La blockchain nella tazzina: ecco Segafredo Storia, il caffè trasparente e sostenibile

Nasce dalla collaborazione con Ibm il prodotto in grado di raccontare la propria storia tramite un QR code sul packaging. Alberto Lusini: “Impegnati a dialogare con i consumatori e a garantire la completa tracciabilità della nostra filiera”

Pubblicato il 07 Apr 2021

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Con Segafredo Storia arriva sul mercato un caffè totalmente “trasparente”, che svela al consumatore l’intero percorso che lo ha portato dalla raccolta fino alla tazzina. A rendere possibile la tracciabilità e la certificazione di ogni passaggio della filiera è la blockchain, in un percorso che il secondo produttore italiano di caffè ha messo a punto in partnership con Ibm, che ne ha seguito e adattato l’aspetto tecnologico. A spiegare in un’intervista ad Agrifood.tech come e in che contesto è nata questa collaborazione è Alberto Lusini, International Sales & marketing director in Massimo Zanetti Beverage Group.

Lusini, come nasce l’idea di dare vita a Segafredo Storia?

Massimo Zanetti Beverage Group è una costellazione di aziende arrivata alla soglia dei 50 anni di attività, che copre tutta la filiera del caffè. Nasce come trader di caffè verde, quindi dalla materia prima, e ha creato nel tempo un modello di business totalmente integrato, dalla coltivazione fino alla tazzina, al bar, al ristorante o in casa. Seguiamo quindi l’intero processo produttivo, non soltanto la torrefazione e la commercializzazione. Proprio da questo nostro punto di forza è nata una considerazione di marketing: in un mondo estremamente veloce, in cui il cambiamento è diventato una costante del mercato, per essere al passo con i tempi e guadagnare un vantaggio competitivo è necessario rimanere attentamente in ascolto del consumatore finale. Ideare un prodotto e pensare che funzionerà senza aver instaurato un legame con gli utenti è sempre più difficile. Così, analizzando i trend che caratterizzano il mondo del caffè e confrontandoci con i consumatori e il mondo del business abbiamo capito che oggi è fondamentale essere completamente trasparenti in termini di sostenibilità e di provenienza dei prodotti, un aspetto che è ritenuto fondamentale da quasi la metà –  per la precisione il 44% – delle persone che bevono caffè in Europa. L’aumento percentuale è stato di 5 punti nel 2020 rispetto al 2019, e questo vuol dire che c’è un’enorme fetta dell’opinione pubblica che si sta muovendo. Avendo tutte le carte in regola per farlo, abbiamo deciso di provare a intercettare questa richiesta e di trovare un nuovo sistema per comunicare il nostro impegno, garantendo tracciabilità e trasparenza. La scelta di Ibm come partner a quel punto è stata del tutto naturale, perché parliamo di una delle aziende più attive nel campo della blockchain, in grado di fornirci il meglio della tecnologia necessaria per dare forma alla nostra idea. La blockchain in questo contesto non è altro che il modo più semplice per rispondere ai bisogni espressi dai consumatori: non un’idea di marketing, ma una soluzione che facilita un’interazione vera con i clienti.

Quali sono state le principali difficoltà che avete incontrato?

In generale nel mondo del caffè è molto difficile seguire tutta la filiera, che mette assieme una serie di player eterogenei: c’è il produttore della materia prima, chi la compra e chi la vende, tutto il mondo della logistica, gli enti certificatori, fino ad arrivare all’ultimo miglio e al percorso che porta il caffè sugli scaffali di un market e fino in casa dei consumatori finali, o nei bar e nei ristoranti. Per noi tutti i passaggi sono stati forse un po’ più semplici, perché siamo presenti in ogni step della filiera. Abbiamo iniziato dall’Honduras, dove il nostro Presidente Massimo Zanetti controlla un’azienda di produzione, in cui gli stessi contadini avevano dato vita a progetti con la Fondazione Zanetti, e servendoci di trader che erano già nostri partner. In definitiva, non siamo i primi a fare un caffè tracciato attraverso la blockchain, ma siamo i primi che lo fanno con un marchio globale: siamo in grado per questo a dare una maggiore ampiezza e profondità al progetto, utilizzando l’intera catena del valore, connettendo il contadino, il trader, il torrefattore, il distributore e il consumatore finale.

