Analisi

Sostenibilità e BlaBlaBla: evitare il rischio greenwashing con una nuova cultura aziendale

Nei giorni in cui a Glasgow sui tavoli della COP26 si cerca di trovare una sintesi tra visioni dell’economia e dello sviluppo ancora molto divergenti è importante analizzare le motivazioni concrete che possono spingere le imprese e le PMI in particolare a valutare, misurare, rendicontare e migliorare quegli ambiti in cui oltre a un miglioramento “per il pianeta” ci sia anche un beneficio potenziale per la competitività dell’azienda e per la generazione di nuovo valore in una prospettiva di medio periodo

Pubblicato il 02 Nov 2021

Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I, Team leader sostenibilità

Il “bla, bla, bla…” di Greta Thunberg, nell’incontro milanese in preparazione della COP26 di Glasgow (come descritto nel servizio Climate change, il premier Draghi: “Il tempo è scaduto: ora servono obiettivi chiari e l’impegno di tutti i Paesi), era indubbiamente rivolto alla politica. Se guardassimo, invece, al mondo delle imprese quanto di quell’accusa starebbe ancora in piedi?

In effetti, anche nel mondo delle imprese, l’enfasi sulla sostenibilità è cambiata negli ultimi 12-18 mesi. Il numero di aziende che redigono il bilancio di sostenibilità è certamente in crescita e anche chi non si dota di uno strumento strutturato come quello, spesso ha attivato iniziative che vanno nella stessa direzione. D’altra parte, le catene di fornitura sono un fortissimo propagatore di obblighi di compliance e di rendicontazione per cui le scelte o gli obblighi dei grandi produttori, capofila di ecosistemi globali di fornitori, ricadono sempre più sulle aziende della filiera, indipendentemente dalla loro dimensione e struttura organizzativa.

La dimensione ambientale è certamente quella che riceve le maggiori attenzioni, sia sul piano mediatico e sia su quello aziendale e il numero di spot che si concludono con la frase “… è meglio per… ed è meglio per il pianeta” sembra essere in continua crescita.

I rischi del greenwashing e le prospettive di una vera sostenibilità

Greenwashing o sostenibilità “vera”? E’ un confine difficile da tracciare e anche un eccesso di moralismo non serve a nulla. Il punto da chiarire è il perché. Perché spendere soldi sulla sostenibilità?

Si potrebbe dire, pensando alle tante PMI italiane e alle loro motivazioni: è evidente che se lo chiede il principale committente non servono altre motivazioni. Anche questo però è un ragionamento sbagliato perché rischia di portare a risposte burocratiche che si risolvono, stringi stringi, nella affannosa compilazione di un questionario: un puro costo.

Se intervenire sulla sostenibilità non genera cambiamenti concreti nell’operatività aziendale, allora è greenwashing, allora è fumo negli occhi e costi ingiustificati.

Sostenibilità è cambiare il proprio modello di business per prendere in considerazione una nuova classe di rischi e di opportunità, finora trascurata o sottostimata: se si fa questo, ogni sforzo per abbellire e renderne più chiara e attrattiva la comunicazione al mercato non sarà mai bla, bla, bla. E i soldi spesi saranno ben spesi.

Sostenibilità come vantaggio competitivo

Un modello di business e un’operatività che affrontino questi nuovi rischi saranno più attrattivi per una nuova classe di committenti e diventeranno così opportunità.

Il costo della sostenibilità non è il costo del consulente che aiuta l’azienda a redigere il bilancio di sostenibilità o del responsabile che viene preposto al tema ma è il costo della trasformazione aziendale che si individua come necessaria, considerando il proprio settore, le iniziative dei concorrenti, le richieste dei committenti, il quadro regolatorio e la sensibilità dei consumatori, con tutti gli errori e i rifacimenti che può comportare.

