Questa riflessione parte dalla considerazione che arriva dall’articolo di fondo di Carlo Verdelli sul Corriere del 9 giugno nel quale scriveva: “Il vero oro non è più l’oro e nemmeno il petrolio. Siamo noi, i dati personali che inconsapevoli forniamo ogni volta che dal cellulare apriamo una app o digitiamo una ricerca”. Una considerazione alla quale si può aggiungere che, in più si tratta di dati gratis! (Ovvero un tema al quale abbiamo già dedicato un primo approfondimento nel servizio Dati e società digitale: perché serve una nuova governance n.d.r.).
Il grande tema della governance dei dati strettamente legato alla governance dell’uso degli smartphone
Verdelli aveva citato l’Istituto Superiore di sanità: ”Più di un adolescente su quattro ha un rapporto problematico con l’eccesso d’uso dello smartphone, con evidenti effetti sulla salute e la capacità di relazione”.
I sintomi che sono poi elencati sono quelli di tutte le dipendenze gravi, come quelli legati all’uso di stupefacenti. Il problema ormai è noto e riconosciuto. Però non succede niente: guardiamo al progressivo distacco dalla realtà di una fetta importante della società (non solo i giovani) senza andare oltre qualche sconsolato scuotimento di testa.
C’è una componente di ignoranza, una di superficialità e una di vigliaccheria in questa assenza di reazione. Ignoranza e superficialità si spiegano da sé. Vigliaccheria, perché dietro agli smartphone, dietro ai social media c’è il business di molti e di molti di noi. E il cartello del business digitale è ben più forte del cartello di Medellin.
La governance “planetaria” dei social media
Per contrastare il Fentanyl, Trump mette i dazi a Messico, Canada e Cina. Per contrastare l’impatto di TikTok sui giovani americani, gli Usa si accontentano della garanzia che lo “spacciatore” non esegua gli ordini del Governo cinese ma sia targato USA (Vedi sentenza della Corte Suprema sul caso Bytedance.
Non si tratta di agitare lo spettro di un nuovo luddismo contro la tecnologia digitale ma di porre fine a quella specie di far west senza regole lontanissimo da logiche di corporate governance e accountability che oggi caratterizza il sistema economico generato dal digitale: materia prima gratuita, tasse sostanzialmente a zero, nessuna responsabilità né civile né penale. E che non è più sostenibile per la società nel suo complesso.
Dal Far West a… poche regole
Una primissima riflessione, nel segno di una governance indispensabile per costruire una economia sostenibile e responsabile e una primissima indicazione su (poche) regole fondamentali:
- Chi utilizza massivamente i dati prodotti dalla collettività può operare solo in base a una concessione onerosa, come un bar che mette i tavolini sulla pubblica piazza;
- Chi, pur non producendo contenuti, decide tramite algoritmo proprietario quali contenuti presentare a chi, profilando discrezionalmente il proprio pubblico è assimilato a un editore di giornali che decide qual notizie pubblicare, con quale rilievo e su quale testata;
- I Social media non possono consentire a chi raggiunge i diecimila follower di averne uno in più se non risulta registrato in un apposito elenco curato dall’Autorità pubblica in cui indica il soggetto residente in Italia che risponde civilmente e penalmente dei contenuti pubblicati o rilanciati in rete;
- Dopo la prima ora di connessione in un giorno a un social media l’utente deve essere disconnesso con un messaggio equivalente a quelli presenti sui pacchetti sigarette. Dopo cinque minuti, potrà riconnettersi: consapevolezza non proibizionismo.
Una proposta che non vuole certamente essere la soluzione di ogni problema (ad esempio, il contrasto degli haters è tutto da impostare) ma almeno un inizio e, appunto, una proposta sulla quale confrtontarsi.
L’obiettivo è la sostenibilità della transizione digitale e delle Twin Transition (e della società che genera), non il suo contrasto.