Come fa il cliente ad avere tutte le informazioni sul caffè che acquista?

Il procedimento è semplice: sul packaging c’è un QR code che inquadrato con lo smartphone, reindirizza il consumatore a un sito tramite un’applicazione – grazie alla collaborazione con Farmer Connect – dal quale può apprendere tutte le informazioni certificate sulla storia del prodotto che ha acquistato: dove è stato coltivato e raccolto il caffè, dove è stato lavorato, da chi è stato trasportato. Ogni passaggio è verificato e certificato su un registro condiviso, e questa è una garanzia sulla qualità e l’attendibilità delle informazioni che vengono condivise, in termini di rispetto dei diritti dei lavoratori e di attenzione alla sostenibilità in ogni passaggio della produzione e della distribuzione. Il vantaggio della blockchain è che consente la registrazione di ognuno di questi passi in tempo reale, e che le informazioni – una volta registrate – non possono più essere modificate. Questo garantisce che Segafredo Storia è un caffè premium, single origin, 100% arabica, biologico e prodotto in modo sostenibile.

A questo si unisce anche la possibilità di una comunicazione “emozionale”…

Esatto. Il consumatore ha la possibilità di avere informazioni sulle persone che stanno dietro al caffè e sulla loro storia: è uno storytelling “immediato”, nel senso della velocità e dell’assenza di mediazioni: non è il produttore che racconta, ma lo fanno direttamente i vari artefici della catena produttiva.

Che risultati vi aspettate da questa iniziativa?

Stiamo registrando un ottimo livello di richieste, per un prodotto che lanciamo con lo stesso packaging sia per i bar sia per i privati. Diciamo che c’è un grande interesse, e che quindi confidiamo nel fatto che nei prossimi mesi i risultati saranno ottimi. Allo stesso tempo vorrei aggiungere che Segafredo Storia non è per noi un punto di arrivo, ma una tappa di un percorso che fa parte del Dna dell’azienda: nel 2020 siamo cresciuti in modo deciso rispetto alla certificazione dei nostri prodotti, e dal 2017 pubblichiamo il nostro bilancio di sostenibilità. La blockchain ci aiuta a rendere più trasparente e visibile a tutti questo nostro Dna, che è fatto anche di sostenibilità ambientale e sociale, quindi di social responsibility, di etica, di integrità di business, di rispetto dei diritti umani. Sappiamo che caffè viene da luoghi in cui dobbiamo essere consapevoli del nostro impatto sulle popolazioni locali, e non a caso Consumer lab ci ha inseriti tra i 150 migliori sustainable report italiani. Detto questo, sappiamo anche che c’è ancora molto da fare, e siamo impegnati per continuare a migliorare.

Quanto è stata utile in questo percorso la partnership con Ibm?

Credo che non potessimo scegliere un partner migliore per questa iniziativa. Da Ibm e da Farmer Connect, che utilizza la blockchain di Ibm, non soltanto otteniamo tutto il know-how per implementare al meglio la tecnologia nei nostri processi, ma riceviamo anche una serie di stimoli per spingere sempre più in là il progetto. Così per il futuro, una volta che avremo potuto valutare i risultati che arrivano da questa prima implementazione, potremo estendere l’idea ad altri profili di prodotto, o introdurre grazie all’input tecnologico la possibilità di prevedere un meccanismo di feedback nei punti intermedi della supply chain. Potrà essere possibile, ad esempio, mandare un messaggio direttamente al soggetto che si occupa di una porzione della catena, che sia il produttore o il distributore, fino ad arrivare al meccanismo del “tip you farmer” o del “tip your producer”, che consente al consumatore di dare una mancia al produttore di cui ha particolarmente apprezzato la qualità semplicemente interagendo con l’app. Oppure potremmo usare lo stesso sistema per dare conto del nostro impegno per ridurre e azzerare le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, condividendo la nostra carbon footprint fino a quando riusciremo ad azzerarla. Saremo impegnati da qui in avanti a valutare questo genere di opportunità e a capire come e in quale misura eventualmente introdurle.  Direi che siamo all’inizio, che siamo soddisfatti di aver fatto questo passo e che siamo pronti a valutare per il futuro eventuali arricchimenti del progetto.

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