L’Italia è il paese più avanzato in Europa in materia di economia circolare, ovvero dell’utilizzo virtuoso di materiali e risorse, nonostante una performance un po’ in stallo nell’ultimo anno. È quanto emerge dal “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia”2020, realizzato da ENEA e CEN-Circular Economy Network, la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da 14 aziende e associazioni di impresa. Il punto di partenza è, ovviamente, l’eccessivo utilizzo delle risorse a livello globale: ogni abitante della Terra utilizza più di 11.000 chili di materiali all’anno. Un terzo si trasforma in breve tempo in rifiuto e finisce per lo più in discarica; solo un altro terzo è ancora in uso dopo appena 12 mesi. Non solo: il consumo di materiali cresce a un ritmo doppio di quello della popolazione mondiale. In questo delicato contesto l’Italia è prima, tra le cinque principali economie europee, nella classifica per indice di circolarità, ovvero il valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse in cinque categorie: produzione, consumo, gestione rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti e occupazione. Sul podio, ancora ben distanziate, anche Germania e Francia, con 11 e 12 punti in meno. Leggendo nel dettaglio il rapporto, si scopre come l’Italia, sotto il profilo del lavoro, siamo secondi solo alla Germania, con 517.000 occupati contro 659.000. Percentualmente le persone che nel nostro Paese vengono impiegate nei settori ‘circolari’ sono il 2,06% del totale, valore superiore alla media UE 28 che è dell’1,7%. Eppure, i segnali non sono del tutto positivi: in Italia gli occupati nell’economia circolare tra il 2008 e il 2017 sono infatti diminuiti dell’1%.
Fortunatamente esistono altri indicatori migliori: l’Italia di fatto utilizza al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico e ha un buon indice di efficienza (per ogni chilo di risorsa consumata si generano 3,5 euro di Pil, contro una media europea di 2,24). Il nostro Paese è ottimamente posizionato anche in termini di produttività energetica: nel 2018 il valore corrispondeva a 9,9 € prodotti per kg equivalente di petrolio, dato che ci assicura il primo posto, con valori superiori alla media europea (8,26 € prodotti per kg equivalente di petrolio). L’Italia, grazie al contributo di vecchie e nuove fonti, è davanti anche a tutte le altre principali economie UE sulle rinnovabili, con una quota del 17,8% sul fabbisogno. Il nostro Paese fa anche bene nell’indice sulla produttività totale delle risorse (materiali, acqua, energia e intensità delle emissioni CO2), totalizzando 183 punti, ben oltre la media europea.
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Ma il nostro Paese è penalizzato dalla scarsità degli investimenti – che si traduce in carenza di ecoinnovazione (siamo all’ultimo posto per brevetti) – e dalle criticità sul fronte normativo: mancano ancora la Strategia nazionale e il Piano di azione per l’economia circolare, due strumenti che potrebbero servire al Paese anche per avviare un percorso di uscita dai danni economici e sociali prodotti dall’epidemia del coronavirus ancora in corso. “Il Rapporto che presentiamo oggi conferma come l’Italia sia ai primi posti tra le grandi economie europee in molto settori dell’economia circolare” – evidenzia Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di ENEA – . Tuttavia, l’andamento temporale degli indicatori mostra purtroppo un peggioramento per il nostro Paese. Stiamo pericolosamente rallentando e se continuiamo così corriamo il rischio di essere presto superati dagli altri Paesi, che invece nel frattempo stanno accelerando. Serve un intervento sistemico con la realizzazione di infrastrutture e impianti, con maggiori investimenti nell’innovazione e, soprattutto, con strumenti di governance efficaci, quali l’Agenzia Nazionale per l’Economia Circolare”.
“La transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia rigenerativa è sempre più urgente e indispensabile anche per la mitigazione della crisi climatica. Oggi esistono importanti strumenti normativi a livello europeo ma vanno incoraggiati. Penso al piano investimenti presentato alla Commissione europea il 14 gennaio scorso: un primo passo che però non è ancora sufficiente – afferma Edo Ronchi, presidente del Cen. “Per rendere operativo il Green Deal occorre almeno il triplo delle risorse stanziate: bisogna arrivare a 3.000 miliardi di euro. Per raggiungere questo obiettivo serve un pacchetto di interventi molto impegnativi: una riforma dei regolamenti alla base del Patto di Stabilità per favorire gli investimenti pubblici; una nuova strategia per la finanza sostenibile in modo da incoraggiare la mobilitazione di capitali privati; una revisione delle regole sugli aiuti di Stato. Indispensabili, infine, la revisione della fiscalità e la riforma degli stessi meccanismi istituzionali dell’Unione Europea”.