell’azienda

Obiettivi che l’azienda può disegnare con il coinvolgimento dei dipendenti stessi. Nella Quarta Rivoluzione Industriale, infatti, cambiare è il concetto stesso di lavoro, non inteso più come mero mezzo di sostentamento, ma di realizzazione della persona stessa. Di conseguenza, il lavoratore si avvicina all’impresa non solo per avanzare nella sua carriera, ma anche in virtù della visione che ha del futuro dell’azienda stessa, della posizione che la vede assumere nello scenario nazionale e internazionale. Un cambiamento che porta a ridisegnare i rapporti all’interno dell’azienda in un’ottica di un maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione del lavoratore stesso, ma che di conseguenza obbliga le aziende a rivedere il concetto di welfare aziendale. Welfare che deve rispondere alle esigenze di flessibilità dei lavoratori, in un’ottica di contaminazione tra vita privata e lavoro. “Il lavoratore oggi vuole formarsi in azienda e lavorare in salotto”, spiega Maternini.

Cambiamenti abilitati dalle tecnologie digitali, che richiedono tuttavia un nuovo concetto di formazione (che diventa anch’essa un benefit che l’azienda deve offrire ai dipendenti), in cui tecnologia ed esperienza si fondono per sfruttare al meglio il bagaglio di conoscenza presente in azienda.

“Non dobbiamo aspettarci che tutti in azienda diventino nativi digitali immediatamente. La tecnologia non risolve tutti i problemi, sappiamo ad esempio che non tutte le tecnologie digitali sono anche sostenibili. Il valore va ricercato, dunque, nell’esperienza umana”.

Dalla pandemia, tuttavia, abbiamo imparato che la tecnologia può superare vecchi paradigmi produttivi che ad oggi risultano privi di senso, come l’ostinazione di molte aziende a non voler adottare soluzioni di lavoro flessibile. Con l’emergenza sanitaria si è capito, in cambio, che è possibile essere produttivi e creare valore anche a distanza. Cambiamenti da cui difficilmente si tornerà indietro.

Le aziende sociali esistono e sono più competitive: il caso di Reynaldi

Del resto, costruire nuovi rapporti con i dipendenti che restituiscano valore al loro tempo è possibile e arreca vantaggi concreti ai dipendenti, all’ambiente, alla comunità e all’azienda stessa. Un esempio concreto è quello dell’azienda di cosmetici Reynaldi, la prima società benefit in Italia nell’ambito della cosmesi. Un’azienda dedita da sette anni sui temi della sostenibilità, il cui impegno è valso al suo Ceo, Marco Piccolo, il Premio per l’Economia civile.

Una sostenibilità che parte già dalla produzione: nel 2020 l’azienda ha infatti convertito l’intera fornitura di energia elettrica ad energia generata da fonti rinnovabili. “Un’azione che ha permesso di ridurre le nostre emissioni di 117,9 tonnellate di CO2 in un anno e mantenerle al minimo per gli anni futuri”.

“Investiamo il 14% in ricerca e sviluppo su progetti di economia circolare quindi cercare di prendere gli scarti dalla filiera alimentare e riutilizzarli nella cosmetica”, spiega Piccolo. Investimenti che hanno permesso all’azienda di migliorare il packaging e di installare un sistema innovativo a circuito chiuso che assicura il recupero delle acque di produzione necessarie all’utilizzo dei macchinari. All’interno di Reynaldi, tuttavia, la sostenibilità si concretizza in tutte le sue dimensioni, anche quella sociale, attraverso la valorizzazione del rapporto con i dipendenti e del loro tempo al di fuori dell’azienda.

“Cerchiamo di chiudere la giornata lavorativa per le 17/17:30, così che i nostri dipendenti abbiano tempo di andare a prendere i bambini a scuola, di curare i loro affetti”, spiega Piccolo. Il risultato? Nel 2020 il fatturato di Reynaldi è cresciuto del 26%, “perché quando le persone sono felici mettono il cuore in quello che fanno”.

Un impegno che l’azienda ha riconosciuto, decidendo di dividere un terzo degli utili proprio con i dipendenti, sotto forma di premio aziendale. Non mancano, inoltre, i progetti volti a trasferire valore aggiunto sul territorio, sia localmente che all’estero. Tra i tanti che vedono impegnata Reynaldi, citiamo il progetto in Burkina Faso, che ha aiutato una comunità di 25 famiglie a combattere la situazione di estrema indigenza in cui versavano. “Nel 2003 una nostra amica cooperante ci chiese se potevamo costruire un pozzo per sostenere questa comunità che stava morendo di fame  ̶   spiega Piccolo  ̶   noi invece di mandare dei soldi, abbiamo deciso di creare un progetto di lavoro sostenibile”. Dalla comunità l’azienda prende il burro di Karité per una linea di cosmetici ideata appositamente per il progetto, pagando il prezzo europeo (10-15 volte più alto di quello locale). Inoltre, alla comunità sono stati dati gli strumenti necessari per produrre il prodotto stesso e venderlo sul territorio. “Per restituire valore aggiunto al territorio non basta lo sforzo di una sola azienda, ma dobbiamo collaborare tra aziende simili, contaminarci e lavorare insieme, in un’ottica di open innovation”, aggiunge Piccolo.

