Analisi

Rischio d’impresa e rischio di fornitura

Questo è il primo di un ciclo di articoli che si pone l’obiettivo di introdurre i concetti di rischio di impresa e rischio di fornitura, particolarmente importanti nelle imprese manifatturiere rischi tanto da intaccare il raggiungimento degli obiettivi di efficacia e/o efficienza, come dimostrato in moltissimi casi anche nelle ultime settimane dall’esplosione dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19

Pubblicato il 17 Apr 2020

Marco Perona

Professore Ordinario dell’Università degli Studi di Brescia, Direttore Scientifico del Laboratorio RISE e Senior Partner di IQ Consulting

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Rischio di Impresa e Rischio di fornitura: una introduzione

La gestione d’impresa in quasi ogni sua manifestazione ha storicamente comportato la ricerca di un ottimo bilanciamento tra l’efficacia con cui si servono i clienti ed i mercati (es. posizionare il prodotto giusto, nel punto vendita giusto, al momento giusto) e l’efficienza con cui si assorbono le risorse necessarie ad ottenere tale risultato (es. offerto al prezzo giusto). Il successo leggendario di aziende top achiever come Apple, o prima ancora General Electric si spiega proprio con l’avere trovato il giusto cocktail tra gli ingredienti dell’efficacia (tecnologia, design, unicità, innovazione, …) e quelli dell’efficienza (economie di scala, outsourcing, standardizzazione, …).

Fedeli a questo principio, nell’ultimo decennio le imprese sono riuscite ad aumentare moltissimo e simultaneamente la propria efficienza ed efficacia attraverso la sempre più spinta globalizzazione dell’economia; la progressiva applicazione ad intere catene del valore dei principi del lean thinking; l’accorciamento dei cicli di sviluppo e di vita utile dei prodotti che conseguono all’affermarsi della cosiddetta “coda lunga”; ed infine facendo sempre più ricorso alla crescente mole di dati assicurati dall’internet delle cose e ad algoritmi intelligenti che estraggono da essi capacità predittive e proattive.

Tutte queste trasformazioni delle catene del valore hanno però anche impattato sulla loro stabilità, generando filiere lunghe e quindi intrinsecamente poco trasparenti e controllabili; riducendo le alternative di fornitura, e quindi la resilienza delle catene del valore rispetto alle perturbazioni; rendendo intrinsecamente meno ripetitivi e prevedibili i mercati ed infine aumentando la dipendenza delle imprese da infrastrutture critiche, come quelle che generano, raccolgono e condividono i dati. Non è un caso se questi sono stati anni caratterizzati da una crescente instabilità (e non stiamo parlando solo dell’attuale periodo di emergenza sanitaria, che ha fatto saltare il banco).

Come diretta conseguenza, la ricetta del cocktail del successo basata sulla combinazione tra efficienza ed efficacia, essendo stata progettata per periodi di relativa stabilità, è diventata sempre più inadeguata. Per permettere ai manager di leggere opportunamente la nuova e più instabile situazione si deve quindi aggiungere un nuovo ingrediente al cocktail, il “rischio d’impresa”, in quanto è sempre più importante essere in grado di impostare e valutare analisi di scenario di tutti i rischi che possono intaccare il raggiungimento degli obiettivi aziendali di efficace e/o efficienza.

Questo ciclo di articoli si pone l’obiettivo di introdurre i concetti base della gestione del rischio e di condividere e commentare i risultati di una ricerca svolta dal Laboratorio RISE dell’Università di Brescia insieme alla spinoff accademica IQ Consulting presso numerose aziende manifatturiere italiane, riguardo una specifica categoria dei rischi aziendali, e cioè i rischi di interruzione della catena di fornitura, particolarmente seri soprattutto nelle imprese manifatturiere, così come crudamente dimostrato in moltissimi casi nelle ultime settimane dall’esplosione planetaria della emergenza sanitaria legata al virus Covid-19.

