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ISMEA sulle vulnerabilità della filiera agroalimentare tra cambiamenti climatici e dipendenza dall’estero



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Il Rapporto sull’agroalimentare italiano di ISMEA sottolinea la crescita del settore nonostante la dipendenza dall’estero per materie prime cruciali e gli eventi climatici estremi. L’export è cresciuto dell’8,2% nel 2024, con l’obiettivo di raggiungere i 70 miliardi di euro, ma pesano le sfide della contraffazione e dell’Italian sounding

Pubblicato il 25 nov 2024



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L’industria agroalimentare italiana ha sperimentato una crescita significativa sia sul fronte interno che estero, grazie a una maggiore apertura internazionale che ha favorito i rapporti commerciali e a un robusto sistema produttivo e logistico che ha alzato il grado di autonomia delle forniture rispetto ai fabbisogni alimentari. Si tratta dei progressi emersi dal Rapporto ISMEA 2024 sull’agroalimentare italiano, che quest’anno si concentra sulle catene globali del valore e sul grado di approvvigionamento delle diverse filiere nazionali, argomenti di grande attualità data l’incertezza crescente che sta spingendo molti paesi a riconsiderare le strategie di delocalizzazione adottate negli ultimi decenni.

Migliora l’autosufficienza, ma resta alta la dipendenza da importazioni in filiere chiave

Un indicatore chiave del rapporto è il tasso di approvvigionamento generale del settore agroalimentare italiano, che misura il rapporto tra il valore della produzione interna e quello dei consumi. Nel 2023, questo tasso si è avvicinato al 100% (99,2%). Tuttavia, come sottolinea l’ISMEA, è da ascrivere a situazioni differenziate a livello di singoli settori e prodotti. In particolare, la coesistenza di un’agricoltura deficitaria di alcuni prodotti e di un’industria alimentare orientata all’esportazione ha creato una dipendenza significativa da importazioni estere per l’approvvigionamento di materie prime da trasformare in prodotti caratteristici del made in Italy.

Questa tendenza si è accentuata negli ultimi anni, parallelamente all’aumento della capacità dell’industria alimentare di penetrare nei mercati esteri e alla contemporanea riduzione della disponibilità di materie prime nazionali a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici. Questo deficit rende alcune filiere più vulnerabili a fattori geopolitici, climatici e sanitari che influenzano le catene di fornitura, soprattutto quando il tasso di approvvigionamento è basso e le importazioni provengono da paesi lontani o a rischio. I dieci prodotti più importati dall’Italia sono, in ordine: caffè, olio extravergine d’oliva, mais, bovini vivi, prosciutti e spalle di suini, frumento tenero e duro, fave di soia, olio di palma e panelli di estrazione dell’olio di soia.

Il clima tiene a freno la produzione del settore primario nel 2023

L’Italia rappresenta poco meno del 17% dell’economia del settore primario UE, posizionandosi al secondo posto per valore aggiunto, subito dopo la Francia (17,4%) e davanti a Spagna (14,7%) e Germania (13,8%). Posizionamento che ha ricevuto una ulteriore conferma nel 2023, nonostante una diminuzione del 3,3% del valore aggiunto reale, influenzata da un’annata agricola segnata da eventi climatici avversi.

Tra questi, si annoverano le inondazioni di maggio in Emilia-Romagna, Toscana e Marche, le gelate tardive che hanno colpito il 40% delle aree agricole italiane, specie nel Nord-Est e lungo la dorsale appenninica, e le ondate di calore nel Sud del Paese. I danni stimati da ISMEA, legati a eventi catastrofici come gelo, siccità e alluvioni, ammontano a circa un miliardo di euro, con effetti particolarmente negativi su frutta, foraggi e cereali.

Diversamente, l’industria alimentare ha concluso il 2023 con risultati molto positivi: il valore aggiunto è cresciuto del 16% a prezzi correnti e del 2,7% in termini di volume rispetto all’anno precedente, all’interno di un trend decennale (2014-2023) di forte crescita sia nominale (+45%) che reale (+26%). Sebbene la produzione abbia registrato una lieve flessione dell’1,7% rispetto al 2022, il trend del decennio rimane comunque in crescita (+10,5%).

