Geopolitica e ambiente

High-tech, green e difesa: i pilastri sono le “terre rare”, ma la Cina scuote gli equilibri

Indispensabile per vincere le sfide della decarbonizzazione e della digitalizzazione, l’industria legata a questi 17 elementi chimici è in mano alla potenza orientale grazie a una politica fatta di produzione a basso costo, alti dazi sulle esportazioni e limitazioni artificiali dell’offerta. In un libro dedicato all’argomento, la professoressa di Scienze ambientali della New York University Sophia Kalantzakos analizza storia, meccanismi e prospettive di un settore destinato a far tremare i già fragili assetti internazionali 

Pubblicato il 04 Ago 2021

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Lantanio e neodimio sono parte integrante dei motori ibridi. Disprosio e terbio sono componenti cruciali dei magneti permanenti così come ittrio ed europio dei display per smartphone e il tulio dei dispostivi medici per raggi X. In pochi le conoscono per nome, ma oggi le terre rare rappresentano risorse vitali per la produzione di un’ampia varietà di applicazioni high-tech, green e per la difesa: dalle turbine eoliche ai sottomarini, dall’intelligenza artificiale al 5G.

Più ancora che rare, sono difficili e costose da estrarre. Tanto che, a partire dagli anni Novanta, la Cina è riuscita a ottenere il controllo di circa il 97% dell’industria del settore attraverso una produzione a basso costo, alti dazi sulle esportazioni e limitazioni artificiali dell’offerta. Ponendo le basi per un’egemonia che giorno dopo giorno diventa sempre più complicata da gestire per i Paesi Occidentali, anche a causa dei cambiamenti innescati dalla pandemia di Covid-19.

Nel suo libro “Terre rare”, tradotto in Italia da Bocconi Editore – Egea, la professoressa di Scienze ambientali e Politiche pubbliche alla New York University Sophia Kalantzakos tenta di portare alla luce storia, meccanismi e prospettive di un settore destinato a scuotere i già fragili equilibri internazionali nei prossimi decenni.

Elementi indispensabili per il futuro

Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici che includono la famiglia dei lantanidi più lo scandio e l’ittrio. A discapito della loro relativamente scarsa notorietà, sono ormai indispensabili nello sviluppo dell’odierna tecnologia dell’informazione (IT), nelle tecnologie della mobilità e dell’energia. Sia la decarbonizzazione globale sia la rivoluzione digitale – accelerata dalla pandemia – si basano su di esse (oltre che su un gruppo sempre più numeroso di altri minerali critici come il litio e il cobalto) e la Cina continua a controllarne la produzione e le catene di fornitura dalla miniera al mercato.

Di più: altri minerali critici provengono in larga misura da Paesi in via di sviluppo con cui la Cina ha stabilito nel tempo ottime relazioni, consolidando la propria posizione privilegiata su due fronti. Da un lato, infatti, l’accesso diretto a queste materie prime rappresenta un vantaggio nei piani di sviluppo con cui il Dragone punta ad affermarsi come prima potenza tecnologica globale; dall’altro, invece, offre al Paese un peso ancora maggiore nello scacchiere della diplomazia internazionale, in cui l’accesso alle risorse gioca un ruolo fondamentale.

In quest’ottica, ricorda Kalantzakos, è emblematica la crisi del 2010, quando le terre rare e il monopolio cinese su di esse giunsero al centro dell’attenzione globale dopo che la Cina ne bloccò ufficiosamente le esportazioni verso il Giappone, prima di essere costretta a rimuovere le restrizioni.

I tentativi internazionali (non riusciti) di affiancarsi all’egemonia cinese

Da allora lo scenario di fondo non è cambiato: Kalantzakos spiega come tanti Paesi abbiano cercato – e stiano tuttora cercando – di affrancarsi dall’egemonia cinese nel settore ma senza ancora essere riusciti a trovare soluzioni convincenti.

Sophia Kalantzakos

Più di una semplice disputa commerciale, quindi, il caso delle terre rare deve essere visto come una parte del più ampio discorso dei rapporti di forza globali. Secondo Kalantzakos, infatti, l’incapacità di Stati Uniti ed Europa di mettere in atto politiche volte all’approvvigionamento futuro e di trovare una soluzione sostenibile per la produzione di terre rare al di fuori della Cina indica che la competizione sulle risorse è destinata a perdurare e a segnare i prossimi anni. 

“Il mondo oggi deve confrontarsi con la posizione dominante di una grande potenza su materiali strategici in un modo che non ha paragoni con il passato”, commenta Kalantzakos. “Abbiamo osservato come la Cina ha raggiunto questa posizione dominante e il mondo ha intravisto qualcosa della sua inclinazione a usarla per promuovere i propri obiettivi politici ed economici. Nello stesso tempo, abbiamo visto come i suoi competitor internazionali si sono dimostrati incapaci di correggere questa asimmetria, di modificare efficacemente la strategia cinese e di impedire effetti di ricaduta sugli equilibri geopolitici. Come elementi chimici, le terre rare sono abilitatori. Come strumenti politici, si stanno trasformando sempre di più in un catalizzatore in una nuova era di relazioni internazionali potenzialmente instabili”.

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