Il rischio d’impresa

Qualsiasi attività d’impresa richiede di “assumersi dei rischi”: si realizzano investimenti che sottendono alla generazione di profitti futuri; non si conosce a priori l’esito dell’azione, che può generare un successo ma anche un fallimento. Prevedere accuratamente gli eventi futuri e quantificarne precisamente l’esito non è praticamente possibile, così come neppure i più bravi sismologi riesco a prevedere se e quando arriverà una scossa di terremoto. Tuttavia, per supportare le decisioni aziendali è possibile identificare, definire e valutare i rischi ad essa associati, così come è possibile definire le aree sismiche ed il livello di sismicità di ciascuna.

L’approccio aziendale alla gestione del rischio di impresa è stato, per lungo tempo, sviluppato in modo piuttosto limitato: fino a pochi anni fa, questa era un’attività marginale che si limitava alla definizione delle tutele e dei provvedimenti volti in poche e ben delimitate aree dell’attività aziendale, frequentemente -tra l’altro- in risposta a leggi o normative (ad es. quelle sulla sicurezza nei luoghi di lavoro) più che per scelta di business. Questa concezione del risk management quasi come “male necessario” l’ha reso un’attività di natura prettamente operativa, limitando le risorse e gli strumenti a sua disposizione ed escludendola da qualsiasi influenza nell’ambito strategico.

Le caratteristiche di un simile orientamento sono tuttavia divenute limitanti da quando la maggiore incertezza che il contesto economico e i mercati finanziari hanno iniziato a manifestare ha profondamente e permanentemente modificato il contesto competitivo. Da qui l’esigenza di impostare e perseguire una gestione integrata dei rischi aziendali che possono concorrere a ledere la solidità dell’azienda, intaccandone o ledendone alcune risorse di base, quali: la reputazione, la clientela, la rete di fornitura, i dati, etc. Valutarli e affrontarli in maniera sistemica ed al livello strategico consente di massimizzare, a parità di incognite, il valore dell’impresa stessa.

Sono state prodotte diverse classificazioni dei rischi aziendali, ciascuna delle quali ha degli specifici punti di forza: tuttavia, ciò che è veramente importante non è scegliere questa o quella classificazione, quanto invece avere una visione completa sui rischi verso i quali tutelarsi, e saper mettere a terra le iniziative adeguate per ridurne la probabilità di accadimento e moderarne gli effetti. A puro titolo di esempio, seguendo una di queste classificazioni, proviamo nel seguito a fare una breve sintesi sulle principali componenti che concorrono alla definizione del rischio di impresa:

  • MERCATO: quanto sarà il fatturato che il mercato consentirà di sviluppare?
  • PROFITTO: quanto margine si potrà generare, quindi quanto dividendo l’impresa potrà garantire ai soci?
  • CREDITO: i clienti pagheranno le fatture entro la scadenza concordata?
  • FINANZIARIO: si potrà generare la liquidità sufficiente per pagare i dipendenti ed i fornitori?
  • OPERATIVO: si riuscirà con successo a trasformare input in output, quindi a creare valore?

Il rischio di fornitura, che andremo ad approfondire nel seguito, è uno dei rischi più importanti all’interno di quelli operativi e fa riferimento alla possibilità di mantenere la continuità della catena di fornitura, quale presupposto fondamentale per poter procedere alla generazione di valore attraverso un processo primario insieme efficiente ed efficace.

Il rischio di fornitura

Il fenomeno della globalizzazione e la rincorsa sempre più serrata alla competizione sul prezzo hanno spinto numerose aziende alla delocalizzazione della produzione o, ancora più in larga parte, alla pratica del global sourcing, che implica di ricercare fornitori anche molto lontani per accedere a vantaggi di prezzo. Questa configurazione, soprattutto quando non supportata da un adeguato livello di integrazione a base informativa, è penalizzata da lead time più lunghi ed incerti, da scarsa flessibilità dei medesimi, a causa dell’esigenza di procedere al trasporto via mare, e da scarsa trasparenza e visibilità sulla filiera. Tra i rischi di impresa, il rischio di fornitura è forse, il più tailor-made per l’azienda che lo deve valutare dal momento che non deriva esclusivamente dall’analisi di variabili esterne, supplier centriche e indipendenti dal rapporto in essere, quali per esempio il rischio Paese ed il rischio finanziario, ma si completa e perfeziona in base alla specifica relazione cliente-fornitore.

