Il fenomeno dell’IoT e dell’impiego intelligente e collaborativo dei dati ha coinvolto tutti i settori produttivi alla ricerca di applicazioni tecnologiche in grado di supportare l’efficientamento del business e la qualità del prodotto. Anche l’agricoltura è stata oggetto di esperimenti di vario genere, spesso trainati dai produttori di macchine alla ricerca di elementi di differenziazione sul mercato della propria offerta e dalle grandi aziende chimiche focalizzate sul business delle sementi e dei prodotti per la concimazione e il diserbamento. Quasi tutti, da subito, hanno introdotto innovazioni di prodotto orientate all’automazione delle macchine agricole in grado di semplificare le attività svolte dagli operatori delle “Farm”. Da qui, lo sviluppo di progetti finalizzati all’introduzione di tecnologie di guida assistita e autonoma, di pianificazione ed esecuzione dei cicli di preparazione del terreno, semina, irrigazione e raccolta. Vengono promossi così modelli di azienda agricola altamente digitalizzati, dove la gestione intelligente del dato unito a un altissimo livello di automazione consentono: l’ottimizzazione dei cicli di produzione; lo sfruttamento più intelligente delle risorse naturali, il miglioramento della qualità merceologica del prodotto finito, la riduzione delle esigenze di training e di formazione del personale addetto attraverso l’utilizzo di simulazioni digitali dei processi produttivi. In questo modello, lo sfruttamento “intelligente” delle risorse naturali prende il posto dello sfruttamento massivo delle stesse. Nasce il modello Farm Forward.
Il modello Farm Forward
L’esempio più compiuto di questa rivoluzione digitale nel mondo del farming è sicuramente rappresentato dal modello “Farm Forward” proposto da John Deere (https://www.youtube.com/watch?v=jEh5-zZ9jUg).
In questo modello, il contadino diventa un moderno manager digitale in grado di: governare con un single click flotte di macchine agricole ed impianti di irrigazione; comunicare con i propri addetti attraverso sistemi di comunicazione unificata fino ad allora immaginate per ambienti produttivi di diverso profilo; condurre sofisticate analisi video e chimiche degli elementi naturali e dei risultati delle proprie coltivazioni unendo alla propria esperienza agricola supporti informativi offerti da piattaforme di analisi del dato collaborative. Questo contadino non guarda più il cielo e non assaggia più la terra e il seme, ma si rivolge a quadri sinottici offerti dal sistema informatico che impiega nonché ad analisi video e chimiche degli elementi naturali.
Ma quanto costa tutto ciò? Sebbene tutti i produttori di macchine agricole abbiano compreso sin dall’inizio che tali tecnologie dovessero essere rese disponibili con un modello di acquisto a servizio (SaaS, pay as you go), le architetture tecnologiche e gli sviluppi applicativi necessari per rendere tutto ciò possibile presentavano degli investimenti inziali simili a quelli generati dalla ingegnerizzazione e produzione di nuove macchine agricole. Pertanto, era necessario avere una chiara e inequivocabile comprensione del ritorno che il lancio sul mercato di tali servizi avrebbe potuto generare. In sostanza, era necessario disegnare un nuovo modello di business in grado di porre al centro del valore venduto la proprietà intellettuale dei dati gestiti e messi a disposizione dei “farmer”.
Questo modello, replicato in parte dai principali soggetti operanti sul mercato, aveva lo scopo di fornire valore aggiunto a tutte le realtà produttive in cerca di efficienza al fine di affrontare la concorrenza da parte delle grandi multinazionali del cibo e dei bio carburati operanti nei paesi emergenti con politiche di sfruttamento massivo delle risorse.
Tale esigenza ha richiesto un cambiamento radicale nell’organizzazione delle aziende manifatturiere stimolando la nascita di un nuovo dipartimento in grado di orientare gli investimenti tecnologici e digitali in funzione dei nuovi modelli di business. Questo compito, ospitato dalla organizzazione del Digital Officer, sta assumendo un ruolo sempre più importante e vitale nel processo di trasformazione del business. In alcuni casi, il digital office ospita addirittura una funzione dedicata di Talent management, provvedendo autonomamente al reperimento sul mercato dei talenti necessari ad affrontare la sfida digitale (data scientists, esperti di cyber security, architetti digitali). Se la competizione rispetto all’acquisizione di talenti era negli anni Ottanta fortemente orientata a catturare i migliori ingegneri meccanici, e quindi interna al proprio dominio di business, oggi si indirizza verso settori tradizionalmente di appannaggio delle società ICT, generando una vera rivoluzione nella cultura aziendale e nel mondo del lavoro.
