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Sostenibilità oltre la normativa: come affrontare l’ESG tra incertezze e opportunità



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Come evitare i rischi di un possibile disimpegno nel momento in cui l’obbligo normativo diventa meno pressante e come approfittare di questo passaggio per far entrare la sostenibilità in una nuova fase, meno trainata dalla normativa, più legata alla capacità delle imprese di integrare visione, strategia e cultura organizzativa

Pubblicato il 25 giu 2025

Chiara Volpato

Responsabile Corporate Compliance & Sustainability di Adacta Tax & Legal



Sostenibilità oltre la normativa
Chiara Volpato, Responsabile Corporate Compliance & Sustainability di Adacta Tax & Legal

Negli ultimi mesi, il panorama della sostenibilità aziendale ha subìto un rallentamento sul fronte normativo. Il 3 aprile 2025, il Parlamento Europeo ha infatti votato il rinvio di due anni dell’entrata in vigore degli obblighi di reporting e di due diligence di sostenibilità (c.d. Stop-the-clock proposal) per un’ampia platea di aziende non quotate, concedendo più tempo alle imprese per prepararsi ai nuovi requisiti di sostenibilità (leggi a questo proposito gli articoli relativi a Pacchetto Omnibus UE, Normativa ESG, CSRD n.d.r.).

Come si costruisce una sostenibilità oltre la normativa

Una fase di stallo che sta generando effetti tangibili sulle priorità delle imprese, modificando non solo il ritmo dei progetti ESG (Environmental Social Governance), ma anche la loro percezione interna.

Gli effetti dell’obbligo normativo

L’obbligo normativo ha storicamente rappresentato un formidabile motore di attivazione per molte organizzazioni. Fungeva da entry point: una sorta di “leva esterna” che giustificava l’investimento iniziale, creando poi le condizioni per apprezzare benefici strategici più ampi – dalla reputazione alla competitività.

Oggi, la sospensione o il rinvio di alcune direttive europee e nazionali rischia di trasformarsi in un freno culturale: in assenza di vincoli imminenti, molte aziende stanno rallentando i propri piani, posticipando attività chiave come la misurazione delle metriche chiave ambientali, sociali e di governance, o la valutazione del contesto competitivo. Il rischio? Perdere l’abbrivio costruito negli ultimi anni, proprio mentre il mercato, gli investitori e i consumatori continuano a chiedere trasparenza e impegno.

Il rischio di una “attesa difensiva”

Nel confronto quotidiano con decine di imprese, osserviamo reazioni molto eterogenee. Alcune hanno colto l’occasione per consolidare le proprie strategie ESG, sfruttando il rallentamento per lavorare su metriche, coerenza interna e integrazione dei dati. Altre, invece, circa il 40% vivono questo momento come una fase di sospensione, quasi di attesa “difensiva”.

La difficoltà a interpretare gli scenari di una sostenibilità oltre la normativa

Un dato comune? La crescente incertezza. Molti stakeholder interni – dal top management ai responsabili CSR – faticano a interpretare il nuovo scenario. Emergono domande pratiche: quali strumenti o certificazioni saranno davvero richiesti dalle filiere nel 2026? Cosa è obbligatorio e cosa no? A quali standard conformarsi? In assenza di chiarezza, si rischia di cadere nell’errore più pericoloso: l’inazione.

Mai come oggi serve, dunque, ripensare i bilanci di sostenibilità non come un adempimento, ma come uno strumento strategico. Oggi, le imprese più evolute usano questi documenti in modo trasversale, sostanzialmente per:

  • raccontare la propria identità (non solo numeri, ma narrazione e coerenza con i valori);
  • gestire il rischio reputazionale (in uno scenario mediatico sensibile, la trasparenza premia);
  • attrarre capitali e talenti (gli investitori e le nuove generazioni cercano aziende credibili e coerenti);
  • supportare le decisioni (la rendicontazione ESG consente analisi trasversali utili alla governance).

Da una sostenibilità oltre le normative a una sostenibilità come vantaggio competitivo

Vista sotto questa luce, la sostenibilità diventa un vantaggio competitivo, una leva per essere più forti sui mercati, in uno scenario geopolitico incerto e profondamente volatile.

Un cambio di paradigma importante che si sostanzia nell’accompagnare le aziende in questa transizione, aiutandole a fare un salto di maturità: da una logica di cogenza a una visione più strategica e di sistema, fondata su dati solidi, obiettivi misurabili e su un chiaro allineamento con il core business.

I pillar di una sostenibilità strategica

Nel concreto, per rendere effettivo questo processo, tre possono essere i pilastri su cui lavorare. La formazione interna, in primis, affinché la sostenibilità possa diventare linguaggio condiviso tra funzioni; l’integrazione nei processi, perché l’ESG diventi davvero un criterio di valutazione trasversale e cross-funzionale; infine, una comunicazione autentica e trasparente.

La centralità dei dati

Ma cosa fare adesso? In attesa della definizione del nuovo quadro normativo, suggeriamo alle imprese di continuare a lavorare sui dati (la raccolta, validazione e digitalizzazione dei dati ESG sarà fondamentale, a prescindere dagli obblighi).

Occorre poi sia focalizzarsi su materialità e priorità, ovvero scegliere alcuni temi chiave su cui puntare, legati al proprio settore e stakeholder, e formalizzare un Piano di azione pluriennale; sia non interrompere la rendicontazione (anche in formato di reporting di performance, sfruttando gli standard europei VSME di EFRAG, perché un bilancio di sostenibilità ben fatto comunica solidità e lungimiranza).

Infine, cosa estremamente importante, occorre evitare il Greenhushing, non ridurre cioè la comunicazione ESG per timore di essere criticati ma, al contrario, renderla più trasparente e fondata.

Costruire valore, non solo conformità

In conclusione, la sostenibilità è entrata in una nuova fase: meno trainata dalla normativa, più legata alla capacità delle imprese di integrare visione, strategia e cultura organizzativa. È il momento di costruire valore, non solo conformità. E di farlo con metodo, coerenza e ambizione.

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