Analisi

Catene di fornitura, ESG e PMI: prima l’engagement e poi il reporting

Le situazioni di crisi a livello di supply chain impongono una accelerazione nella valutazione delle scelte legate alle catene di fornitura in relazione ai percorsi e ai progetti di sostenibilità delle imprese. Visione e analisi di Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant di P4I e Sergio Fumagalli, Team leader sostenibilità di P4I

Pubblicato il 01 Apr 2022

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Il rapporto tra catene di fornitura e ESG rappresenta sempre di più il fattore chiave per impostare e definire le strategie di sostenibilità aziendali. Nell’articolo PMI e ESG: come e dove orientarsi abbiamo iniziato a definire un primo punto di orientamento in particolare per quanto attiene al ruolo dei “fornitori” di rating che mettono a disposizione questionari, offrono supporto per la compilazione e per la definizione di un posizionamento in termini di dati legati alla sostenibilità. Abbiamo visto come da questo lavoro esca un primo livello di conoscenza basato sulle risposte a una serie di domande specifiche su cui viene costruito un primo giudizio. Abbiamo poi visto quanto sia importante considerare la sensibilità e la competenza di chi rappresenta l’azienda in questa raccolta di informazioni e quanto sia altrettanto importante capire anche come evolve l’offerta di servizi.

La differenza in termini di capacità di raggiungere risultati concreti dipende anche dalla capacità di ciascuna azienda di sviluppare un proprio “pensiero progettuale” in merito alla sostenibilità, anche attraverso modelli organizzativi che siano nella condizione di portare questi temi all’attenzione costante del top management.

Le catene di fornitura, le PMI e i percorsi ESG

La numerosità dei fornitori di “percorsi ESG” e la quantità di questionari, tutti diversi fra loro, che ne deriva è un primo “ostacolo” serio e oneroso, anche in termini di orientamento e di posizionamento sulle tematiche che ciascun “questionario” impone di affrontare. In un mercato che chiede alle imprese di essere sostenibili è necessario “rendere la sostenibilità a sua volta sostenibile” e considerando che non è ragionevole aspettarsi di vedere diminuire il “numero dei questionari” “le aziende – osserva Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant di P4I – devono approcciare in modo diverso e pragmatico questa prospettiva, passando da una postura meramente reattiva – ricevo un questionario e mi attivo cercando di trovare i dati richiesti – ad una proattiva: devono cioè attuare una propria analisi di materialità a prescindere dalle sollecitazioni che arrivano dall’esterno e costruire un proprio profilo di sostenibilità. In altre parole, è importante misurare le proprie esternalità positive e negative anche a livello di catene di fornitura per inquadrare i temi materiali e produrre in autonomia un posizionamento su questi temi da comunicare ai diversi stakeholder e da cui derivare la capacità di rispondere ai questionari in modo più efficiente”.

Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant, P4I

Sostenibilità, PMI e creazione di valore nelle catene di fornitura

Prima ancora che un tema di analisi della situazione aziendale e di valutazione delle performance di sostenibilità è importante mettere sotto la lente la situazione dell’azienda in termini di creazione di valore. A questo scopo è necessario interrogarsi, a partire dall’analisi di materialità, sull’evoluzione della propria capacità di generare valore in un contesto di catene di fornitura a fronte di uno scenario nel quale è necessario relazionarsi con i temi dell’impatto ESG. “Il tutto senza mai trascurare che per le imprese di medie e piccole dimensioni è sempre più importante l’effetto di sollecitazioni che arrivano dai committenti – osserva Sergio Fumagalli, Team leader sostenibilità di P4I, – da imprese che stanno a monte nella catena di fornitura e che esigono di disporre di determinati dati per un proprio percorso ESG”.

Il committente tende a misurare, a controllare, a verificare in modo sempre più dettagliato le performance ambientali e tende a definire un percorso nel quale si devono collocare tutti i propri fornitori. L’azienda naturalmente si deve muovere tenendo conto di questi fattori e – come osserva Fumagalli – “occorre attuare una tattica preventiva: rifletto sul futuro e sulle variabili che acquisteranno importanza, cerco di capirne l’impatto sul business e sul valore dell’azienda, grande o piccola, e cerco di anticipare le richieste perché anche in questa capacità risiede una nuova forma di competitività”.

Le PMI e la materialità finanziaria e di impatto

Quindi la prima regola per uscire dal “meccanismo dei questionari” è di evitare di rincorrere il mercato ma di anticiparlo. Molte risposte alle domande che vengono richieste nei questionari sono nella quotidianità delle aziende, nella loro visione della produzione, del business, dei prodotti, delle relazioni e delle persone.

“Ma tutto parte dalla materialità – precisa Grassadonia -, dalla materialità finanziaria e dalla materialità di impatto. Cioè da ciò che conta e conterà davvero”.

Si tratta però di inquadrare il senso stesso della materialità, affinché rappresenti un invito e uno stimolo per scegliere le priorità, per utilizzare le migliori metodologie e per tenere conto delle opportunità che sono legate alla transizione sostenibile. “In questo senso – osserva Fumagalli – le imprese sono invitate a riflettere sui temi fondamentali che determinano la loro capacità di generare valore e di convogliare su questi temi le risorse più importanti. Occorre infatti considerare che dall’analisi di materialità arrivano indicazioni fondamentali per la sostenibilità e per il modello di business dell’azienda”.