Necessaria una più equa distribuzione del valore lungo la filiera

Tuttavia, persistono disuguaglianze strutturali nella distribuzione del valore lungo la catena agroalimentare, con le fasi più a valle come logistica e distribuzione che riescono a trattenere la maggior parte del valore finale del prodotto, penalizzando soprattutto il comparto agricolo.

Secondo l’analisi della catena del valore, realizzata da ISMEA sulla base dei dati più recenti dell’ISTAT, su 100 euro spesi dal consumatore per prodotti agricoli freschi, meno di 20 euro remunerano il valore aggiunto degli agricoltori ai quali, sottratti gli ammortamenti e i salari, resta un utile di 7 euro, contro i circa 19 euro del macro-settore del commercio e trasporto. Per i prodotti trasformati, che implicano un passaggio in più dalla fase agricola a quella industriale, l’utile dell’agricoltore si riduce a 1,5 euro, leggermente inferiore a quello dell’industria pari a 2,2 euro, contro i 13,1 euro del commercio e trasporto.

Il ruolo delle misure di sostegno pubblico

Nel periodo 2019-2023, a causa degli sconvolgimenti provocati dalla pandemia e dalla crisi energetica, i ritardi fisiologici nel trasferimento degli aumenti dei prezzi delle materie prime alle fasi successive, come l’industria e la distribuzione, hanno portato a cambiamenti temporanei nella distribuzione del valore. Tuttavia, alla fine di questo processo, gli assetti sfavorevoli per le componenti produttive, specie nel settore primario, sono rimasti invariati.

L’approfondimento, realizzato dall’Istituto, sulla filiera della pasta e su quella della carne bovina ha messo in luce una situazione di sofferenza, con margini compressi se non addirittura negativi, per le aziende agricole e gli allevamenti. Le misure di sostegno pubblico, quali i pagamenti diretti, i premi accoppiati della PAC e ulteriori fondi nazionali, si confermano essenziali per mitigare e rendere sostenibili le situazioni di perdita o di bassa redditività della fase agricola.

Zoppas (ICE): Agroalimentare +8,2% nonostante instabilità e incertezze, 70 miliardi obiettivo possibile

Il Presidente di ICE Agenzia, Matteo Zoppas, intervenuto al MASAF durante la presentazione del Rapporto ISMEA 2024 ha osservato che “Tra gennaio e agosto 2024 l’export del settore agroalimentare è cresciuto del +8,2% arrivando a raggiungere quota 44 miliardi di euro. Un traguardo tanto più significativo se si considera l’incertezza dovuta all’instabilità dell’economia tedesca e ai conflitti bellici in atto. I 64 miliardi di euro di export raggiunti dalla filiera dell’agroalimentare nel 2023, che potrebbero arrivare a 70, sono merito della qualità dei prodotti, delle PMI italiane, delle grandi imprese, degli importanti aiuti giunti dal Governo e dal Sistema Paese, ICE, SACE, SIMEST e CDP nella scia della diplomazia della crescita, che danno un importante contributo nel processo di internazionalizzazione delle imprese”.

In primo piano il tema della contraffazione e dell’Italian sounding

ICE dal canto suo per l’agroalimentare nel 2023 ha messo in campo oltre 120 iniziative, contribuendo alla realizzazione di 56 fiere. Ha generato nel nostro paese un livello di incoming pari ad oltre 1950 buyers esteri. Un lavoro che va di pari passo con l’impegno che ICE profonde nel sostenere la candidatura della Cucina italiana a Patrimonio immateriale dell’UNESCO.

“Il rapporto presentato da Ismea – ha precisato Zoppas – rappresenta un importante bussola per il comparto, poiché fotografa l’andamento del settore dell’anno appena trascorso. In primo piano resta il tema della contraffazione e dell’Italian sounding: a fronte di 64 miliardi di export del settore, subiamo la perdita di 63 miliardi di concorrenza sleale. Tutti gli sforzi e gli investimenti compiuti negli anni dagli imprenditori italiani per promuovere la conoscenza del marchio Made in Italy oggi vengono ‘sfruttati’ da chi lo imita ed è per questo che va combattuto a tutti i livelli”.

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