Il progetto Dolphins: CNH Industrial

Proprio una simile collaborazione ha portato alla realizzazione del Progetto Dolphins, che si è aggiudicato nel 2021 il Manufacturing Leadership Award, riconoscimento della National Association of Manufacturers (NAM), la più grande associazione manifatturiera degli Stati Uniti. Il Progetto, sviluppato da CNH Industrial, con l’Università di Torino e Rada (azienda che sviluppa soluzioni informatiche nell’ambito del Manufacturing Process Engineering), ha portato alla creazione di una macchina predittiva, in grado di anticipare i malfunzionamenti dei macchinari e rilevare difetti nei prodotti. Il tutto grazie all’utilizzo dei dati e alla costruzione di un gemello digitale dell’impianto, come spiega Paolo Foglio, System Integrator di CNH Industrial.

“Dolphins permette di far parlare le macchine, perché il gemello digitale segnala se c’è qualcosa che non va nel processo e nel prodotto. Al momento la utilizziamo per la manutenzione produttiva, vista l’ampia disponibilità dei dati”, spiega Foglio. Nell’impianto di Iveco di Brescia, dove è al momento utilizzata, ha dimostrato di poter prevedere un guasto con un livello di affidabilità del 90% in poche ore, prima che l’evento si verifichi. Nel futuro, Dolphins potrà essere utilizzata anche per la cybersecurity, rilevando minacce o attacchi esterni.

Gli enti e i fondi a sostegno del cambiamento

I cambiamenti visti finora sono tutti necessari per rispondere alle sfide che le imprese si trovano davanti. “Temi quali inclusione, sostenibilità, senso della comunità sono temi che richiedono tempo, impegno e risorse economiche. È chiaro che un’azienda per poterle attuare deve essere in salute e generare profitti”, commenta Michele Bonelli, Ceo di Vendor.

Le imprese italiane, tuttavia, si trovano in una situazione svantaggiata rispetto ai “cugini” europei (Francia e Germania) perché operano in un Paese che è troppo in ritardo sul digitale (come ha sottolineato l’ultimo rapporto Desi) e che tra il 1999 e il 2019 ha registrato una crescita del Pil del 7%. “Se è vero, come lo è, che i tempi sono cambiati è bene rendersene conto e agire subito per interpretarli al meglio delle nostre possibilità”, continua Bonelli.

Per questo Vendor ha scelto di anticipare il cambiamento, partendo dall’interno, avviando un percorso rivolto all’inclusione dei collaboratori, con due nuovi team molto allargati che hanno l’obiettivo di invertire le logiche di governance, creare un modo nuovo di welfare, portare avanti progetti sostenibili all’interno e all’esterno della azienda e costruire un percorso formativo costante per accrescere le professionalità e quindi la soddisfazione dei singoli. Forte di questa esperienza, l’azienda vuole aiutare anche i suoi partner a raggiungere questi obiettivi.

Per farlo, tuttavia, non serve solo esperienza e personale specializzato. Servono anche le occasioni giuste e i fondi necessari. In quest’ottica si muovono i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea per guidare la transizione verso digitale e verde (il Next Generation Eu, che mette a disposizione 750 miliardi di euro, a cui si aggiungono i 13 miliardi del React Eu e i 30,6) e i fondi messi a disposizione dall’Italia, come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il Fondo Complementare.

“Un’occasione unica, che ci spinge a ripensare i nostri bisogni tecnologici e che ha smosso l’inerzia degli imprenditori, che ora vogliono tornare a investire”, sottolinea Marco Taisch, Presidente MADE Competence Center Industria 4.0.

Proprio i Competence Center, che tra le tante attività si occupano di trasferimento tecnologico, avranno un ruolo ancora più importante nella fase di ripresa post pandemia. Non solo livello nazionale, ma anche attraverso la partecipazione a progetti europei. È il caso, ad esempio, di Artes 4.0, capofila di uno dei 45 progetti candidati a diventare uno degli European Digital Innovation Hub, i poli d’innovazione digitale che dovranno assicurare la transizione digitale dell’industria, con particolare riferimento alle PMI. “Il PNRR rappresenta una grande opportunità per superare gli ostacoli all’adozione delle tecnologie  ̶   commenta Lorna Vatta, Direttrice Esecutiva di Artes 4.0. ̶   Al momento siamo sulla strada giusta perché veniamo da quasi cinque anni di politica industriale ininterrotta, grazie anche al Piano Transizione 4.0”.

Opportunità che devono essere sfruttate per ricucire non solo le ferite provocate dalla pandemia, ma anche per disegnare un Paese più produttivo, sostenibile e inclusivo.

Immagine fornita da Shutterstock

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