Dopo una trattativa complessa e sofferta a Glasgow è arrivata la firma di 197 paesi al documento finale di COP26 e nasce il Glasgow Climate Pact.
Un punto di arrivo che è soprattutto un nuovo punto di partenza perché la vera sfida inizia adesso e come è apparso subito chiaro, anche nelle lunghe ore che hanno anticipato la conferenza stampa finale con le tre bozze del documento finale si tratta di un importante passo in avanti rispetto al passato che cambierà economia e comportamenti sociali, ma che non è abbastanza. La strada per un vero costruire un ampio consenso sulla trasformazione ecologica è lunga e il compromesso raggiunto a Glasgow è un risultato che stimola e accelera tante iniziative, ma che non è ancora nella condizione di garantire se e come tutti gli impegni che sono stati annunciati si potranno concretizzare veramente.
Il risultato, per la cronaca, è arrivato nella giornata di sabato 13 novembre, con un giorno di ritardo rispetto all’agenda stabilita per la chiusura ufficiale: quando i delegati e i rappresentanti di quasi 200 paesi (197 per la precisione) hanno firmato (e commento con una serie di interventi di cui diamo evidenza nel seguito di questo articolo) il documento finale della COP26 e hanno dato vita al Glasgow Climate Pact.
nella cronologia dei documenti la versione finale rispetta la stessa impostazione della terza bozza, ma con una serie di interventi che purtroppo, come mettono in evidenza le voci più critiche di questa Conferenza delle Parti, indeboliscono la possibilità che certi impegni possano effettivamente concretizzarsi o, meglio, lasciano una serie di incertezze sui tempi entro i quali certi impegni dovranno essere concretizzati. E questo è un punto chiave perché il fattore tempo è assolutamente determinante, come è stato più volte sottolineato con tantissimi segnali di allarme e ricerche.
Uscita dal carbone: da “eliminazione graduale” a “riduzione graduale”
Il punto più controverso è rappresentato dall’uscita dal carbone, ovvero dalla volontà più volte espressa a COP26 di una dismissione rapida delle centrali basate sull’utilizzo di questo combustibile fossile. Purtroppo l’impegno espresso nei primi documenti nella forma di una “eliminazione graduale” del carbone (con cui già si era ammorbidito il primo impegno con il termine “graduale”) è stato sostituito dall’espressione assai più ambigua e debole di “riduzione graduale” che rende assai più difficile definire obiettivi precisi e conseguentemente controlli chiari.
I contrasti sono arrivati anche sui fondi ai Paesi meno sviluppati per la mancanza di un riferimento al fondo da 100 miliardi di dollari all’anno sino al 2025 già previsto dall’Accordo di Parigi per supportare la transizione energetica e la decarbonizzazione dei paesi in via di sviluppo. Fondo che era peraltro partito con molta fatica. Stesso discorso anche per le richieste di fondi per affrontare l’adattamento ai cambiamenti climatici e i danni che il climate change sta già purtroppo causando in tante aree del pianeta.
Obiettivo primario: limitare il riscaldamento globale a 1,5°
Nello stesso tempo, il Glasgow Climate Pact conferma l’obiettivo primario di attuare misure per limitare il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali segnando un forte miglioramento rispetto all’Accordo di Parigi, che restava più genericamente a un obiettivo inferiore ai 2°C e così anche l’obiettivo di una riduzione delle emissioni del 45% entro il 2030 per arrivare a un Net Zero entro il 2050, resta tuttavia l’incertezza sulla definizione delle strategie nazionali che sono rimandate al 2022.