La qualità di un bilancio di sostenibilità non si misura con il numero dei temi individuati come materiali e degli SDG su cui si ritiene di avere un impatto. E’ piuttosto legata alla capacità di selezionare quei pochi temi rispetto ai quali è possibile un cambiamento reale e significativo del modo di operare dell’azienda che possa avere un impatto, considerando la cultura aziendale e le risorse che possono essere attivate. E rispetto ai quali il cambiamento possibile è in grado di generare valore per l’azienda.

L’importanza della capacità selettiva cresce al diminuire della dimensione dell’azienda ed è quindi cruciale per le PMI italiane che non possono certamente affrontare a cuor leggero trasformazioni a 360 gradi, neppure (o tantomeno) se fossero solo superficiali dichiarazioni di intenti.

Un’auto elettrica ha il 25% di componenti in meno di un’auto a motore termico: un’azienda della filiera automotive non ha innanzitutto il problema di apparire verde ma di mantenere i livelli fatturato e quindi di occupazione. La sostenibilità del business non è un concetto astratto ma concreto nel significato letterale della parola “sostenibilità”, con buona pace del rapporto Bruntland, degli SDG e della COP26.

L’importanza di preparare la cultura aziendale alla sostenibilità

In quella filiera, chi si è posto il problema nel 2015 sta certamente meglio di chi se lo è posto nel 2020.

Certo, non per tutti la criticità è la stessa ma immaginare un contesto diverso fra tre-cinque anni è difficile che non induca o suggerisca cambiamenti già oggi, magari anche solo nella formazione o nella cultura aziendale.

La capacità selettiva è influenzata dall’approccio metodologico che si utilizza. E’ evidente che c’è un problema di sostenibilità del modello di sviluppo che l’umanità ha avviato con la rivoluzione industriale o forse anche prima, con le politiche mercantili e coloniali europee dei due o tre secoli precedenti ma è altrettanto evidente che esiste una distanza enorme e spesso incolmabile fra questa esigenza complessiva e i vincoli di bilancio, culturali e operativi delle imprese, tanto più se PMI.

Diventa così cruciale adottare una metodologia e un approccio che consentano di allineare le due prospettive, rinunciando magari a qualche aspettativa, nobile ma astratta, per concentrarsi su quei temi, rilevanti per gli obiettivi globali di sostenibilità, che hanno maggiori probabilità di incidere anche su aspetti molto concreti e vicini alla logica di impresa: il valore dell’impresa stessa e la sua capacità di accedere al credito.

Il ruolo degli standard: GRI e SASB

A questo proposito, una riflessione sugli standard da utilizzare si impone: oggi la maggioranza delle imprese utilizza per la rendicontazione lo standard GRI della Global reporting Initiative mentre un piccolo ma crescente numero di imprese si riferisce allo standard SASB.

Non intendo certo contrapporre due standard come GRI e SASB che nascono con obiettivi diversi e sono forse entrambi necessari ma semmai porre il tema della necessità di una scelta consapevole tra i due approcci (le grandi organizzazioni ormai li utilizzano entrambi) e proporre un’inversione di approccio.

Avviare il proprio percorso per la sostenibilità utilizzando lo standard SASB aiuta, in questo senso, per due ragioni:

  • E’ strutturato per settore industriale e l’organizzazione per industry aiuta e semplifica l’analisi di materialità cioè l’individuazione dei temi su cui concentrare l’attenzione gli sforzi;
  • Ha una finalità ben definita che è centrata sulla materialità finanziaria dei temi di sostenibilità cioè sugli ambiti aziendali la cui transizione può generare il maggiore impatto sul valore dell’azienda.

Insomma, iniziamo ad analizzare, misurare, rendicontare e migliorare quegli ambiti in cui oltre a un miglioramento “per il pianeta” ci sia anche un beneficio potenziale per la competitività, per la sua attrattività e, in sintesi, per il valore dell’azienda in una prospettiva di medio periodo.

C’è spazio per fare di più? Certo, ha comunque un senso ridurre gli sprechi e migliorare l’impatto sul contesto ambientale, sociale ed economico in cui l’azienda opera con la consapevolezza che creare delle aspettative concrete avrà un impatto più efficace sulla proprietà, sul management e su tutta l’impresa.

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