Dall’analisi del rischio Paese può scaturire anche la necessità non solo di adottare un fornitore di backup, ma anche di ricercarlo e di attivarlo in un Paese diverso da quello del fornitore principale: è questo il caso dell’attuale emergenza coronavirus che si stima potrebbe evolvere nella cosiddetta fase di dance, caratterizzata da lock-down a macchia di leopardo, mirati a contenere i nuovi focolai. Il trend sarà quindi molto altalenante poiché costituito da microfasi in cui ogni elemento della filiera potrebbe interrompere la propria attività in modo asincrono e non prevedibile sulla base del contagio che si amplia o si riduce.

La difficoltà consisterà nel coordinare le forniture che provengono dai diversi Paesi, valutando correttamente il rischio connesso a ciascuna di esse. In questo caso, il rischio complessivo sarà tanto minore quanto più flessibile è pensata e strutturata la rete di fornitura. In questo modo, indipendentemente dalla motivazione per la quale il fornitore viene meno, l’azienda va incontro ad un costo di ripristino della fornitura molto inferiore.

Valutare il rischio di fornitura

Valutare il rischio di fornitura, come anticipato nel paragrafo precedente, richiede che vengano prese in considerazione variabili sia di natura endogena sia di carattere esogeno. Come ci insegna la teoria del risk management infatti è indispensabile seguire un approccio a tre step:

  1. Identificare gli eventi dannosi che potrebbero accadere, e la relativa probabilità di accadimento, ovvero identificare i rischi che possono concorrere all’interruzione di fornitura.
  2. Quantificare le conseguenze del verificarsi degli eventi considerati, quindi calcolare quanto impatta sui costi dell’azienda la singola cessazione di fornitura.
  3. Definire le classi di rischio, andando ad assegnare a ciascun evento il profilo intersezione della valorizzazione delle prime due variabili.

Al fine di ricostruire una fotografia completa e veritiera della propria rete di fornitura, è importante non soffermarsi sull’analisi di uno solo dei due assi, per tre principali motivazioni:

  1. Differente propensione al rischio: le classi di rischio sono specifiche per azienda poiché sono definite in funzione della propria propensione al rischio. Valutare un solo asse, le esulerebbe dal concetto che hanno, limitando l’indicazione strategica e il livello di criticità che trasmettono.
  2. A-specificità dell’analisi: la sola valorizzazione della probabilità di interruzione della fornitura dipende esclusivamente dal fornitore e, in maniera più aggregata, dalla configurazione della rete di fornitura. Di conseguenza, un concorrente con la medesima rete di fornitura avrebbe, teoricamente, il medesimo livello di rischio; affermazione per definizione non veritiera per il punto di cui sopra e per la differente rilevanza che ciascun fornitore assume per il businessdel cliente.
  3. Differente propensione agli investimenti in strumenti di monitoraggio: limitarsi a valutare la probabilità che si verifichi un’interruzione di fornitura non consente di quantificare le conseguenze (economiche) sul business e quindi di giustificare o dimensionare il giusto investimento per l’adozione di un sistema di monitoraggio.

Valutare la probabilità di un’interruzione di fornitura

Valutare la probabilità che si verifichi un’interruzione di fornitura significa prima identificare e poi quantificare le concause che possono concorrere al verificarsi dell’evento. Le ragioni, che proviamo in maniera non esaustiva ad elencare nel seguito, possono essere molto numerose: la maggior parte di esse rientra nel cosiddetto rischio Paese, alcune sono legate al singolo fornitore, altre infine dipendono dalla volatilità del business e dall’evoluzione tecnologica.

