l’approfondimento

Calcolo dell’impronta ecologica: come misurare la pressione umana sul pianeta



Indirizzo copiato

Dalla relazione tra consumi e rigenerazione naturale alla lettura dei dati globali più citati, una guida per comprendere perché questo indicatore è diventato centrale nel dibattito su sostenibilità, politiche pubbliche e responsabilità collettiva

Pubblicato il 19 dic 2025



impronta ecologica

L’Ecological Footprint è oggi una delle metriche più utilizzate per descrivere il rapporto tra attività umane e limiti naturali del pianeta. Secondo il Global Footprint Network, si tratta dell’unico indicatore che mette direttamente a confronto quanto utilizziamo la natura e quanta natura è disponibile per rigenerarsi.

In termini semplici, l’impronta ecologica misura la domanda di risorse biologicamente produttive – terra e mare – necessarie a fornire ciò che consumiamo e ad assorbire i rifiuti che produciamo, in particolare le emissioni di CO₂. Questa impostazione rende l’indicatore estremamente efficace dal punto di vista comunicativo: non si limita a quantificare singoli impatti ambientali, ma restituisce una visione complessiva della pressione esercitata sugli ecosistemi.

Come chiarisce anche l’Enciclopedia Britannica, l’ecological footprint non risponde alla domanda “quante persone può sostenere la Terra”, ma ribalta la prospettiva chiedendosi quanta Terra serve per sostenere i nostri attuali modelli di consumo . È proprio questo cambio di punto di vista ad averne favorito la diffusione presso governi, imprese e organizzazioni internazionali.

Le categorie di superficie: da dove arriva la pressione sugli ecosistemi

Il calcolo dell’impronta ecologica si basa sull’analisi di sei principali categorie di superficie biologicamente produttiva. Il Global Footprint Network distingue infatti tra cropland, grazing land, fishing grounds, forest, built-up land e carbon demand on land.

Le superfici agricole (cropland) rappresentano la base della produzione alimentare vegetale e di fibre naturali, mentre i pascoli (grazing land) sono legati alla zootecnia. I mari e gli oceani entrano nel calcolo attraverso le aree di pesca (fishing grounds), fondamentali per l’approvvigionamento proteico di una parte rilevante della popolazione mondiale.

Alle foreste è affidato un duplice ruolo: fornire legname e prodotti forestali, ma anche assorbire anidride carbonica, funzione che diventa centrale nella categoria denominata “carbon demand on land”. Quest’ultima non misura direttamente le emissioni, bensì la quantità di superficie forestale teoricamente necessaria per sequestrare la CO₂ generata dall’uso di combustibili fossili.

Infine, il built-up land include le superfici occupate da infrastrutture, città e insediamenti umani. Pur rappresentando una quota relativamente ridotta, ha un forte valore simbolico perché rende visibile l’irreversibilità di alcune trasformazioni territoriali.

Biocapacità: il lato dell’offerta della natura

Se l’impronta ecologica misura la domanda, la biocapacità rappresenta l’altra faccia della medaglia. Essa indica la capacità degli ecosistemi di rigenerare risorse biologiche e di assorbire rifiuti, sempre espressa in ettari globali (gha), un’unità standardizzata che consente confronti tra Paesi e regioni.

Il confronto tra impronta ecologica e biocapacità permette di capire se un territorio vive in deficit ecologico o dispone di una riserva ecologica. Nel primo caso, la domanda supera l’offerta naturale disponibile e viene compensata importando risorse, degradando ecosistemi locali o accumulando CO₂ in atmosfera.

Questo approccio è particolarmente utile per leggere le disuguaglianze globali. Come evidenzia la Britannica, nel 2023 l’impronta ecologica media globale era pari a 2,6 gha pro capite, mentre la biocapacità disponibile era di circa 1,5 gha a persona . Il risultato è un overshoot ecologico strutturale, che caratterizza il sistema economico globale da oltre quarant’anni.

Overshoot ecologico ed Earth Overshoot Day

Il concetto di ecological overshoot descrive la situazione in cui l’umanità consuma risorse più velocemente di quanto la Terra riesca a rigenerarle. È su questa base che nasce l’Earth Overshoot Day, la data simbolica che segna il giorno in cui il “budget” annuale di risorse naturali viene esaurito.

