La biodiversità sta progressivamente assumendo un ruolo centrale nelle strategie di crescita e competitività delle imprese italiane, spingendo organizzazioni di ogni dimensione a rivedere priorità e processi. Il tema, storicamente confinato alle agende della sostenibilità o alle dichiarazioni non finanziarie, inizia oggi a tradursi in azioni operative e metriche di impatto reale. In questo scenario, startup e PMI innovative si stanno affermando come attori chiave nello sviluppo di soluzioni tecnologiche dedicate alla tutela degli ecosistemi, mentre settori ad alto impatto ambientale—come l’agroalimentare—si confrontano sia con i nuovi obblighi regolatori che con la necessità di adottare pratiche rigenerative più efficaci.
Biodiversità: una nuova variabile competitiva per le imprese italiane
Nel contesto di una crescente pressione normativa e sociale, la tutela della biodiversità sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nelle strategie aziendali. L’ultima indagine dell’Osservatorio Innovazione per la Biodiversità della School of Management del Politecnico di Milano conferma un cambio di paradigma: le imprese in Italia non possono più considerare la tutela degli ecosistemi una questione marginale, ma devono integrarla nelle proprie logiche di business se intendono preservare competitività e accesso ai mercati. Il progressivo inasprimento delle regole europee e la crescente attenzione degli investitori agli standard ESG rappresentano solo alcuni dei driver che stanno rendendo la biodiversità un elemento strutturale della gestione del rischio, della reputazione e delle relazioni con stakeholder critici. In questa transizione, la capacità di misurare e valorizzare l’impatto delle attività aziendali sugli ecosistemi si configura non più come un’opzione, ma come una condizione abilitante per continuare a operare in mercati sempre più attenti all’integrazione tra performance economica e responsabilità ambientale.
Dichiarazioni non finanziarie e azioni concrete: il gap tra retorica e realtà
Per capire a che punto sono le aziende italiane di fronte a queste tematiche arriva la ricerca “Strategie aziendali e soluzioni imprenditoriali per mettere la tutela degli ecosistemi al centro”. Realizzato per iniziativa del nuovo Osservatorio “Innovazione per la Biodiversità” composto dal gruppo di ricerca Innovation, Strategy & Family Business e dal Food Sustainability Lab della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con l’Istituto Sant’Anna e il National Biodiversity Future Center lo studio offre anche un’analisi dell’offerta di soluzioni tecnologiche per la tutela della biodiversità sviluppate da startup e PMI innovative italiane oltre a un approfondimento sul settore agroalimentare.
Le principali caratteristiche dello studio
Per la preparazione del report sono state analizzate le Dichiarazioni Non Finanziarie di 569 aziende di cui 414 quotate a Borsa Italiana e 155 società benefit. I settori rappresentati comprendono Energy&Utilities, Materials, Industrials, Consumer Discretionary (beni e servizi non essenziali), Consumer Staples (beni primari), Health Care, Financials, Information Technology, Communication Services, Real Estate.
I principali risultati dello studio: la distanza tra obiettivi e realtà
Il primo dato indica che il 62% delle imprese coinvolte nella ricerca pubblica una DNF e in 2 su 3 di queste Dichiarazioni Non Finanziare sono presenti citazioni alla biodiversità.
Concretamente l’analisi delle aziende rivela una distanza significativa tra l’enunciazione di principi sulla biodiversità nei report non finanziari e la concreta implementazione di iniziative dedicate. Se due terzi delle imprese che pubblicano dichiarazioni non finanziarie menzionano il tema biodiversità, meno di un terzo ha effettivamente avviato progetti specifici.
Attenzione alla natura più come adempimento che come leva strategica
La motivazione principale risiede nella natura prevalentemente reattiva della maggior parte degli interventi: normative emergenti e pressioni degli investitori spingono le aziende a trattare il tema più come adempimento che come leva strategica. Tra le iniziative realizzate prevalgono azioni di sensibilizzazione o conservazione a basso impatto trasformativo, mentre resta limitato l’impegno in attività strutturali come il monitoraggio scientifico o progetti di ricerca. Questa discrepanza segnala la necessità per i vertici aziendali di superare l’approccio comunicativo e orientarsi verso modelli operativi integrati, capaci di produrre risultati tangibili e misurabili.
Polarizzazione degli interventi e focus sui settori a maggiore impatto ambientale
La distribuzione degli interventi aziendali a favore della biodiversità è fortemente polarizzata: poche grandi imprese realizzano oltre metà delle iniziative censite, mentre la maggioranza si limita ad azioni episodiche o assenti. Questo squilibrio riflette sia la diversa esposizione regolatoria sia la disparità di risorse tra settori.
Ad esempio Energy&Utilities, Consumer Staples e Materials rappresentano i comparti dove il tema arriva a essere parte integrante del modello operativo, complice una dipendenza diretta dalle risorse naturali e standard stringenti lungo le filiere.
Nel settore energetico, in particolare, quasi tutte le aziende che redigono report ESG traducono le dichiarazioni in interventi concreti, spesso guidate dall’obbligo normativo piuttosto che da una visione strategica autonoma. Viceversa, nei comparti meno esposti emerge un approccio attendista, in attesa che la regolazione o la domanda di mercato impongano standard più elevati.
Il comportamento delle società benefit
Anche se attive nella rendicontazione con oltre il 70% delle imprese che rende pubblica la propria DNF, le società benefit sono poi meno efficiaci sul piano delle azioni per la biodiversità. Solo il 24% delle benefit infatti dichiara di aver avviato progetti specifici, mentre nel caso delle società quotate si arriva al 28%. Se poi si misurano i progetti tra quelle che pubblicano il report, le percentuali arrivano al 34% nell’ambito delle aziende benefit contro il 48% delle quotate.