Il comunicato ufficiale dell’UNCC United Nation Climate Change parla di un risultato che ha permesso di arrivare dopo sei anni di negoziazioni a un consenso su temi che permettono la reale implementazione degli Accordi di Parigi e mette contemporaneamente in evidenza che i temi dell’adattamento al climate change, delle misure per la mitigazione delle minacce attuali e per riparare i danni che già si stanno subendo. Gli interventi finanziari per sostenere questi impegni sono stati al centro di un dibattito molto complesso sul quale è stato raggiunto comunque un accordo. Un accordo a sua volta sofferto, come dimostrano le lacrime con cui il presidente della COP26 Alok Sharma in un momento della Conferenza ufficiale ha manifestato la fatica per raggiungere l’intesa su un testo finale più debole e “annacquato” rispetto agli impegni e che è da considerare come una “vittoria fragile”.
Un ruolo sempre più attivo della finanza
I temi, le misure e i programmi per l’adattamento sono stati al centro del dibattito e le parti hanno stabilito un programma di lavoro per arrivare a identificare in modo più preciso e chiaro i bisogni collettivi. È poi previsto un rafforzamento della “Santiago Network” per sostenere i paesi che devono affrontare e gestire perdite e danni e sono stati approvati due registri per gli NDCs Nationally Determined Contribution e per l’Adaptation Communications, che dovranno indirizzare dati e informazioni al Global Stocktake dell’UNCC per controllare i risultati di questi interventi nel lungo periodo e che si terrà ogni cinque anni a partire dal 2023.
Rispetto alla parte finanziaria, c’è un invito ad aumentare il sostegno ai paesi in via di sviluppo per raddoppiare gli impegni attuali e viene riaffermato il dovere di adempiere all’impegno di trasferire 100 miliardi di dollari all’anno dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo. Su questo punto già nelle giornate di COP26 è stato più volte ribadito che la trasformazione economica richiesta per mantenere l’innalzamento della temperatura al di sotto di 1,5° richiede risorse molto più ingenti, non più dell’ordine di 100 miliardi, ma di migliaia di miliardi di dollari. E sempre su questo punto sarà assolutamente fondamentale osservare i progetti che seguiranno ai tanti impegni della finanza mondiale che si sono susseguiti a Glasgow, come ad esempio con la Glasgow financial alliance for net zero (GFANZ) con 45 società finanziarie di 45 paesi e con risorse finanziarie complessive dell’ordine di centomila miliardi di dollari per favorire la transizione energetica. Ma sempre sul tema della finanza il comunicato ufficiale precisa anche che è stato definito un percorso per definire nuovi obiettivi globali per la finanza e il clima.
Mitigazione, regole e trasparenza
Sui temi della mitigazione il Glasgow Climate Pact cita il lavoro necessario per ridurre il grande divario nelle emissioni e per sostenere tutti i paesi nelle azioni che permettono di rafforzare la riduzione delle emissioni arrivando così ad avere impegni nazionali in materia di azione per il clima allineati con l’accordo di Parigi. In merito al mercato del carbonio si mette in evidenza l’accordo sulle norme fondamentali relative del Paris Rulebook per dare maggior certezza alle azioni a sostegno della mitigazione e dell’adattamento. Sempre su questo punto si colloca anche il lavoro svolto per l’Enhanced Transparency Framework, con una serie di strumenti per rendicontare in modo chiaro e trasparente gli obiettivi e i risultati raggiunti in termini di riduzione delle emissioni.
Ma uno dei punti deboli di un documento che segna in ogni caso un grande passo avanti avendo raggiunto a fatica il consenso di 197 paesi resta in ogni caso la parte relativa al controllo, alla verifica e alla misurabilità degli impegni. Un tema che dovrà essere sostenuto al più presto per garantire che il “bicchiere mezzo pieno” in termini di fiducia possa permettere di concretizzare gli obiettivi che sono presenti in questo nuovo patto sul clima.
I passaggi più significativi della conferenza plenaria con l’approvazione del Glasgow Climate Pact
La conferenza plenaria finale di COP26 ha visto una serie di interventi particolarmente significativi. Abbiamo voluto individuarne alcuni con il video relativo alla posizione espressa da alcuni delegati e dalla presidenza di COP26