La COP28 (qui lo speciale di ESG360) si è conclusa nei giorni scorsi e, come sempre accade alla fine di questi mega eventi, di primo acchito non è chiaro se il bicchiere possa essere visto come mezzo pieno o mezzo vuoto. Ma andiamo con ordine: indubbiamente il messaggio finale firmato dai rappresentati di quasi 200 Paesi è senza precedenti, soprattutto per quello che è arrivato al grande pubblico. Al termine di due settimane di negoziati intensi e difficili è stato infatti messo nero su bianco che il mondo è unito nella volontà di abbandonare rapidamente i combustibili fossili. Che come noto, sono considerati dagli scienziati globali come la causa numero uno del cambiamento climatico.
La rinuncia al Phase out
In questo senso l’approvazione del testo finale indica senza possibilità di equivoci di sorta che tutte le Parti sono d’accordo sulla necessità di uscire gradualmente dai combustibili fossili puntando su energie pulite e efficienza. D’altra parte, però, il testo non contiene più il termine “phase-out”, utilizzato in ambito energetico per indicare l’abbandono dei combustibili fossili, ma usa un termine più generico “Transitioning away”, invitando quindi i sottoscrittori a “transitare fuori dai combustibili fossili nei sistemi energetici in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico”. Oltre 100 paesi avevano fatto pressioni per un linguaggio decisamente più forte nel testo della COP28, facendo anche esplicito riferimento anche alle fonti fossili in questione (petrolio, gas e carbone) ma si sono scontrati con la forte opposizione del gruppo di produttori di petrolio guidato dall’Arabia Saudita.
I membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) controllano quasi l’80% delle riserve petrolifere provate del mondo insieme a circa un terzo della produzione globale di petrolio e le loro economie attuali sono ancora strettamente legate ai combustibili fossili. Al contrario, gli Stati insulari vulnerabili al clima sono stati tra i sostenitori più strenui di un riferimento ancora più esplicito per eliminare i combustibili fossili e hanno comunque potuto contare sul sostegno di importanti produttori di petrolio e gas come gli Stati Uniti, il Canada e la Norvegia, oltre all’Unione Europea e a molti altri governi.
Attuazione fondamentale nel lungo termine
Insomma, quello che è stato raggiunto è, inevitabilmente, un compromesso. Come valutarlo? Il presidente della COP28, Sultan al-Jaber, ha definito l’accordo “storico”, ma ha aggiunto che il suo vero successo risiederà nella sua attuazione. “Siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo”, ha detto in seguito summit. “Dobbiamo intraprendere le misure necessarie per trasformare questo accordo in azioni tangibili”. Insomma, considerato che non esiste né esisterà nessuna autorità a vigilare sull’effettivo rispetto degli impegni presi alla COP28, la bontà del compromesso raggiunto andrà valutata nel lungo termine dalle azioni volontarie effettivamente attuate dai governi nazionali.
D’altra parte, però, visto e considerato che non pochi osservatori temevano che i negoziati si sarebbero conclusi in un punto morto, l’accordo siglato può essere visto con una punta di ottimismo. Dal punto di vista strettamente energetico, poi, gli impegni assunti a triplicare la capacità delle fonti rinnovabili e a raddoppiare l‘efficienza energetica appaiono comunque destinati ad aumentare il numero dei progetti l’attenzione degli investitori.
Il punto di vista dell’Italia
Questo è anche il punto di vista del Governo italiano, ad esempio: “L’intesa raggiunta a Dubai tiene conto di tutti gli aspetti più rilevanti dell’accordo di Parigi e delle istanze, profondamente diverse tra loro, dei vari Stati, che tuttavia riconoscono un terreno e un obiettivo comune, con la guida della scienza. Per questo, riteniamo il compromesso raggiunto come bilanciato e accettabile per questa fase storica, caratterizzata da forti tensioni internazionali che pesano sul processo di transizione. L’Italia, nella cornice dell’impegno europeo, è stata impegnata e determinata fino all’ultimo per il miglior risultato possibile – ha evidenziato Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto – .
Sulle fonti fossili abbiamo cercato un punto di caduta più ambizioso, ma nell’intesa c’è un chiaro messaggio di accelerazione verso il loro progressivo abbandono, riconoscendone il ruolo transitorio: abbiamo per la prima volta un linguaggio comune sulla fuoruscita dai combustibili fossili, per le emissioni zero nette al 2050. L’accordosancisce la necessità di profonde e rapide riduzioni delle emissioni di gas serra, in un quadro di contestuale forte affermazione delle rinnovabili. Tra i tanti risultati apprezzabili vi è il riconoscimento di un ruolo chiave per il nucleare e l’idrogeno”.
Articolo originariamente pubblicato il 17 Dic 2023