Carlo Verdelli, in articolo di fondo del Corriere della Sera del 9 giugno 2025 aveva scritto: “Il vero oro non è più l’oro e nemmeno il petrolio. Siamo noi, i dati personali che inconsapevoli forniamo ogni volta che dal cellulare apriamo una app o digitiamo una ricerca”. E in più, si può e forse si deve aggiungere, sono gratis! (Un tema, questo, che è stato approfondito anche nel servizio Dati e società digitale n.d.r.)
Prima di questo concetto, Verdelli aveva riflettuto su alcune evidende che arrivavano dall’Istituto Superiore di sanità: ”Più di un adolescente su quattro ha un rapporto problematico con l’eccesso nell’uso dello smartphone, con evidenti effetti sulla salute e la capacità di relazione”.
I sintomi che sono poi elencati sono quelli di tutte le dipendenze gravi, arrivando a citare quelle causate dagli stupefacenti. Il problema ormai è noto e riconosciuto. Però non succede niente: guardiamo al progressivo distacco dalla realtà di una fetta importante della società (non solo i giovani) senza andare oltre qualche sconsolato scuotimento di testa.
Le cause dell’inazione
C’è una componente di ignoranza, una di superficialità e una di vigliaccheria in questa assenza di reazione. Ignoranza e superficialità si spiegano da sé. Vigliaccheria, perché dietro agli smartphone, dietro ai social media c’è il business di molti e di molti di noi. E il cartello del business digitale è una vera e propria potenza.
Per contrastare il Fentanyl, Trump mette i dazi a Messico, Canada e Cina. Per contrastare l’impatto di TikTok sui giovani americani, gli Usa si accontentano della garanzia che l’impresa attiva nella gestione di TikTok negli USA non esegua gli ordini del Governo cinese ma sia appunto targato a stelle e strisce (Vedi sentenza della Corte Suprema sul caso Bytedance e si legga, per un approfondimento il servizio nel quale ci si interroga se TikTok è un rischio solo per gli USA n.d.r.).
Non si tratta di agitare lo spettro di un nuovo luddismo contro la tecnologia digitale ma di porre fine a quella specie di far west senza regole che oggi caratterizza il sistema economico generato dal digitale: materia prima gratuita, tasse sostanzialmente a zero, nessuna responsabilità né civile né penale. Una situazione che rischia di non essere più sostenibile per la società nel suo complesso.
Le possibili regole di riferimento
Si potrebbe innanzitutto iniziare a definire alcune regole che possano rappresentare un riferimento per tutto il settore. Come possono essere i quattro principi che seguono:
- Chi utilizza massivamente i dati prodotti dalla collettività (per il significato di questa espressione si veda il servizio dedicato alla comprensione e alla gestione della natura del dato n.d.r.) può operare solo in base a una concessione onerosa, come un bar che mette i tavolini sulla pubblica piazza;
- Chi, pur non producendo contenuti, decide tramite algoritmo proprietario quali contenuti presentare a chi, profilando discrezionalmente il proprio pubblico è assimilato a un editore di giornali che decide quali notizie pubblicare, con quale rilievo e su quale testata;
- I Social media non possono consentire a chi raggiunge i diecimila follower di averne uno in più se non risulta registrato in un apposito elenco curato dall’Autorità pubblica in cui indica il soggetto residente in Italia che risponde civilmente e penalmente dei contenuti pubblicati o rilanciati in rete;
- Dopo la prima ora di connessione in un giorno a un social media l’utente deve essere disconnesso con un messaggio equivalente a quelli presenti sui pacchetti sigarette. Dopo cinque minuti, potrà riconnettersi: consapevolezza non proibizionismo.
Non è la soluzione di ogni problema (ad esempio, il contrasto degli haters è tutto da impostare) ma almeno è un inizio.
L’obiettivo è la sostenibilità della transizione digitale (e della società che genera), non il suo contrasto.



































