Agricoltura digitale
Ma gli aggiustamenti organizzativi interni sembrano non essere sufficienti a supportare il caso di Business in questione. Servono strategia di alleanze innovative che mettano insieme soggetti operanti nella stessa filiera del valore. Cosi nascono partnership fino a pochi anni fa non ipotizzabili come quella fra Deere & Company e The Climate Corporation, consociata Monsanto (leader mondiali nella produzione di sementa ora posseduta da Bayer) orientata allo sviluppo di un ecosistema di market place digitali in grado di coprire tutte le esigenze di supporto alla produzione agricola.
In base ai termini di questo accordo, Deere acquisirà Precision Planting (https://www.precisionplanting.com/) mentre Climate conserverà il portafoglio agricoltura digitale integrato nella piattaforma Climate FieldView (https://climatefieldview.it/):
“Per massimizzare i vantaggi dell’agricoltura digitale gli agricoltori hanno bisogno di soluzioni per la raccolta dei dati agronomici sul campo semplici e senza soluzione di continuità, ha dichiarato Mike Stern, presidente e Chief Operating Officer di The Climate Corporation. Come risultato di questo storico accordo, gli agricoltori potranno contare sulla soluzione di connettività più veloce, aggiornata e ad alta risoluzione fra le macchine John Deere e la piattaforma Climate FieldView.”
Le grandi architetture di gestione del dato promosse dagli OEM, nate inizialmente in casa come strumento “interno” di differenziazione sul mercato basata sul possesso del dato, diventano quindi collaborative. La distribuzione del valore derivante deve pertanto essere ospitato da nuovi soggetti industriali che partendo dalla esperienza consolidata sul mercato, facciano evolvere questa rete di domini di informazione (data Lake) verso un modello collaborativo che trova le sue remunerazioni in uno scambio efficiente d royalties.
Pertanto accade che la filiera del dato si arricchisce di numerosi soggetti che allo stesso tempo sono attivi e passivi rispetto al ciclo di generazione e fruizione del valore. A titolo esemplificativo e non esaustivo:
- Gli imprenditori agricoli in grado raccogliere dati e di metterli a disposizione degli OEM e quindi delle società chimiche:
- chimici, fisici dei terreni coltivati attraverso i numerosi sensori istallati nei campi e sui mezzi
- analitici rispetto ai risultati ottenuti dalle coltivazioni
Di contro ottengono informazioni e strumenti tali da consentire loro
- l’implementazione di sistemi coltivazione ottimizzati (sementi e concimi personalizzate, macchine e semi di lavorazione altamente automatizzate)
- l’effettuazione di una più efficace rotazione delle coltivazioni
- Le organizzazioni meteorologiche, climatologiche per il controllo ambientale forniscono agli OEM e alle industrie chimiche ulteriori dati utili e di contro possono ricevere informazioni ambientali, relativa alla chimica ed orografia dei terreni, allo sfruttamento dello stesso, utili a popolare i propri e ad arricchire i propri modelli predittivi
È chiaro che al vertice di questa catena del valore rimangono le industrie chimiche e per la produzione di sementa che raccolgono dal sistema il massimo vantaggio economico e di controllo della catena stessa. Nascono pertanto molti quesiti di carattere etico rispetto fra i quali e mergono con forza nella mia mente i seguenti:
- Quale è e quale sarà il ruolo del contadino in questo nuovo mondo agricolo fortemente digitalizzato e standardizzato? Non rischia di diventare il soggetto debole di questa catena del valore, sempre di più compresso fra i produttori di sementa, concimi, antiparassitari e diserbanti e dai produttori di macchine agricole che detengono diventandone progressivamente totalmente dipendente sia in termini di processo, esecuzione e ingegnerizzazione delle proprie attività agricole.
- Questa spinta alla digitalizzazione porterà solo a un aumento delle posizioni monopolistiche dei soggetti su citati e ad una standardizzazione del prodotto o aiuterà veramente l’uomo a risolvere il problema alimentare con metodi sostenibili.
- Come potranno difendersi le piccole produzioni e conseguentemente come e quanto la biodiversità del pianeta sarà intaccata da questi modelli? Questa domanda diventa ancora più pressante se si pensa a come stiano diventando interconnesse le due filiere (chimica, grande distribuzione) guidate dalla creazione di un modello unico integrato ed efficiente che va dalla sementa allo scaffale.
Lasciando ai lettori le risposte a queste domande mi soffermo su una considerazione finale: per governare il processo di digitalizzazione della filiera alimentare, a mio avviso ormai inarrestabile, diviene centrale il ruolo dei governi che devono ripensare ad una nuova organizzazione della stessa in grado di tenere insieme tutte le spinte provenienti dai soggetti forti e le esigenze di quelli deboli.