  • Calamità naturali: i disastri naturali, le condizioni metereologiche estreme, le vulnerabilità sistemiche, le epidemie, la dipendenza dal petrolio sono tutti esempi di potenziali minacce alla stabilità del business delle imprese e quindi anche dei fornitori. Ci troviamo proprio oggigiorno in questa casistica, con il Covid-19 che ha generato un fortissimo impatto sulle filiere di tutto il mondo [Coronavirus Shows That Supply Chains are Outdated and Unfit For Modern Manufacturing, Forbes, 2020 (source)]. Parimenti è accaduto nel passato, dove si potrebbe citare il terremoto/tsunami che ha interessato il Giappone nel marzo 2011 e che ha compromesso la produzione di circa il 5% dei veicoli previsti su scala mondiale [Global Impacts of the Automotive Supply Chain Disruption Following the Japanese Earthquake of 2011, Research Gate, 2015 (source)].
  • Default finanziario: il fallimento finanziario di vendor chiave di un’impresa può interrompere il regolare svolgimento delle forniture, pregiudicando la produzione e la consegna dei prodotti, la possibilità di soddisfare la domanda, i costi operativi e, ancor più critico, la reputazione dell’impresa. Numerosi sono qui i casi di fallimento finanziario, soprattutto nel settore automotive: citiamo a titolo di esempio UPF–Thompson, unico fornitore di telai di Land Rover per i suoi modelli Discovery, che ha messo a repentaglio numerosi posti di lavoro e importanti fette di quota di mercato [Land Rover dispute threatens 10,000 jobs, TheGuardian, 2002 (source)].
  • Problematiche geo – politiche: una Supply Chainglobale può essere influenzata e compromessa da sconvolgimenti o da interferenze da parte del mondo politico. Rientra in questa classe la recente questione Huawei, il colosso cinese che ha dovuto rallentare la produzione a causa del blocco delle forniture di alcuni componenti prodotti da aziende USA, su decisione del governo statunitense [Top U.S. Tech Companies Begin to Cut Off Vital Huawei Supplies, Bloomberg, 2019 (source)].
  • Problematiche etiche, sociali e ambientali: danni reputazionali relativi ad un fornitore possono compromettere fortemente la stabilità di un’intera filiera. Le ragioni possono essere molteplici, dallo sfruttamento minorile fino a problematiche ambientali, che si riflettono di fatto sull’intera filiera arrivando a minacciare la reputazione anche delle altre aziende della medesima catena del valore. Per quanto riguarda lo sfruttamento minorile, è famoso in questo senso il caso “Nike” [Nike is facing a new wave of anti-sweatshop protests, Quartz, 2017 (source)], che ebbe un rilevante impatto economico ed ancor più mediatico, quando prima nel 1998 e poi nel 2017 ammise pubblicamente di non aver presidiato il rispetto delle condizioni minime di lavoro nelle fabbriche principalmente asiatiche. A livello ambientale, potremmo citare il famoso caso della ICMESA di Seveso che per lungo tempo ha creato notevoli ripercussioni sul colosso farmaceutico Roche. Roche, che aveva acquisito il fornitore ICMESA, è stata, infatti, per anni associata al suo fornitore con forte ricadute sulla reputazione della multinazionale tedesca [Icmesa, cronistoria di un disastro, Corriere della Sera, 2016 (source)].
  • Scioperi e/o manifestazioni sindacali prolungate: gli scioperi dei dipendenti sono una delle cause che possono determinare l’interruzione delle forniture, generando dei ritardi o addirittura bloccando la produzione delle imprese acquirenti per mancanza dei materiali. L’esempio che si può portare è quello degli scioperi dei trasportatori francesi – a testimonianza che il rischio di fornitura è importante anche per le aziende di servizi – che hanno “minacciato” di lasciare il Paese transalpino senza benzina per difendere l’incremento esattoriale paventato dal Governo [Francia a rischio “benzina” – Tir fermi contro le tasse, Repubblica, 2000 (source)].
  • Avarie tecniche degli impianti produttivi: i macchinari e gli impianti necessari al regolare svolgimento delle attività aziendali sono ovviamente soggetti ad arresti, anche prolungati, di tipo affidabilistico. La perdita di capacità dovuta ad eventi non pianificati può essere determinata da diverse ragioni, come errori operativi, problemi meccanici, insufficiente attività manutentiva, etc.
  • Cambio della normativa:le forniture possono essere anche interrotte dall’emanazione di nuovi leggi o regolamenti o dalla modifica di quelli esistenti che in alcuni casi possono determinare il blocco dell’esportazione o importazione di determinati componenti. Alcuni esempi possono essere legati a nuove regolamentazioni per la gestione dei rifiuti o ad esempio all’introduzione di specifici requisiti o di nuovi processi di controllo.
  • Problematiche informatiche: l’integrazione sempre più spinta delle Supply Chain non solo favorisce la condivisione e la cooperazione tra i diversi attori della filiera, ma allo stesso tempo li espone a maggiori minacce connesse al Cyber Risk.