Negli ultimi decenni, questa data si è progressivamente anticipata, collocandosi ormai nel cuore dell’estate. Secondo il Global Footprint Network, l’overshoot globale equivale oggi a vivere come se avessimo a disposizione circa 1,7 pianeti.

Il valore comunicativo dell’Overshoot Day è enorme, perché rende immediatamente percepibile un concetto altrimenti astratto: stiamo attingendo a capitale naturale invece che vivere di rendita ecologica. Ed è proprio questo consumo di capitale naturale che, nel medio-lungo periodo, si traduce in perdita di biodiversità, instabilità climatica e crisi dei servizi ecosistemici.

Il Living Planet Report: impronta ecologica e biodiversità

Il Living Planet Report, realizzato ogni due anni dal WWF in collaborazione con il Global Footprint Network, utilizza l’impronta ecologica come una delle metriche chiave per interpretare lo stato del pianeta accanto agli indici di biodiversità.

L’edizione 2024 documenta un dato particolarmente allarmante: in soli 50 anni la dimensione media delle popolazioni di vertebrati selvatici è diminuita del 73%. Questo declino è strettamente legato ai modelli di consumo e produzione che l’impronta ecologica rende visibili.

Il report sottolinea come la perdita e il degrado degli habitat – alimentati da agricoltura intensiva, deforestazione e urbanizzazione – siano tra i principali driver di questa crisi. In questo senso, l’impronta ecologica non è solo un indicatore di pressione ambientale, ma diventa una chiave di lettura sistemica per comprendere il legame tra consumi umani, uso del suolo e collasso della biodiversità.

Dal cittadino al decisore: il Footprint Calculator

Accanto ai conti nazionali, il Global Footprint Network ha sviluppato il Footprint Calculator, uno strumento online che consente a individui e comunità di stimare la propria impronta ecologica personale. L’obiettivo non è la precisione scientifica assoluta, ma la consapevolezza.

Attraverso domande su alimentazione, mobilità, abitazione e consumi, il calcolatore restituisce una stima espressa in “pianeti Terra”. È un approccio educativo che traduce dati complessi in un linguaggio accessibile, favorendo una riflessione concreta su come le scelte quotidiane incidano sugli equilibri globali, come riconosce anche la Britannica.

L’approccio europeo: dalla impronta ecologica alla consumption footprint

A livello istituzionale, l’Unione Europea affianca all’impronta ecologica un indicatore complementare: la consumption footprint, basata su metodologie di Life Cycle Assessment e sugli standard Environmental Footprint (PEF/OEF) della Commissione europea.

Questo indicatore misura l’impatto ambientale complessivo dei consumi europei lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti, indipendentemente dal luogo di produzione. I dati mostrano che tra il 2010 e il 2022 la consumption footprint dell’UE è aumentata di circa l’8%, e che l’Unione non è attualmente in linea con l’obiettivo di ridurla entro i confini planetari.

L’interesse di questo approccio sta nella sua maggiore granularità: mentre l’impronta ecologica offre una visione sintetica e intuitiva, la consumption footprint consente di intervenire in modo più mirato su filiere, prodotti e categorie di consumo.

Limiti e valore strategico dell’impronta ecologica

Come ogni indicatore sintetico, anche l’impronta ecologica presenta limiti riconosciuti. Non include, ad esempio, alcune pressioni ambientali come l’uso dell’acqua o l’impatto di sostanze tossiche. Tuttavia, come sottolinea la Britannica, la sua forza sta nella capacità di comunicare in modo chiaro la non sostenibilità degli attuali modelli di sviluppo.

In un contesto ESG, l’impronta ecologica rimane uno strumento strategico per collegare politiche ambientali, responsabilità sociale e governance, offrendo un quadro di riferimento comprensibile anche ai non addetti ai lavori.

Misurare per trasformare

Il calcolo dell’impronta ecologica non è un esercizio teorico, ma un atto politico e culturale. Misurare significa rendere visibile ciò che spesso resta implicito: la distanza crescente tra i nostri consumi e la capacità della Terra di sostenerli.

In un’epoca segnata da crisi climatica e perdita di biodiversità, l’impronta ecologica continua a svolgere un ruolo fondamentale nel ricordarci che la sostenibilità non è solo una questione di efficienza, ma di limiti. E che ignorarli ha un costo che le generazioni future stanno già iniziando a pagare.

guest
0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati

0
Lascia un commento, la tua opinione conta.x