Quasi 102 milioni di capi di abbigliamento per bambini e ragazzi vengono scartati ogni anno in Italia. Una montagna di indumenti che, se impilati uno sopra l’altro, raggiungerebbe un’altezza pari a 115 volte il Monte Everest . Numeri che impressionano e fotografano una crisi spesso ignorata, aggravata dal fatto che il 37% dei genitori ammette di avere capi nuovi mai indossati nei guardaroba dei figli.
Una ricerca recentemente condotta da Epson in collaborazione con 3GEM restituisce un quadro già critico a livello nazionale e ancor più allarmante nel confronto europeo: nel Regno Unito, ad esempio, vengono gettati via 216 milioni di capi, oltre il doppio rispetto all’Italia. Un dato che si accompagna a comportamenti d’acquisto disomogenei: mentre il 51% dei genitori italiani considera la sostenibilità nella scelta dei capi, il 33% dichiara di sbarazzarsi degli indumenti dei figli nel modo più rapido possibile.
A tutto ciò si aggiunge una scarsa consapevolezza della composizione dei tessuti: più della metà dei genitori non sa che molti capi contengono fibre sintetiche la cui decomposizione può richiedere fino a 450 anni. È in questo scenario che il progetto sviluppato da Epson con la stilista Priya Ahluwalia assume un significato che va ben oltre la moda.
Il “gioco” della moda: la creatività come leva di trasformazione
Per mostrare come l’innovazione possa contribuire a contenere la crisi dei rifiuti tessili, Epson e Priya Ahluwalia hanno dato vita a Il “gioco” della moda, una collezione in miniatura dedicata alle bambole e realizzata interamente con scarti tessili grazie alla tecnologia Epson Dry Fibre, capace di trasformare vecchi tessuti in nuove fibre senza utilizzo di acqua o sostanze chimiche aggressive .
La collezione diventa così un simbolo: un modo giocoso per ricordare quanto presto inizi il rapporto con il vestire, ma soprattutto un manifesto della possibilità di cambiare il destino di materiali destinati alla discarica. A completare il processo produttivo interviene anche la serie Epson Monna Lisa, stampanti tessili digitali di nuova generazione in grado di ridurre fino al 97% il consumo d’acqua durante la stampa a colori.
“La moda – afferma Maria Eagling, Chief Marketing Officer di Epson – offre a ogni età una via creativa per l’espressione di sé, ma tutti noi abbiamo un ruolo da svolgere nel fare scelte migliori quando si tratta di comprare e smaltire i capi. Vogliamo mostrare come ci siano innovazioni, in questo caso la tecnologia Dry Fibre, che possono aiutare a ridurre la quantità di vestiti che finiscono in discarica.”
La visione di Priya Ahluwalia: responsabilità e immaginazione
La collaborazione con Epson non è casuale: Priya Ahluwalia è da anni una delle designer più attente alle implicazioni sociali ed ecologiche della moda. Il suo approccio nasce da esperienze dirette nei Paesi del Sud globale, dove l’impatto dell’industria occidentale dell’abbigliamento è evidente.
“Viaggiando in India e Nigeria – spiega Priya Ahluwalia – sono stata testimone della reale portata dei rifiuti tessili prodotti dall’industria occidentale dell’abbigliamento. Attraverso questa collezione in miniatura realizzata con la tecnologia Dry Fibre, speriamo di dimostrare che l’innovazione e l’immaginazione possono rimodellare il futuro della moda”.
La mini-collezione, ispirata al design AW25, rappresenta quindi un ponte tra creatività e responsabilità. Non solo denuncia la portata dello spreco, ma suggerisce che l’adozione di nuove tecnologie può contribuire a una circolarità reale del settore moda.
La famiglia come attore chiave
La ricerca rivela dinamiche contraddittorie nel consumo di abbigliamento per bambini: mentre la spesa media annua per il guardaroba di ciascun figlio sfiora i 909 euro, un capo viene indossato in media solo 25 volte. Inoltre, il 23% dei genitori ammette di gettare nella spazzatura vestiti ancora utilizzabili per mancanza di tempo, e durante il periodo natalizio quasi un quinto dei capi ricevuti dai bambini non viene mai indossato.
È evidente che i nuclei familiari siano al centro del cambiamento auspicato. Le innovazioni tecnologiche, per quanto fondamentali, non possono sostituire una trasformazione culturale che porti a ridurre l’eccesso d’acquisto, favorire lo scambio e dare priorità a capi durevoli o di seconda mano.
Innovazione, cultura e responsabilità condivisa
Il progetto congiunto tra Epson e Priya Ahluwalia dimostra che il futuro della moda può essere più sostenibile solo se integra tecnologia, creatività e consapevolezza sociale. La collezione a misura di bambola non rappresenta soltanto un esercizio artistico, ma una prova tangibile del potenziale delle tecnologie a basso impatto ambientale.
Il “gioco” della moda diventa dunque un invito a ripensare cicli produttivi, abitudini d’acquisto e responsabilità individuali. Perché invertire la rotta è possibile, ma richiede una collaborazione tra industria, designer e consumatori.