Il ruolo propulsivo di startup e PMI innovative nelle soluzioni tecnologiche per la biodiversità
Startup e PMI innovative sono a loro volta al centro della ricerca con particolare attenzione alle realtà che consentono il monitoraggio ambientale e la misurazione degli interventi, e da quelle attive nel mondo food, ovvero uno dei comparti produttivi maggiormente coinvolti nei processi di cambiamento.
In concreto le startup e le imprese innovative stanno emergendo come catalizzatori nell’offerta di soluzioni tecnologiche legate alla biodiversità. Molte realtà nate negli ultimi anni sono oggi nella condizione di mettere a disposizione sistemi digitali che rispondono a diverse necessità collegate ad azioni che puntano a contrastare la perdita di biodiversità come nel caso del monitoraggio ambientale, nelle piattaforme per la tracciabilità o nelle tecnologie bio-ispirate potenzialmente transformative. Il valore di queste soluzioni consiste prima di tutto nella capacità di proporre risposte su misura ed esplorare nuovi modelli grazie a reti collaborative con università ed enti pubblici. Tuttavia, rimangono ancora ostacoli importanti come la scarsità di risorse finanziarie, le difficoltà nel dimostrare in modo oggettivo l’impatto generato e la necessità di confrontarsi con un mercato ancora poco maturo sul fronte della domanda da parte delle imprese più grandi.
Inoltre, per favorire uno scale-up efficace appare sempre più necessario rafforzare il dialogo tra queste realtà innovative e i player industriali tradizionali, promuovendo partnership che facilitino l’integrazione delle tecnologie lungo le filiere produttive.
Agroalimentare tra obblighi regolatori ed evoluzione delle pratiche rigenerative
Il settore agroalimentare è come indicato oggetto di una speciale attenzione nell’ambito della ricerca in quanto rappresenta un settore che si trova oggi al crocevia tra vincoli regolatori stringenti e l’urgenza di ripensare i propri modelli produttivi secondo logiche rigenerative.
Le aziende agricole e alimentari italiane sono chiamate a confrontarsi con obiettivi europei sempre più ambiziosi sulla tutela della varietà genetica animale e vegetale, mentre la Politica Agricola Comune spinge verso pratiche che migliorino salute del suolo e la resilienza degli ecosistemi. L’adozione diffusa dell’agricoltura rigenerativa segnala l’esistenza di un movimento importante verso approcci preventivi oltre che correttivi. Tuttavia, il monitoraggio scientifico resta poco diffuso per via della complessità tecnica richiesta; e le possibili collaborazioni con fornitori tecnologici avanzati possono svolgere un ruolo centrale per sviluppare indicatori robusti sugli impatti generati. La cooperazione tra aziende tradizionali inoltre e nuove realtà innovative è destinato a svolgere un ruolo essenziale per accelerare il passaggio da iniziative frammentarie a strategie integrate che sappiano coniugare esigenze produttive, regolatorie ed ecologiche.
Biodiversità e strategie aziendali: dalle DNF ai progetti di business
L’attenzione crescente verso la biodiversità come leva competitiva impone alle imprese italiane una riflessione non solo sulle strategie di business, ma anche sul proprio ruolo all’interno degli ecosistemi produttivi e ambientali. L’obbligo di trasparenza nelle dichiarazioni non finanziarie rappresenta un primo passo verso una maggiore accountability, ma la distanza tra intenzioni espresse e risultati tangibili rimane ampia, soprattutto nei settori più impattanti.
In questo contesto, le iniziative delle startup e delle PMI innovative stanno tracciando direzioni nuove, spesso anticipando esigenze normative e aspettative di mercato. Il comparto agroalimentare si trova al centro di un processo di trasformazione che vede l’intreccio tra vincoli regolatori e il progressivo affermarsi di pratiche rigenerative come opportunità per ripensare i modelli produttivi. Il quadro che emerge è quello di una transizione complessa, dove l’evoluzione tecnologica deve dialogare con logiche industriali consolidate e con una crescente domanda sociale di responsabilità ambientale.
Raffaella Cagliano, Responsabile Scientifica del Food Sustainability Lab e Professoressa ordinaria di Gestione delle Persone e delle Organizzazioni al Politecnico di Milano ha sottolineato che “Le evidenze raccolte dall’Osservatorio delineano alcune implicazioni decisive per chi progetta, investe, regola o innova in questo ambito. La biodiversità è destinata a diventare una componente obbligata delle strategie aziendali, una leva concreta per la gestione del rischio, della compliance, della reputazione e delle strategie di lungo periodo: la regolazione europea e nazionale accelera questo passaggio, ma non è l’unico motore. La vera sfida per le aziende è trasformare iniziative pilota in strategie integrate, dotate di KPI economici e valutazioni di impatto chiare. Anche le istituzioni devono però fare la loro parte, garantendo un quadro regolatorio stabile, riducendo le asimmetrie informative e sostenendo gli investimenti”.
Per Josip Kotlar, Professore ordinario di Strategia, Innovazione e Family Business alla POLIMI School of Management “Le grandi imprese svolgono un ruolo ambivalente nel rapporto tra business e biodiversità: da un lato sono tra i principali contributori del degrado degli ecosistemi, dall’altro lo subiscono, poiché compromette la disponibilità e la qualità delle risorse di cui necessitano. Nello stesso tempo queste imprese possiedono il potenziale per diventare agenti di cambiamento decisivi, integrando la tutela della biodiversità nelle strategie di business. A questo si deve aggiungere che la capacità di investimento, l’influenza sulle catene globali del valore e il potere di orientare i modelli di produzione e consumo rappresentano una componente determinante nel promuovere la tutela della biodiversità e favorire la transizione verso modelli di sviluppo sostenibili”.








