Siamo ormai nel pieno della COP26 di Glasgow sul clima: nei giorni scorsi alcuni tra i principali leader globali hanno partecipato ai lavori inaugurali di questo appuntamento, cruciale in un’ottica di contenimento del climate change. Ma che cosa è esattamente la COP26? Quale impatto possiamo attenderci relativamente alla transizione energetica? Andiamo con ordine: da quasi tre decenni l’ONU riunisce quasi tutti i Paesi della terra per i vertici globali sul clima – chiamati COP – ovvero ” Conferenza delle Parti”. Quest’anno si terrà il 26eismo vertice annuale, di qui il nome COP26.
Pregi e limiti dell’Accordo di Parigi
L’ultima importante COP, la COP21, si tenne a Parigi nel 2015 e porto’ all’omonimo accordo: tutti i Paesi accettarono di collaborare per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, puntando a limitarlo a 1,5 gradi. Inoltre i Paesi s’impegnarono ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici e a mobilitare i fondi necessari per raggiungere questi obiettivi. Nel quadro dell’Accordo di Parigi ciascun Paese si è impegnato a creare un piano nazionale indicante la misura della riduzione delle proprie emissioni, detto Nationally Determined Contribution (NDC) o “contributo determinato a livello nazionale”. Fu concordato, dunque, che ogni cinque anni avrebbero presentato un piano aggiornato che rifletteva la loro massima ambizione possibile in quel momento. Con un anno di ritardo, causa pandemia, i Paesi presenteranno i propri piani aggiornati di riduzione delle emissioni alla Cop26. Il punto, purtroppo, è che gli impegni presi a Parigi non sono neanche lontanamente sufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi: con gli Ndc attuali, gli scienziati prevedono che nel 2100 l’innalzamento delle temperature sarebbe compreso tra i +2,6 a +2,7 gradi. La timidezza del 2015, quando fu prevista la possibilità di traguardare un obiettivo meno ambizioso (2 gradi), non è stata certo di aiuto. Per mantenere il climate change entro gli 1,5 gradi di riscaldamento, secondo la presidenza britannica della Cop26, non ci sono tante alternative: il pianeta deve garantire emissioni zero entro il 2050 e dimezzarle già entro il 2030.
La necessità della decarbonizzazione del settore energetico
In tutto questo, è facile da capire, il settore energetico giocherà un ruolo chiave: secondo la IEA il comparto è responsabile di quasi tre quarti delle emissioni di gas serra globali. Allo stesso tempo, è evidente che non si può semplicemente staccare la spina di punto in bianco, dal momento che dall’energia dipende la sussistenza delle economie, la salute e la vita stessa delle persone. La Iea, prevede che per arrivare all’obiettivo zero emissioni una grande spinta arriverà dall’efficienza energetica, con un tasso annuo di miglioramento dell’intensità energetica in media del 4% fino al 2030, circa tre volte il tasso medio raggiunto negli ultimi due decenni. In questo modo, nonostante l’economia mondiale nel 2030 sarà circa il 40% più grande di quella attuale, ma utilizzerà il 7% in meno di energia. Ovviamente un ruolo chiave sarà giocato dalle fonti di energia rinnovabile. che grazie alla loro progressiva economicità favoriranno il percorso verso lo net zero: la IEA ipotizza per questo decennio una crescita estremamente rapida di solare ed eolico, con una nuova capacità annua installata di 630 gigawatt (GW) per il solare fotovoltaico (FV) e circa 390 GW per l’eolico entro il 2030, ossia quattro volte i livelli record stabiliti nel 2020. La Iea assegna però un ruolo da protagonista a idroelettrico e nucleare, ovvero le due maggiori fonti di elettricità a basse emissioni di carbonio oggi, che continueranno a essere una una base essenziale per la transizioni in atto.
Il ruolo dell’innovazione
Man mano che il settore dell’elettricità diventerà più pulito, l’elettrificazione emergerà come uno strumento cruciale a livello economico per ridurre le emissioni. Ad esempio i veicoli elettrici passeranno da circa il 5% delle vendite globali di auto a oltre il 60% entro il 2030. Per i decenni successivi, le speranze sono soprattutto legate alla ricerca e sviluppo: le riduzioni delle emissioni attese tra 2030 e 2050 dovrebbero infatti arrivare da tecnologie che sono attualmente in fase di dimostrazione o prototipo, in particolare per quanto riguarda l’industria pesante e i trasporti a lunga distanza. Un ruolo chiave nell’innovazione energetica, seconda la Iea sarà giocato da sistemi avanzati di storage, dalla diffusione dell‘idrogeno e dalle tecniche per la cattura della CO2. Ovviamente, oltre a tutto questo, c’è la necessità di spegnere quanto prima possibile le centrali a carbone, che però ancora oggi garantiscono una fetta importante della produzione elettrica globale, tanto che nei Paesi in via di sviluppo ci sono ancora numerosi progetti in costruzione.
Cosa succederà nel 2050
Se queste azioni saranno intraprese dai Paesi globali con coerenza, al 2050 potremmo avere una domanda globale di energia nel 2050 di circa l’8% inferiore a quella attuale, capace di assicurare il funzionamento di un’economia più grande del doppio e una popolazione di 2 miliardi di unità più numerosa rispetto a oggi. Invece di essere come oggi dipendente dai combustibili fossili, il settore energetico si baserebbe in gran parte sulle energie rinnovabili. Ben due terzi della fornitura totale di energia nel 2050 proverrebbe infatti da energia eolica, solare, bioenergetica, geotermica e idroelettrica, mentre il ruolo dei combustibili fossili sarebbe ridotto ad appena un quinto entro il 2050, con l’impatto negativo in gran parte attenuato da soluzioni di Carbon & Capture storage.
Come finirà la COP26?
Cosa dobbiamo aspettarci da queste due settimane di negoziati? Come al solito, è lecito attendersi che alcuni vedranno il bicchiere mezzo pieno e altri mezzo vuoto. D’altronde, con 200 Paesi riuniti intorno a un tavolo, è difficile aspettarsi qualcosa di più di un compromesso, visti gli enormi e divergenti interessi in ballo. D’altra parte, però, mai come ora – spinti dalla pressione dell’opinione pubblica e dalle evidenze scientifiche – un documento finale che contenga alcune proposte e impegni concreti dovrà per forza scaturire dalla COP26, pena un fallimento che peserà su Governi, istituzioni e leader. L’aspetto che appare importante è che gli impegni siano già radicali per il prossimo decennio, più che guardare a cosa sarà indicato per il lunghissimo termine: una efficace partenza della transizione energetica potrebbe infatti spingere in futuro anche i Paesi in via di Sviluppo a porsi obiettivi di riduzione delle emissioni più ambiziosi.