Valutare l’impatto di un’interruzione di fornitura

Le conseguenze di un’interruzione di fornitura non sono mai trasparenti: ciò che l’azienda può e deve fare è essere consapevole del suo dimensionamento al fine di mettere in atto tutte le misure preventive e le azioni di mitigazione più efficaci.

Il danno economico che l’azienda subisce può essere quantificato tenendo in considerazione tre componenti fondamentali:

  • Perdita di vantaggio competitivo: si tratta di misurare a quanto ammonta il differenziale dei costi totali della fornitura tra il fornitore fallito e il fornitore che lo sostituisce. Per valutare correttamente tale perdita è necessario identificare le motivazioni che avevano condotto alla scelta del fornitore fallito. Non si dimentichi che in questa sede non dobbiamo considerare solo il prezzo di acquisto del bene acquisito, ma anche ogni altro aspetto che potrebbe impattare sul costo totale delle forniture, quali la puntualità di consegna, la conformità all’ordine, le condizioni di pagamento, etc.
  • Investimento per riportare a regime l’approvvigionamento: il secondo fattore da prendere in considerazione corrisponde all’ammontare degli investimenti che l’azienda deve sostenere per ripristinare la fornitura una volta venuto meno il partner principale. Rientrano in questa categoria, ad esempio, i costi di qualifica del nuovo fornitore / articolo, quelli per l’avvio della relazione con il nuovo fornitore e la sua formazione e i costi per l’acquisto o il trasferimento delle attrezzature.
  • Costi opportunità: l’interruzione di una fornitura, soprattutto se di componenti critici per la realizzazione del prodotto o del servizio, potrebbe comportare una perdita di margini, di ordini e nel caso più grave anche di clienti. Spesso, questa è la voce più impattante ma allo stesso tempo quella meno considerata a causa della sua aleatorietà e della sua natura figurativa, che la rende difficile da stimare anche a posteriori.

Il prossimo appuntamento

Nel prossimo articolo verrà approfondita la descrizione della ricerca a partire dalla spiegazione del questionario e della modalità di indagine. Negli articoli successivi si proporrà una lettura critica dei risultati, comparandoli a benchmark di mercato e contestualizzandoli all’interno della realtà in cui ci troviamo.

Di seguito, tutti gli articoli del ciclo sul rischio di fornitura

Rischio di fornitura: parte l’indagine su come lo affrontano le aziende

Rischio di fornitura, ecco la mappa delle imprese italiane

Rischio di fornitura: lo stato dell’arte del manifatturiero

Rischio di fornitura: come vengono gestiti i fornitori?

Immagine fornita da Shutterstock.

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Marco Perona
Professore Ordinario dell’Università degli Studi di Brescia, Direttore Scientifico del Laboratorio RISE e Senior Partner di IQ Consulting

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Anna Bergamini
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