Ricerca e Sviluppo

Nuova frontiera per il raffrescamento ambientale: l’evaporazione senza composti chimici

Il Politecnico di Torino (SMaLL) e dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) hanno sperimentato con sucesso un dispositivo capace di generare un effetto di raffrescamento senza l’utilizzo di energia elettrica, sfruttando direttamente la radiazione solare. 

Pubblicato il 26 Mar 2020

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Il raffrescamento degli ambienti in cui viviamo e lavoriamo è un’esigenza sempre più importante, specie con l’innalzamento delle temperature innescato dal surriscaldamento globale. La tecnologia più diffusa a livello domestico e industriale è il classico impianto di condizionamento, che per il suo funzionamento utilizza però fluidi refrigeranti ad alto impatto ambientale e richiede inoltre un elevato fabbisogno di elettricità. Un’alternativa è stata sperimentata dal Politecnico di Torino (SMaLL) e dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM), che ha studiato un dispositivo capace di generare un effetto di raffrescamento senza l’utilizzo di energia elettrica, sfruttando direttamente la radiazione solare.  In buona sostanza, questa tecnologia sperimentale sfrutta il classico effetto della diminuzione della temperatura di un ambiente sfruttando l’evaporazione di un liquido. Tuttavia, la chiave della nuova soluzione proposta dai ricercatori torinesi è quella di usare semplice acqua e comune sale invece dei classici composti chimici potenzialmente dannosi per l’ambiente. Inoltre, l’impatto ambientale del nuovo dispositivo è ridotto, perché basato su fenomeni passivi e spontanei come la capillarità o l’evaporazione, invece che su pompe e compressori che necessitano di energia e manutenzione.

“Far evaporare acqua per ottenere una sensazione di fresco è una soluzione nota da millenni, come il sudore che evapora sulla pelle per raffrescarci o un fazzoletto imbevuto appoggiato sulla fronte nelle giornate più calde. La nostra idea permette di ingegnerizzare questa tecnologia, massimizzandone l’effetto e rendendola possibile in qualsiasi condizione ambientale. Anziché essere esposta all’aria, l’acqua pura bagna una membrana impermeabile che la separa da una soluzione di acqua e sale ad alta concentrazione. La membrana può essere immaginata come un setaccio con maglie grandi un milionesimo di metro: grazie alle sue proprietà idrorepellenti, questa membrana non viene attraversata dall’acqua liquida ma solo dal vapore. In questo modo, l’acqua dolce e salata non si mescolano, mentre il vapore d’acqua è libero di passare da una parte all’altra della membrana. In particolare, la differente salinità nei due liquidi consente all’acqua pura di evaporare più velocemente di quella salata. Questo meccanismo raffredda l’acqua pura, e può essere amplificato grazie alla presenza di diversi stadi evaporativi. L’acqua salata tenderà gradualmente a “raddolcirsi” nel tempo e dunque l’effetto raffrescante ad attenuarsi; tuttavia, la differenza di salinità tra le due soluzioni può essere continuamente – e in modo sostenibile – ristabilita tramite l’energia solare, come peraltro dimostrato in un nostro recente studio, spiega Matteo Alberghini, dottorando del Dipartimento Energia del Politecnico e primo autore della ricerca.

Altro punto di forza risiede nella progettazione: queste unità refrigeranti, spesse qualche centimetro ciascuna, possono funzionare autonomamente oppure essere disposte in serie, come accade con le comuni batterie, impilandole per aumentare l’effetto di raffrescamento. In questo modo è possibile calibrarne la potenza in base alle singole esigenze, raggiungendo capacità di raffrescamento confrontabili a quelle tipicamente necessarie per gli usi domestici. Inoltre il potenziale basso costo di produzione – appena qualche euro per ciascuno stadio – e la semplicità dell’assemblaggio potrebbero rendere particolarmente promettente questa soluzione per le zone rurali, dove la scarsa presenza di tecnici specializzati può rendere difficoltosa l’installazione e la manutenzione dei sistemi tradizionali.

Nel mondo si stanno già sperimentando soluzioni alternative rispetto al classico condizionamento meccanico, tra cui il raffrescamento radiativo che, seppur promettente e adatto ad alcune applicazioni, presenta però due grossi limiti: il principio su cui si basa è inefficace in climi tropicali e in generale nelle giornate molto umide, quando peraltro il bisogno di condizionamento sarebbe maggiore; inoltre il limite teorico della potenza di raffrescamento che può fornire è piuttosto ridotto. Il prototipo passivo del Politecnico di Torino, basato invece sul raffrescamento evaporativo tra due soluzioni acquose a diverse salinità, potrebbe superare questo limite, realizzando un effetto utile indipendente dall’umidità esterna. Le prospettive della tecnologia, al momento non ancora pronta per la fase di commercializzazione, potrebbe essere quella di affiancare gli impianti già esistenti alleggerendo il loro carico di lavoro e, così ridurre il consumo energetico a parità di effetto raffrescante.

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