Analisi

Sostenibilità e guerra in Ucraina: cosa sta cambiando

Le trasformazioni in corso sullo scenario geopolitico stanno cambiando il livello di attenzione e di impegno verso i temi della sostenibilità. E’ il momento di interrogarsi anche sul ruolo dell’ESG nella costruzione di un nuovo modello economico e sociale

Pubblicato il 15 Mar 2023

Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I, Team leader sostenibilità

C’è un rapporto e, se sì, qual è fra la guerra in Ucraina e lo sforzo di trasformazione sostenibile che attraversa le società e le economie non solo occidentali?

Con sempre maggior forza il Cremlino sta cercando di cambiare gli obiettivi del conflitto con l’Ucraina dalla conquista territoriale, diretta o indiretta attraverso l’insediamento di un Governo amico a Kiev, alla lotta ideologica contro il dominio dell’Occidente globale visto nel suo insieme: con le sue capacità militari – rappresentate dalla Nato – con la sua capacità economica e tecnologica e soprattutto con i suoi valori e stili di vita.

Anche l’intensa attività diplomatica russa è finalizzata allo stesso obiettivo e tende a riproporre una prospettiva da guerra fredda globale, simile a quella che ha segnato il secondo dopoguerra ma aggiornata per considerare e coinvolgere i nuovi attori emersi negli ultimi trent’anni: la Cina, in primis ma anche quelli che furono i Paesi non allineati o in via di sviluppo. E sembra trovare, almeno in alcuni casi, orecchie abbastanza attente.

Un ruolo dell’ESG che va oltre l’attenzione alle imprese

In questo scenario il concetto di sviluppo sostenibile, in tutte le sue dimensioni ESG, svolge un ruolo più ampio, in cui la dimensione sociale, legata ai diritti umani, alla libertà d’impresa e alla concorrenza assume una rilevanza particolare che include ma trascende la dimensione dell’impresa. E che merita di essere approfondita.

La prima guerra fredda è stata vinta dall’Occidente – con il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS – non sul terreno della forza militare ma su quello economico e soprattutto culturale.

Libertà d’impresa, di parola e di movimento, democrazia e stato di diritto, alla base delle società occidentali, erano sembrati, per decenni e in modo incontrastato, il modello di riferimento in grado di garantire sviluppo e benessere anche ai Paesi emergenti o in via di sviluppo e la speranza per i paesi dell’est europeo.

Negli stessi decenni l’URSS era apparsa progressivamente sempre più incapace di garantire analoghi risultati e dunque di competere con il modello occidentale: dopo l’exploit di Yuri Gagarin e la breve stagione di Krusciov, le differenze sul piano economico erano esplose e, al contempo, Hollywood, i Beatles, Woodstock così come la moda italiana e francese e le auto tedesche avevano iniziato a dettare i trend culturali per tutto il mondo, almeno fino a tutti gli anni 90 e oltre.

Viceversa, sul piano strettamente militare l’Occidente ha dovuto incassare diverse sconfitte: la crisi di Suez, la rivoluzione Castrista, le sconfitte francesi in Indocina e in Algeria, il Vietnam fino alla “war on terrorism”, alla guerra civile in Siria e Libia e alla fuga Baghdad e, pochi mesi fa da Kabul.

Un nuovo scenario di crisi sul piano economico, sociale e culturale

Guardando avanti, il profilarsi di un nuovo scenario da guerra fredda, per come si sta configurando, ripropone un analogo conflitto che si sviluppa da un lato sul fronte militare – Ucraina ma anche Taiwan, Kurdistan, Siria e Libia – e dall’altro sul piano economico, sociale e culturale.

Non è un conflitto già risolto, con vinti e vincitori già definiti. E non solo per le incertezze sull’esito della guerra in Ucraina. Forse, analogamente alla prima guerra fredda, la vittoria andrà a chi saprà costruire intorno a sé un consenso diffuso attraverso le classi sociali e i confini delle nazioni, perché solo questo, alla lunga, consentirà di sostenerne i costi. E’ su questa sfida che il tema della guerra incrocia il tema della sostenibilità dello sviluppo e della necessità di una transizione sostenibile che ne deriva.

