Analisi dei rischi

Il risk management nella ripartenza delle attività in autunno

L’autunno si configura come un nuovo punto di svolta nella ripresa delle attività: riapertura delle scuole, progressivo rientro dei lavoratori negli uffici: quali sono i rischi e le opportunità per le aziende in questa delicata fase? Come possono essere affrontati? Quali saranno i settori più vulnerabili?

Pubblicato il 07 Ott 2020

Alberino Battagliola

Consigliere ANRA – Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali Health Care Administration Tender Manager & Corporate Insurances Manager

responsabilità penale impresa covid-19

L’inizio dell’autunno, con il rientro a scuola di quasi 8 milioni e mezzo di studenti, ha rappresentato un momento strategico per l’inizio di quella che sarà una fase cruciale della ripartenza. Un momento che ognuno di noi affronta con speranza, ma non senza perplessità e difficoltà per i possibili risvolti che quanto potrebbe avvenire nelle prossime settimane avrà sulle nostre vite private e lavorative.

Non è infatti semplice né dal punto di vista pratico né, tantomeno, da quello psicologico, comprendere come affrontare il ritorno alle attività lasciate in sospeso prima della pandemia, dal momento che la storia in questo caso fatica a offrire soluzioni sperimentate, a indicare una strada certa.

Sono state fatte numerose similitudini, forse non tutte centrate, con un evento precedente a cui ci si è rivolti per trovare meccanismi simili, e soprattutto per trarre insegnamenti al fine di evitare errori futuri. Parliamo dell’epidemia d’influenza spagnola che si verificò tra il 1918 e il 1920, che si diffuse in tutto il mondo e colpì 500 milioni di persone.

Il passato può offrire insegnamenti utili?

Vi fu una conseguente forte crisi della domanda e dell’offerta anche all’epoca. Tuttavia, diversamente da ciò che si sta verificando con il Covid-19, furono soprattutto individui in età adulta e con il sistema immunitario solido a essere colpiti e decimati, le principali categorie cioè di lavoratori e consumatori: questo bloccò al tempo stesso l’offerta dei servizi, la produzione dei beni e il consumo di questi stessi. I dati raccolti negli anni seguenti hanno dimostrato che gli effetti economici dell’influenza del 1918 furono molto pesanti nel breve termine, con un impatto molto negativo sui servizi e gli svaghi. Ma gli effetti a lungo termine, legati al calo della forza lavoro disponibile, restano tutt’oggi poco studiati e molto vaghi. Nel 1918-1919, la pandemia d’influenza spagnola ha avuto un impatto relativo sull’economia: a guardare la storia, il Covid-19, che sembra meno devastante anche grazie ai progressi medici nel frattempo compiuti, ha quindi le potenzialità per rivelarsi gestibile. Ci sono altri esempi di epidemie devastanti che non hanno distrutto l’economia, come quella del colera del 1831-1832, che decimò 18 mila parigini in sei mesi, ma non impedì al paese di riprendersi dalla terribile crisi del 1827, una delle prime del capitalismo.

È vero che non si conoscono ancora né il reale tasso di mortalità del Covid-19 né la parte di popolazione effettivamente colpita, ma a favore dell’ipotesi di un effetto a breve termine sull’economia si può ricordare che è una malattia molto diversa dall’influenza spagnola: sembra letale, soprattutto tra gli anziani e solo parzialmente nella popolazione in età attiva. Probabilmente molte delle conseguenze saranno correlate alle politiche di austerità sanitaria decise in questi e nei prossimi mesi dai vari governi, e il fatto che – diversamente da quanto accadeva in passato – avranno un impatto reciproco molto più forte: le catene di valore industriale sono oggi internazionali e alcuni settori, come il turismo, saranno gravemente colpiti per molto tempo. Inoltre, l’economia oggi si basa più sui servizi che sull’industria e l’agricoltura.

Il risk management per gestire il presente e il futuro

Affrontando la situazione da un punto di vista risk management based, la premessa fondamentale è che i cosiddetti nuovi rischi non possono essere considerati completamente tali: sono rischi preesistenti che hanno cambiato profilo. Esiste oggi una profonda vulnerabilità che impatta la maggior parte delle aziende, siano esse pubbliche o private, e in generale tutte le organizzazioni produttive e di servizi: inevitabilmente indebolite dal lock down, in termini di ridotta o addirittura sospesa operatività, affrontano problemi di fatturato e cash flow. Una vulnerabilità che è ancora più accentuata nel caso delle PMI, che scontano già in partenza una minore resilienza finanziaria e organizzativa rispetto alle imprese di dimensioni maggiori. È una resilienza che richiede tempo per essere costruita, e implica che prima si siano fronteggiate una serie di problematiche e di aspetti di natura organizzativa, operativa e gestionale di cui le aziende e le organizzazioni tutte (scuole incluse) non possono non tenere conto.

È un approccio che segue i dettami e le linee guida di risk management, ora come non mai fulcro vitale delle organizzazioni moderne, per identificare, profilare, valutare e quindi gestire i rischi della nuova normalità. Quella in atto è una crisi che segnerà un punto di svolta nell’attenzione delle imprese verso la gestione del rischio e verso le funzioni di risk management. L’onda d’urto del Covid-19, nella grande maggioranza dei casi, ha colto di sorpresa le imprese, rendendo evidente la necessità di poter contare su piani di disaster recovery e business continuity al fine di mitigare l’impatto dei rischi.

La figura del risk manager si rivela ora indispensabile parte attiva nella creazione del valore, testimoniato dal fatto che quelle aziende che avevano adottato piani di gestione della crisi – anche se non direttamente riferiti alla crisi pandemica, sono anche quelle più resilienti agli impatti e capaci di adattarsi alla situazione.

Puntare sulla costruzione di piani di risk management

Prendendo in considerazione le previsioni globali dei rischi, l’eventualità di un’epidemia non era tra quelle ritenute più probabili, anche se il rischio sanitario da più di un decennio è considerato tra quelli a maggiore impatto sullo scenario economico. Un riscontro concreto era stato fornito nel 2018, da un report dell’Etisphere Institute, nel quale era evidenziato che nelle 250 multinazionali più importanti a livello globale i piani di crisis management si concentravano sui rischi maggiormente percepiti, come attacchi cyber (67%) e rischi ambientali (45%), o in gran parte legati alla reputation aziendale più che alla continuità. Questo perché nonostante il rischio sanitario sia mappato da oltre dieci anni, e inserito tra quelli a più alto impatto, non esiste una reale predisposizione delle aziende allo scenario pandemico, poiché nella scala delle probabilità questo rischio si posiziona molto in basso rispetto a quelli percepiti come più imminenti e possibili. Ma i mesi appena passati hanno dimostrato che serve una maggiore comprensione dei rischi e dell’impatto che questi possono imprimere sulla società e sull’economia.

Occorre quindi ripartire con la consapevolezza dell’incertezza che caratterizzerà i prossimi mesi, puntando sulla costruzione di piani di risk assessment e di gestione della crisi che saranno fondamentali per affrontare anche le situazioni più imprevedibili. Ma – con il classico non tutti i mali vengono per nuocere – dobbiamo anche guardare alle opportunità di business derivanti dai mutamenti che l’emergenza coronavirus ha generato nella popolazione, dalla consapevolezza che dopo una crisi emergono anche delle nuove aree di benessere e di sviluppo.

Uno su tutti resta il tema sempre più attuale della sostenibilità ambientale: tanti fondi andranno a finanziare settori in prima linea nella lotta al cambiamento climatico, che potranno così registrare crescite considerevoli nel volume di affari.

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Alberino Battagliola
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