PMI ed esternalità, negative e positive

Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I, Team leader sostenibilità

Tutto questo va poi messo in relazione con la realtà nella quale si colloca ciascuna azienda, ovvero con i fattori esterni che incidono sulle scelte aziendali. Il contesto, trasformatosi così repentinamente e con impatti significativi , in conseguenza di crisi geopolitiche, delle misure e restrizioni seguite alla pandemia e ora della guerra ha, come noto, cambiato non solo lo scenario politico generale, ma anche le strategie produttive concrete di tante realtà, imponendo anche un profondo ripensamento delle strategie di approvvigionamento, delle catene del valore e delle relazioni tra partner di filiera. La sostenibilità in tantissime situazioni si è sovrapposta e integrata con obiettivi legati alla riduzione e alla mitigazione dei rischi e alla necessità e capacità di adattare gli obiettivi in un modo che fosse culturalmente e pragmaticamente adeguato al contesto nel quale ciascuna azienda opera e opererà.

Le PMI e l’ESG davanti ai temi posti da “I limiti dello sviluppo”

In questo senso da Luca Grassadonia e Sergio Fumagalli arriva l’invito leggere l’attuale situazione che caratterizza il mondo della sustainability e dell’ESG in riferimento al percorso svolto da queste discipline e alla necessità di mediare in ogni fase con il contesto di riferimento.

La sostenibilità non è un tema che nasce oggi ma è stato imposto da crisi sempre più evidenti e più frequenti.

Il punto di riferimento di questo percorso è rappresentato dalla proposta che è arrivata nel 1973 dal Club di Roma.  L’associazione non governativa composta da scienziati, economisti, imprenditori e manager d’impresa e di istituzioni pubbliche, attivisti dei diritti civili e capi di Stato di tutti i continenti presentò un report denominato significativamente “I limiti dello sviluppo” con il quale ha messo in relazione il concetto di sviluppo con il concetto di risorse. Un documento che per la prima volta ha lanciato un segnale di allarme analizzando lo stato complessivo del pianeta Terra in funzione di possibili scenari futuri determinati proprio dall’utilizzo (e dallo sfruttamento) delle risorse disponibili.

Quindici anni più tardi è arrivato il rapporto Brundtland all’ONU e da lì le 26 Conferenze delle parti, l’agenda 2030 e gli SDG.

In occasione del 50° anniversario della sua fondazione il Club di Roma ha poi presentato un altro rapporto con il quale ha voluto mandare un messaggio: “Transformation is feasable” che è nello stesso tempo un bell’invito all’azione ma, come emerge dai contenuti del report, è anche uno stimolo a non rischiare di perdere tempo perché le conseguenze legate all’utilizzo delle risorse del pianeta ci avvicina a un punto di non ritorno.

Governare i limiti dello sviluppo

La riflessione legata al Club di Roma presenta molte analogie come suggerisce Grassadonia, con la situazione attuale. Nella prima parte degli Anni ’70 gli scienziati, gli economisti e gli uomini di impresa iniziarono a parlare di “Limiti nello sviluppo” in seguito o in relazione a una serie di crisi che misero in seria difficoltà molte catene di fornitura e molte economie: la crisi petrolifera che passò alla storia per le domeniche senz’auto e la crisi cerealicola mondiale e il Biafra, che con ragioni e modalità diverse costituirono un forte segnale rispetto alla difficoltà (o impossibilità) di pensare a uno sviluppo basato solo sul modello lineare di sfruttamento delle risorse.

“Ma il punto chiave di questa storia lunga mezzo secolo  – osserva Fumagalli – è da ricondurre al concetto che le singole crisi che si vivono in varie aree del pianeta o in diversi settori sono sintomi di una crisi globale, che può essere affrontata solo con una visione condivisa e con uno sforzo di tutti gli attori, pubblici e privati, rilevanti”. Il principio di fondo è che non è possibile “prendersi cura del pianeta Terra” solo in modo parziale, ma occorre perseguire una visione di insieme e che la responsabilità non è in capo a qualcuno, ma a tutti, ciascuno per il proprio ruolo e con le proprie modalità applicative.

Il ruolo dell’ESG nella risposta alle crisi nelle catene di fornitura

La situazione nella quale si trovano le economie mondiali oggi ripropone la necessità di analizzare le crisi che colpiscono le catene di fornitura globali con una visione che sia a sua volta globale, di insieme. Il presupposto per affrontare le conseguenze di “catene di fornitura che si rompono” per diverse ragioni non è più solo quello di disporre di valide (e rapide) alternative, ma quello di avere una lettura preventiva delle esternalità negative e positive che accompagnano ogni impresa. “Occorre avere la capacità di valutare anche in prospettiva – osserva Fumagalli – i fattori esterni che si accumulano e che determinano o influenzano modelli e strategie di business”.

In questa valutazione è necessario considerare che “prendere determinate risorse da un luogo piuttosto che da un altro comporta delle conseguenze che non sono riferibili solo ed esclusivamente ad aspetti economici o socioeconomici, ma che hanno rilevanza nel tempo e dipendono dal sistema di relazioni che, consapevolmente o meno, sottostanno a quelle stesse scelte”.

Affrontare seriamente la transizione sostenibile, riflettere sulla sostenibilità delle proprie strategie e dei propri modelli di business non è dunque un tema per chi se lo può permettere o per le grandi aziende: nelle forme corrette è una necessità per tutti, per chi è capofila di una filiera e per chi ne è parte, grande o piccola.

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Mauro Bellini
Mauro Bellini

Ha seguito la ideazione e il lancio di ESG360 e Agrifood.Tech di cui è attualmente Direttore Responsabile. Si occupa di innovazione digitale, di sostenibilità, ESG e agrifood e dei temi legati alla trasformazione industriale, energetica e sociale.

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