Il dibattito internazionale sulla sostenibilità dello sviluppo guidato dall’ONU e le COP di questi anni sono state contrassegnati da una conflittualità, talvolta latente e altre volte esplicita, fra il nord del mondo che consuma risorse e il sud che fornisce le materie prime e patisce le conseguenze del cambiamento climatico, in merito alla ripartizione degli oneri economici e sociali della trasformazione sostenibile.

Le prospettive del modello sociale economico e istituzionale occidentale

La domanda sottostante è se il modello sociale economico e istituzionale occidentale riuscirà a dare le risposte attese a tutti gli stakeholder che sono coinvolti direttamente e indirettamente: non solo gli Stati ma anche le società e i gruppi sociali che le compongono. E se le Istituzioni occidentali e il sistema delle imprese riusciranno a svolgere il loro ruolo in questo processo.

Di certo, un nuovo clima da guerra fredda tenderebbe a rendere più complesso o ad impedire ogni compromesso, allargando il divario fra Paesi ricchi e in via di sviluppo.

La guerra “calda” in Ucraina ha avuto l’effetto immediato di stravolgere gli equilibri economici preesistenti, come è stato per l’aumento del prezzo dell’energia o del grano o per la spinta al re-shoring o al near-shoring derivata dall’aumento dei rischi di approvvigionamento, tutto a maggior danno dei Paesi meno sviluppati.

L’obiettivo del leader russo sembra essere quello di determinare e sfruttare queste fratture, imputandole alla cultura e ai valori che stanno alla base del modello occidentale, sperando che cavalcare questa narrazione gli consenta di ottenere di nuovo un ruolo di primo piano per la Federazione Russa.

L’esito di questa iniziativa è incerto come quello della guerra, anche se si avvale delle enormi risorse naturali della Federazione Russa.

Potrebbe però trasformarsi in qualcosa di ben più rilevante se verrà coinvolta la Cina che, diversamente dalla Federazione russa, in questi trent’anni ha costruito, sulla base della “democrazia con caratteristiche cinesi” non solo un’economia forte e tecnologicamente avanzata ma anche strumenti di penetrazione culturale non marginali – come Tik Tok, gli smartphone di Huawei, Oppo e Xiaomi e tutta la narrazione sulla Silk Belt Initiative – o difensivi come il mondo online cinese alternativo alle varie Amazon, Meta, etc. O se si salderà con le difficoltà di altri Paesi.

La sostenibilità del nostro modello di sviluppo

In questo scenario, la sostenibilità del nostro modello di sviluppo su scala globale, la sua appetibilità e applicabilità anche per i Paesi emergenti o in via di sviluppo sarà più rilevante di un eventuale successo o insuccesso nel conflitto ucraino. Cioè, No Poverty, Zero Hunger, Quality education, Gender equality, Clean water, Decentwork and economic growth, Reduced inequality, fino a Peace, Justice and strong institution e a Partnership for the Goal.  Gli SDG.

Viceversa, gli ultimi anni hanno visto una progressiva concentrazione della ricchezza globale in poche mani; il declino, anche nei Paesi ricchi, del ceto medio, schiacciato dal livello di elusione ed evasione fiscale che la globalizzazione ha garantito e garantisce alle imprese e ai ceti più abbienti; lo sfruttamento incondizionato dei dati personali di miliardi di persone; la crescente inadeguatezza del lavoro nel garantire condizioni di vita soddisfacenti e talvolta anche solo decenti a una nuova categoria di working poor.

Quello che si autodefinisce “mondo libero” vincerà la sua partita non solo se fornirà carri armati a Kiev ma se il modello socio-economico su cui si basa saprà soddisfare le aspettative esistenziali della larga maggioranza dei suoi cittadini e mostrerà di poterlo fare anche per gli altri, potenzialmente per tutti, tutelando tutte le risorse ambientali e sociali coinvolte.

Anche questa è la sfida della sostenibilità e riguarda direttamente le imprese, chiamate a una trasformazione profonda per costruire una prospettiva di crescita e profittabilità basata sulla considerazione e l’inclusione di tutti gli stakeholder, rifuggendo ogni tentazione di greenwashing.

Non sarà gratis. Garantire retribuzioni adeguate, valorizzare i talenti e le diversità lungo tutta la catena del valore, in qualunque angolo del mondo essa conduca, costa e costerà, incidendo sui profitti a breve in cambio di una profittabilità più stabile nel medio periodo.

Non sarà gratis ma l’alternativa potrebbe essere molto più costosa.

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