Il rapporto tra AI e sostenibilità solleva questioni centrali legate al consumo energetico, alla gestione delle infrastrutture digitali e alla loro accountability, fino alle opportunità di impiego dell’intelligenza artificiale per supportare gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Durante l’evento “AI, HPC & QUANTUM – Reshaping the Technology Landscape” organizzato da E4 Computer Engineering, Luciano Floridi, John K. Castle Professor in the Practice of Cognitive Science e Direttore del Digital Ethics Center alla Yale University, ha offerto una riflessione approfondita su questi temi.
Dal digitale “etereo” alle infrastrutture materiali
Floridi ha ricordato come, negli anni Novanta, fosse diffusa la convinzione che il digitale avrebbe sostituito l’analogico senza conseguenze materiali: «ci dicevano che il fisico era finito, che avremmo spostato solo bit e non più atomi». Una visione che il tempo ha smentito. Nonostante la diffusione degli e-reader, la vendita di libri cartacei è cresciuta e piattaforme come Amazon registrano ancora numeri significativi in questo settore.
Per Floridi, è evidente che la cultura digitale non esiste senza una rete fisica di supporto. I data center, oggi, consumano quantità rilevanti di energia elettrica e determinano scelte politiche ed economiche che incidono sulle comunità locali. Ha citato il caso dell’Irlanda, dove circa il 25% della produzione elettrica nazionale è destinato esclusivamente ai data center, con conseguenze dirette sulle bollette e sulla gestione delle risorse.
AI e consumo energetico: realtà e percezioni
Uno dei punti più discussi riguarda la presunta insostenibilità dell’AI per via del suo consumo energetico. Floridi ha messo in guardia dal rischio di semplificazioni: «Non è vero che l’Intelligenza Artificiale è il vero problema del cambiamento climatico perché consuma troppa energia. Lo dice l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA)».
Secondo i dati presentati, l’insieme delle attività digitali incide per circa il 2% sui consumi elettrici globali, una percentuale marginale se confrontata con altri settori molto più energivori come il condizionamento dell’aria o i trasporti. Floridi ha chiarito che la questione non è tanto quanta energia richieda l’AI, ma come venga utilizzata: «se usata per la protezione delle foreste o per l’acqua potabile, quell’energia diventa un investimento positivo; se usata solo per guardare un film in più, resta un consumo sterile».
Oligarchie digitali e mancanza di accountability
Accanto al tema energetico, Floridi ha sottolineato i rischi derivanti dalla concentrazione del controllo delle infrastrutture digitali. Quando pochi attori gestiscono motori di ricerca, piattaforme social o servizi di streaming, la possibilità di scelta reale per cittadini e consumatori si riduce drasticamente. «Se c’è soltanto un search engine, se c’è soltanto un social, dove vai se non su quello?» ha osservato.
Per Floridi, la mancanza di concorrenza annulla l’accountability. Nelle società democratiche, le persone hanno due strumenti per esercitare un controllo: il voto e la possibilità di scegliere tra più alternative sul mercato. Se entrambi vengono meno, il cittadino e il consumatore restano privi di strumenti di bilanciamento.
L’efficienza energetica come leva di progresso
Floridi ha introdotto un concetto cruciale: l’energy efficiency. Nel tempo, le tecnologie digitali hanno aumentato la loro capacità computazionale a fronte di consumi sempre più bassi, seguendo un trend paragonabile alla Legge di Moore. «Quello che potete fare oggi con un telefonino in tasca, alla NASA sarebbe costato ualche anno fa una centrale nucleare» ha ricordato.
Questa dinamica rende l’AI potenzialmente più sostenibile di quanto comunemente percepito. Se i consumi digitali globali si aggirano attorno al 2% dell’elettricità mondiale, la vera sfida riguarda l’altro 98% e la sua provenienza: che si tratti di energie rinnovabili o di centrali a carbone.
L’alleanza tra digitale e ambiente
Floridi ha parlato di una «grande alleanza tra verde e blu», dove il verde rappresenta l’ambiente e il blu il digitale. Il XXI secolo, ha affermato, è il momento in cui tecnologia e natura devono lavorare insieme. L’AI diventa quindi uno strumento strategico per ridurre l’impatto ambientale e generare benefici concreti, a condizione che sia sviluppata e impiegata con intelligenza e responsabilità.
AI e Sustainable Development Goals
Un passaggio significativo dell’intervento ha riguardato i 17 Sustainable Development Goals (SDGs) fissati dalle Nazioni Unite come parametri universali di progresso. Floridi ha raccontato di aver coordinato, in passato, una ricerca sostenuta da grandi aziende tecnologiche per valutare il contributo dell’AI agli SDGs. All’epoca, i progetti monitorati erano circa un centinaio, ma oggi il numero è cresciuto fino a oltre 441.000 iniziative attive in tutto il mondo. Questi progetti spaziano dall’accesso all’acqua potabile alla tutela delle foreste, mostrando che l’energia investita nell’AI può produrre effetti positivi misurabili. Floridi ha definito questa crescita un segnale incoraggiante, pur sottolineando che il lavoro da fare è politico, sociale e strategico: non limitarsi a denunciare i consumi, ma indirizzare le tecnologie verso un impatto favorevole.